XXV Domenica del T. O. – B

Se l’amore non giunge alla consegna non è amore

di fra Vincenzo Ippolito

Gesù salva sempre, il suo amore purifica, la sua grazia redime, la sua Presenza rinnova l’amore, la sua consegna motiva la nostra. Io trovo forza di consegnarmi nella mani dell’altro se guardo verso Gesù, come un giorno ho stretto la mano della persona che mi ha condotto per amore all’altare, guardando verso l’Eucaristia che il segno massimo dell’amore di Dio che si perpetua nel tempo dell’uomo.

Testo Mc 9,30-37

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

Giunsero a Cafarnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».


 

È iniziata, con il Vangelo della scorsa domenica (cf. Mc 8,27-35), la seconda parte del cammino che Marco propone alla sua comunità. Per il discepolo, sembra dire l’Evangelista, non ci sono vie alternative nel seguire il Maestro. Egli apertamente sta parlando della via della croce come unica possibilità di vivere in pienezza l’amore del Padre. Si tratta di una strada in salita nella quale le esigenze della vocazione conducono ogni discepolo verso il Calvario. Lo stesso cammino non semplice attende anche noi al seguito di Gesù.

Gesù, il Maestro mai stanco di insegnare

La vita di Gesù con i suoi è scandita da due movimenti, camminare con i piedi e convertirsi con il cuore. Il Maestro, infatti, è in una corsa continua per seminare la parola del Regno e, al tempo stesso, strada facendo, insegna ed apre le menti dei discepoli alla comprensione del mistero di Dio. Si insegna con la vita e con la parola, si predica con la lingua ed il cuore ed è questo che il Signore fa senza risparmiarsi. Ora però è venuto il tempo di parlare senza giri di parole, di indicare con chiarezza l’altezza del Golgota come meta del suo itinerario di amore, di provare con il fuoco l’oro della mente e del cuore dei discepoli perché comprendano cosa comporti accogliere nei solchi della propria vita il seme di Dio che è il suo Figlio Gesù. Parole di verità, parole esigenti sono quelle che Gesù consegna a chi lo segue. Nelle parole dona la sua volontà di fare ciò che piace al Padre, con le parole invita a seguirlo senza paura lasciando che l’amore prevalga e vinca sulle tenebre della morte e del male. Gesù si consegna nelle parole, le parole ne rivelano i desideri, ne esprimono i sentimenti, manifestano le intenzioni, palesano i sogni. La parola in Gesù mai nasconde, ma sempre rivela, illumina, apre strade nuove, propone cammini belli, pur se in salita.

Quante volte le nostre parole nascondono, invece di rivelare! Eppure la famiglia, ogni famiglia, ogni rapporto insieme sigillato dal sacramento nuziale è nata da parole di consegna e di accoglienza – Io accolgo te! – che traduceva i moti del cuore, i sogni della mente, la sete dello sguardo, i desideri di mani sempre tese ad accogliere e a custodire l’altro. Il tempo può – di fatto così capita e la possibilità diviene realtà innegabile! – logorare le parole ed indebolire la volontà, consumare i sentimenti ed appesantire il cuore, tagliare le gambe ai sogni e frustrare i desideri. Catapultati nella quotidiana lotta tra famiglia e figli, casa e lavoro, tra attività secondarie che spesso prendono il posto di cose importanti, le parole non sono più il segno della ricerca indefessa del bene, non traducono più la verità pensata ed amata, divengono parole di circostanza, si trascinano per inerzia, si scambiano per necessità, ma non hanno più il profumo dell’amore, il sorriso della spensierata giovinezza, i colori variegati della gioia che nulla può scalfire. È necessario rigenerare il cuore perché le parole riprendano vita, aprirsi con docilità alla Grazia perché i discorsi nostri siano pietre miliari nella ricostruzioni di rapporti duraturi. Abbiamo bisogno di parole nuove, di parole vere, capaci di comunicare linfa di vita, parole coraggiose che vincano la paura di non essere accolti, di parole d’amore che sbaraglino il tedio del tempo che passa.

