I Domenica di Avvento – Anno C

Solo chi ama, veglia ed attende

di fra Vincenzo Ippolito

Chi ama, veglia, chi veglia prega, chi prega riceve forza da Dio per sfuggire al male. Ciò che manca alla nostra umanità stanca e sfinita, spesso alle nostre famiglie e comunità religiose ed ecclesiali è il canto della fedeltà nella preghiera, è la voce della sposa che attende il ritorno dello Sposo. La preghiera è questo dialogo che ridesta la speranza e fa crescere nella consapevolezza di non essere mai soli.

Dal Vangelo secondo Luca (21,25-28.34-36)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.

Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».


Con la Prima domenica di Avvento inizia l’anno liturgico. La Chiesa, infatti, nel corso di un intero anno, ci invita a rivivere nella celebrazione liturgica i misteri della nostra fede, seguendo Cristo, il Maestro e il Signore, accompagnati da quanti, veri suoi discepoli, hanno vissuto in pienezza la chiamata battesimale alla santità. Tempo di Avvento e di Natale, di Quaresima e di Pasqua sono i periodi forti in cui mediteremo e rivivremo i misteri principali della nostra fede – Incarnazione, Passione, morte e resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo – chiamati a tradurli in vita quotidiana e testimonianza evangelica durante il tempo ordinario, il periodo della speranza quando il coloro verde sosterrà la nostra attesa fiduciosa del ritorno del Signore alla fine dei tempi. Quest’anno – siamo nell’anno C – san Luca, con il suo Vangelo composto di ventiquattro capitoli, sarà il nostro compagno di viaggio domenica dopo domenica per scoprire in Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, il volto della misericordia del Padre.

Il primo tratto di strada di questo nostro nuovo cammino è il Tempo d’Avvento, quattro settimane di attesa intensa, scandite dalla preghiera, dall’ascolto del Signore e dalla vigilanza, che preparano il nostro cuore alla venuta del Signore. Duplice è l’indole di questo periodo: nella prima parte, per circa due settimane, la Chiesa ci insegna ad attendere alla fine dei tempi il Signore che ritornerà potente e glorioso, nel secondo periodo – dal 16 al 24 dicembre – lo sguardo sarà rivolto alla sua venuta nella debolezza e fragilità della nostra carne, come avvenne a Betlemme, nella notte del suo Natale. Il Cristo che verrà – indole escatologica dell’Avvento – e che è già venuto nella povertà ed umiltà – l’Avvento ci prepara al Natale! – “ora … viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno” (Prefazio dell’Avvento I/A). In questa luce riusciamo a comprendere il perché la liturgia della Prima Domenica di Avvento insista ancora, continuando la riflessione delle ultime domeniche, sul ritorno glorioso del Signore. Appunto in questa chiave anche il colore liturgico di questo Tempo, il viola, lungi dal richiamare la penitenza ed il lutto come in Quaresima, è – o dovrebbe essere! – più tenue, richiamando i colori dell’aurora che con delicatezza preannunciano il sorgere del sole. Così anche la solennità dell’Immacolata acquista la sua giusta luce nel mistero dell’Avvento: la Chiesa tutta solo se guarda a Maria, porta dell’Avvento, può imparare da Lei l’attesa fatta di vigilante amore e di orante operosità.

Il mistero del tempo

La pagina odierna del Vangelo, anche se già letta e meditata nella stesura dell’evangelista Marco (13,24-32) nella liturgia della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – il 15 novembre scorso – offre delle significative sollecitazioni in riferimento al Tempo di Avvento. La venuta del Signore – la prima già vissuta e la seconda che attendiamo – cambia la nostra concezione del tempo e della storia. Secondo il mito della civiltà greca, l’età dell’oro, il tempo della felicità e della gioia, delle perfezione e dell’armonia, è da collocarsi all’inizio della storia umana, mentre ciò che ne è seguito, causato dall’intervento inopportuno dell’uomo nel progetto originario, è una discesa a picco in una condizione di vita inferiore. Pur se di chiara matrice pagana, tale visione appare cristianizzata da approcci parziali alle prime pagine del libro di Genesi e così età dell’oro è divenuta per i cristiani il tempo in cui Adamo ed Eva vivevano nel giardino di Eden, in una condizione originaria che non conosceva imperfezione e disarmonia, subentrate in seguito con la disobbedienza. In realtà per il cristiano non esiste il mito dell’eterno ritorno perché la storia non è ciclica così da permettere il rivivere di fasi o di età precedentemente vissute. Per il cristiano la perfezione non è all’inizio, ma alla fine ed è dono di Dio per l’intera umanità che brancola nel buio se non riceve dall’alto vigore e forza di azione. Ecco perché siamo chiamati ad essere uomini e donne di speranza perché non siamo soggetti ad un impalcabile caso, nella ripetizione passiva di azioni che sono già state e che in seguito saranno di altri.

Nel flusso della storia che è un cammino verso l’alto – anche questo è rilevante, la storia non è una linea in discesa, ma una retta in salita, verso il compimento – Dio vi entra perché l’uomo riceva la capacità di non ripiegarsi nella frustrazione di un tempo che non ritornerà e che lo schiaccia, ma perché viva nella responsabile operosità di sentirsi parte attiva della propria vita, in un dialogo maturo con il Signore. E nell’arena della storia – è questo il terzo dato da notare come elemento che differisce la visone umana della storia da quella greco-romana – l’uomo non è abbandonato a se stesso, gettato nell’agone del mondo, artefice delle avverse situazioni della vita, nella lotta alla sopravvivenza aspra e dura. Dio è con l’uomo artefice di una storia nuova ed entrambi collaborano perché i sogni si realizzino, i disegni di bene si compiano con l’impegno che non guarda al sacrificio, ma che accoglie la difficoltà e vince, con l’amore, ogni doloroso imprevisto.

Camminiamo verso il compimento della storia, siamo chiamati ad attuare un disegno grande di armonia e di fraternità sull’intera creazione, con Dio “noi faremo cose grandi” (Sal 107,14): quale carica di positività e di speranza è per le nostre famiglie questa visone! Nella vita di coppia la gioia e la spensieratezza non è all’inizio nel tempo del fidanzamento o nei primi anni di matrimonio, perché allora l’amore era poesia e non aveva ancora intrapreso la ripida salita del dono. Gli sposi cristiani camminano verso la perfezione dell’amore. Se si rimanesse all’affetto del primo periodo, non si crescerebbe ed i figli non sarebbero la tappa obbligatoria in un crescendo di donazione che conduce ad essere dimentichi di sé per amore dell’altro. Se l’amore fosse solo all’inizio, quale senso avrebbe il vincere le difficoltà, crescere nell’affiatamento e nella conoscenza, venirsi incontro accogliendosi nelle situazioni più disparate della vita? Questo purtroppo non è vero sempre perché tanti gettano la spugna credendo che tutto l’amore era al principio e, incapaci di vivere nell’ordinarietà la chiamata a crescere, sono convinti e si convincono, giustificandosi davanti a se stessi, che l’amore è passato perché non è più quello di una volta. All’inizio c’è il seme dell’amore, ma non la sua pianta. Perché il seme divenga pianta ha bisogno di essere coltivata e curata, potata e concimata. Deve vivere molti inverni e stagioni piovose perché il tronco si alligni e non abbia più bisogno del sostegno, affiancato durante la giovane età ai piccoli arbusti. All’inizio c’è l’amore non il suo frutto, la possibilità di crescere, non la maturità delle foglie, la speranza del tempo che verrà, non il profumo dei fiori. L’inizio non è il compimento, né si può vedere come andranno le cose. L’inizio è il tempo della speranza, dell’abbandono, dell’operosità giovanile, del coraggio iniziale. Guai se questo non si vive. Ma è necessario attendere il biondeggiare delle messi, senza temere le piogge e le grandini estive. L’amore è seme e pianta, foglie, frutto e compimento. L’amore diverrà seme perché, caduto nel terreno germini di nuovo, ma non possiamo chiederci dov’è l’amore perché come la pianta è soggetta ai continui e naturali cambiamenti così l’amore è la forza del naturale processo della vita. Impossibile fermare la vita, come è impossibile fermare l’amore.

Gli sposi cristiani hanno nel matrimonio l’origine sacramentale di un amore che si rinnova nella storia ed ad esso devono sempre ritornare come alla sorgente che è sempre capace di dare acqua. Ma l’inizio non conosce la maturità degli anni, il sacrificio dell’amore, l’offerta della vita, il dono dei figli, la responsabilità della fedeltà, la gioia esigente del rinnegarsi ogni giorno. Camminammo verso un perfezione la cui sorgente è nel dono sacramentale che Dio ci ha fatto, ma è nel cammino che dobbiamo insieme con Cristo mettere a frutto i suoi talenti, nella consapevolezza di realizzare il suo progetto, collaborando alla realizzazione del sogno di Dio sull’umanità. Solo in questo modo la nostra vita si colora di speranza e si è protesi senza paura verso il futuro.

L’arte del custodire il cuore

Non è semplice vivere l’attesa nella custodia dei cuore e dei sensi. Il Signore che ben conosce la nostra debolezza e sa quanto sia difficile vivere nella vigilanza, continuamente ci porta a guardare in noi stessi per cominciare sempre di nuovo a lottare contro ciò che, pur se in noi, è seminato come zizzania dal Nemico. “State attenti a voi stessi” (v. 34) cos’altro significa se non “Veglia su di te”, custodisci l’uscio del tuo cuore, sorveglia la porta della tua interiorità? L’Avversario è sempre alle porte e conosce fin troppo bene le tue debolezze, le sue tattiche sono studiate a tavolino nei minimi dettagli con astuzia perché il suo veleno mortifero può facilmente infilarsi nella casa del cuore utilizzando, al pari della faina, una piccola fessura. La vigilanza non è mai troppa, ecco perché il Signore incalza. “Attento” Egli dice quasi a sottintendere “Sei debole e non credere di potere procedere da solo, hai bisogno di chi ti sostenga e non fare come il bambino, che, mossi i primi passi, crede di poter camminare sicuro barcollando”. “Attenti a voi” non vuol forse dire “Preoccupatevi di ciò che conta, tenete fisso lo sguardo sulle pecore dei vostri pensieri perché non si disperdano, richiamate con determinazione e fermezza, gli affetti del cuore perché l’ovile è l’unico luogo dove la libertà è custodita e la debolezza salvaguardata”? Quante volte siamo sentinelle che nulla vegliano, custodi che non sorvegliano con affetto, guardiani che non hanno a cuore il bene del gregge? Eppure Gesù ci dice di stare attenti, come Lui che nel Getsemani non si lascia vincere dalla paura, il cui rivolo di sudore di sangue non lo blocca nell’abbandono, la cui solitudine non gli impedisce di procedere sicuro sapendo che il silenzio del Padre infonde coraggio e forza più di qualunque altra voce di umana sicurezza. L’uomo non sta attento perché crede di essere forte, ben preparato, sempre vigilante, pronto ad ogni battaglia. Gesù invece, “sa di che siamo fatti, ricorda che noi siamo polvere” (Sal 103,14) e ci dice che la custodia deve essere rivolta al cuore perché è nel cuore che si decide di accogliere e di amare, di vivere e di morire, di crescere o di abbandonarsi alla noia. “Se tu vegli, il tuo cuore è libero e attendi Cristo. Se ti addormenti e ti assopisci, come Pietro, Giacomo e Giovanni nell’Orto degli ulivi, la paura prenderà il posto che stai riservando al Signore e la parola del Nemico metterà radici in te. Scaccia le dissipazioni, senza tentennamenti perché esse impediscono al semi di germinare. Rimuovi da te i cavalli di Troia, ovvero gli affanni della vita che si presentano come innocui inquilino della tua mente ed invece, una volta usciti dalla scorza che li difendeva, fanno crescere in te l’incapacità di fidarti di Dio che è per te Padre provvidente. Non vivere di illusioni e fantasie, come il vino permette di fare. Rimani ben piantato in terra con i tuoi piedi, sveglio, con gli occhi sempre aperti per scrutare l’orizzonte e riconoscere l’incedere di Dio ed i suoi segni di vita. Non permettere che nulla ti appesantisca e che il tuo animo si riempia di cose vane. Il tuo cuore è per Cristo, è il trono della sua gloria, la greppia che lo custodisce infante, la casa che lo vede crescere a Nazaret, il tempio dove Egli, dodicenne, apre le Scritture e ne diventa dotto interprete che stupisce gli anziani dottori. Il tuo cuore sia la casa di Betania che lo accoglie stanco, in cerca del riposo che solo l’amicizia offre, la tua interiorità la dimora di Levi dove il Signore incontra i peccatori per essere medico misericordioso.

È il tuo cuore che voglio – sembra dire Gesù – il tuo cuore per regnare, la tua mente per sognare, la tua mente per disegnare il futuro con audacia. Voglio il tuo cuore perché nulla lo appesantisca, nessuna preoccupazione lo agiti come una nave in tempesta, nessun vino ne alteri la prontezza dei riflessi”.

Nella famiglia Cristo è il cuore, se non è Lui a donare il sangue della vita i tessuti dei rapporti perdono elasticità e finiscono per atrofizzarsi e morire. Il sangue di Gesù deve purificarci e, penetrando nel nostro cuore, donarci forza ed energia d’amore. Solo il suo Cuore sa custodire l’amore come i vasi nuovi il buon vino della grazia dello Spirito. Noi come le giare di Cana conteniamo acqua, inconsistente bevanda che non disseta, solo il Cristo sposo può trasformarci in sorgenti ebbre di Spirito che dispensano l’armonia dell’ordine e la comunione che nasce dalla complementarietà dei doni condivisi nell’umiltà e nella gioia. È importante custodire e custodirsi in famiglia. Se la vita mi ha mostrato che la mia sposa facilmente si angoscia con dei pensieri e che trema con preoccupazioni che nulla hanno di consistente, il mio amore per lei deve spingermi a prevenire le tempeste e a tenere ben saldo il timone del suo cuore. Lo “State attenti a voi stessi” nella vita di sposi significa prendersi cura dell’altro, non stare attenti a se stessi, ma aver cura dell’altro/a perché lui/lei è l’altro me e solo se le preoccupazioni e gli affanni della vita non espugnano la cittadella dei nostri cuori, Cristo sarà la nostra unica pace.

Oggi è significativo stare attenti ai fumi della mentalità mondana, alle mode che determinano cambiamenti di valori e che spodestano la fede, annacquando la nostra testimonianza nel mondo. È necessario stare attenti ai propri figli perché le loro vite non vengano inquinate da ciò che è contrario al loro vero bene, perché le loro giovani menti non si travino per i veleni che si respirano in ogni ambiente dove il Vangelo non sembra avere diritto di cittadinanza. Custodire il cuore vuol dire fare in modo che l’odio non diventi legge nella società degli uomini, che la violenza non divenga criterio per vincere, rifiutando la strada della concordia, della ricerca sincera della pace e del dialogo costruttivo. La famiglia cristiana è la roccaforte del Vangelo, lo spazio umano dove Cristo regna con la sua grazia, le vite legate dallo Spirito perché divengano tra gli uomini trasparenza d’amore di Dio.

Come le sentinelle, occhi attenti e cuore desto

La richiesta di Cristo non si ferma al cuore. È vero, lì parte ogni discorso di fede perché se il cuore non è di Dio, non vi regna Cristo come Signore è inutile ogni altra azione e preoccupazione pastorale. L’interiorità è custodita nella veglia, nello stare desti, come la sentinella sul monte che attende il sorgere del sole. La vigilanza è uno stato permanente per il cristiano. Non occupa un tempo, come un lavoro da espletare, né un momento particolare della giornate come un’attività da compiere tra le mille della giornata. Il cuore e solo il cuore può e deve vegliare. “Vegliate – dice Gesù – in ogni tempo” (v. 36), ovvero state saldi, attenti, desti, con lo sguardo vigile, le mani operose, la mente intenta a pensare, il cuore fisso ad amare. E questo sempre, in ogni tempo! Solo chi ama, veglia ed attende, come le vergini sagge. Potrà anche venire il sonno, anche le sentinelle possono vivere dei colpi bassi da parte di Morfeo, perché tutti siamo fragili, l’importante è custodire l’olio dell’amore nei piccoli vasi del cuore.

Si veglia se la vita ha un senso, se c’è una persona da aspettare, un figlio la cui mano va tenuta stretta perché il sonno non lo abbandoni. Solo l’amore è capace di vegliare anche su chi riposa – “Non svegliate l’amore finché egli lo voglia”, dice la sposa del Cantico dei Cantici 3,5– quando l’amato è vinto dal sonno e dalla stanchezza. La veglia nasce dall’amore e si nutre della contemplazione e della preghiera. La contemplazione rinvia allo sguardo – gli occhi sono fissi per scorgere colui che si attende – mentre la preghiera riguarda le labbra ed il cuore che si consumano nel dialogo con l’Atteso, già presente nell’amore del cuore di chi ama. Pregare non significa abbandonarsi all’ozio, ma pensare ed agire come se l’Atteso fosse già presente, in persona, davanti a noi. Chi contempla vede la realtà nell’ottica di Dio, scorge la sua presenza anche quando non lo si vede concretamente, dialoga con Lui mentre tutto sembra contrario alla sua voce, mentre le vicissitudini del mondo e della storia cercano di cantare la sconfitta del suo amore crocifisso.

Chi ama, veglia, chi veglia prega, chi prega riceve forza da Dio per sfuggire al male. Ciò che manca alla nostra umanità stanca e sfinita, spesso alle nostre famiglie e comunità religiose ed ecclesiali è il canto della fedeltà nella preghiera, è la voce della sposa che attende il ritorno dello Sposo. La preghiera è questo dialogo che ridesta la speranza e fa crescere nella consapevolezza di non essere mai soli. Nella preghiera Dio ti è accanto, pensa in te, combatte con te, apre il cuore ad accogliere la sua volontà e lascia scorrere nelle tue vene il sangue del suo Figlio, linfa della vita divina in noi. Più preghi, più ricevi forza, una potenza misteriosa d’amore grazia alle quale porti i pesi della vita con Lui che è la tua vita, la tua forza, il vigore dei tuoi anni giovanili, l’energia del tuo declino. “Riceverete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi” (At 1,8). La forza si riceve da Lui, solo da Lui, forza per non soccombere al male, non essere vinti dalla vendetta, per non ricambiare l’offesa con la medesima moneta, per non abbandonarsi alla violenza. Solo la forza che viene da Dio è l’umiltà che accoglie la morte, l’offerta che dimentica l’offesa, il sacrificio che non conosce confini. Dobbiamo chiedere a Dio la forza oggi più che mai, in una società che ci ha abituati a confidare nelle capacità dell’uomo e a non alzare lo sguardo per contemplare l’opera della creazione. “Il Signore è la mia forza. Egli rende i miei piedi come quelli delle cetre e sulle alture mi fa stare saldo” (Abacuc 3,19) è il cantico che deve illuminare il nostro vegliare, il nostro essere sentinelle l’uno nella vita dell’altro.

La fiaccola della Parola di Dio rispenda sul candelabro delle nostre famiglie e, come la stella per i Magi, ci indici la direzione del nostro cammino incontro al Signore che viene.

 

Liturgia dell’Avvento in famiglia

In un angolo delle casa ben in vista oppure accanto al presepe che si sta allestendo, è bene collocare quattro candele per richiamare l’impegno di ogni famiglia a vegliare e pregare durante le quattro settimane che formano il Tempo di avvento. Si pensi ogni giorni a ritagliare un po’ di tempo per leggere insieme un salmo oppure per una decina del rosario o per una preghiera spontanea. Quella che segue, rivolta a Maria, Madre di Gesù e nostra, ed ispirata al Vangelo della Prima Domenica di Avvento, può guidare il nostro pregare in famiglia.

O Maria, Vergine dell’attesa e del silenzio,
insegna alla nostra famiglia
a vegliare senza essere vinti dal sonno.
Mostraci il segreto dell’amore che ha in Cristo la sorgente
perché le notti del nostro soffrire
siano illuminate dal dialogo confidente con Dio.
La trame dei nostri giorni e delle nostre vite insieme
siano l’intreccio dei fili dell’amore provvidente del Padre
che conta i capelli del capo
e si cura di noi più che dei gigli del campo.
Insegnaci la cura dell’altro,
la custodia dei piccoli, la difesa dei deboli
perché l’Amore sia la nostra unica forza,
la roccia salda che ci salva da ogni attacco del male.
Amen.




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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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2 risposte su “Solo chi ama, veglia ed attende”

Certo che lo gradisco l’articolo.
Ma sugli smartphone è impensabile che un numero appena sufficiente si metta a leggere un articolo così ponderoso. Io lo condivido sul gruppo parrocchiale FB ma lo faccio con poca speranza …. un po’ certamente.
Mi chiedo: “Sarà possibile per voi riuscire a produrre questo commento adatto ad una lettura «telefonica»?
Vive cordialità e buon avvento!

Enrico Berardo, diacono permanente

Vorrei dire davvero grazie a fra Vincenzo per l’aiuto e la competenza del commento che ci propone. “Ad multos annos” e buon Avvento!

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