Da Gesù dobbiamo imparare la chiarezza ed il coraggio del parlare, la determinazione nel dire, l’autenticità e la schiettezza del rivelarsi. Dal Vangelo che è Gesù dobbiamo imparare ad usare le parole senza paura, senza lasciarci prendere la mano dalla reazione che l’altro potrà avere. La verità è luce sempre e le parole nostre devono rivelare la verità del cuore, illuminare la mente dell’altro, togliere impedimenti perché il cammino di coppia e di famiglia cresca secondo Dio. Gesù può parlare con chiarezza e proporre ai suoi la misura alta del cammino di sequela perché Lui per primo ha idee chiare, sa quello che vuole dalla vita o, meglio ancora, ha consapevolezza di quanto il Padre gli chieda. Nel deserto ha iniziato a combattere contro Satana e sa bene che per l’uomo la lotta contro se stessi è all’ultimo colpo, perché il nostro io, l’egoismo e la volontà di superbia tarda a morire. La parola vera nasce dall’armonia del cuore e della mente, dal discernimento – dono dello Spirito da chiedere con perseveranza – perché ciascuno possa dire e chiedere all’altro ciò che egli per primo cerca di attuare nel suo cammino. La chiarezza di intenzioni è un dono, come anche la limpidezza di una ragionamento mai teso a cercare il proprio interesse, ma il vero bene secondo Dio. In Gesù la parola è frutto del concepimento d’amore tra la volontà del Padre accolta nel grembo docile della mente del Figlio e lo Spirito cesella la parola umana perché le labbra di Gesù trasmettano la Grazia eterna in una dimensione temporale. Non è forse questo l’itinerario che attende anche gli sposi cristiani? La generazione dei figli non è forse il perpetuarsi nella carne di una dinamica di accoglienza e dono che le parole già manifestano?

Nelle mani dell’altro, ad ogni costo

Leggendo con acume, sotta la luce dello Spirito, il brano evangelico di Marco, ci si rende conto che cuore del discorso di Gesù e causa di destabilizzazione per i discepoli è la consegna che giunge alla croce. È giunto il momento, Marco lo fa comprendere tra le fila del suo dire, in cui il discepolo lasci il latte dell’insegnamento semplice ed incominci a mangiare, da adulto, il cibo solido del Vangelo che rompe gli argini della mentalità umana ed apre un cammino nuovo solo per chi ha il coraggio di inoltrarsi nel deserto, con la sicura speranza che Dio fa scorrere fiumi nella steppa (cf. Is ). Masticare la parola del Maestro non è certo semplice per chi non vive l’armonia tra ciò che si pensa e quanto si dice, interrompendo il concepimento delle parole generate dalla mente e dal cuore, aborto causato dalla paura che conduce le labbra ad addolcire, e spesso a tradire, la verità pensata e creduta. La parola di Gesù non inganna, né se stesso né tantomeno i suoi.

L’amore è vero solo se si consegna nelle mani dell’altro, nella povertà di accogliere da lui non il ritorno dell’amore, ma l’offesa, il torto come anche la morte. Gesù ha chiaro in sé il cammino che lo attende ed invita i suoi a partecipare al suo calice come amici che non si tirano indietro nella solidarietà e nella condivisione. Se l’amore non giunge alla consegna non è amore. C’è in noi sempre il timore di abbandonarsi nelle mani dell’altro come il bambino che, tra le braccia del genitore, chiede sempre, nel timore di cadere: “Papà prendimi!”. La consegna che Gesù vive è senza calcoli, non dipende da chi ha davanti, ma dalla sua volontà di perseverare nel dono, in obbedienza la Padre. Si lascia cadere nelle mani degli uomini, come il seme nella terra, come il Pane dell’Eucaristia che viene deposto nelle nostre mani segno della perpetua consegna di Gesù nelle mani dei discepoli di ogni tempo.

Come fa Gesù a non aver paura della nostre mani? Come fa a non temere la morte che gli infliggiamo, gli scherni gratuiti ed immeritati con cui lo offendiamo, i colpi di martello che forano le sue mani rendendole, paradossalmente, fenditure di misericordia, sorgenti di una perenne effusione di grazie? Gesù non si ritrae nella consegna come noi, non riprende indietro la vita che dona, ciò che fa è per sempre ed il suo amore è scandito da quella totalità che è incapace di ritrarsi dinanzi all’offesa, di rispondere con violenza al tradimento, di opporre resistenza alla morte. La sua non è l’atarassia del saggio stoico a cui nulla e nessuno può togliere la pace interiore, ma è la logica dell’amore che accoglie, del silenzio che perdona, del dono che si perpetua con fedeltà nel tempo. Noi uomini viviamo il part time, la consegna temporanea, quando le mani dell’altro si chiudono e ci procurano il dolore dall’appropriazione, scappiamo via, esse non sono più le mani che ci accolsero, ci abbracciarono, ci strinsero, ci custodirono un giorno. Le mani dell’altro fanno paura quando divengono come quelle di Caino, quando stringono nell’abbraccio del tradimento come quelle di Dalila con Sansone. Allora la consegna conosce battute di arresto e ci si ritrae nel dono e nell’offerta di sé. Allora si mette in dubbio l’amore di un tempo e ci si lascia portare dalla corrente dei giorni che passano.

Guardare a Gesù significa trovare salvezza sempre, quando si è morsi dai serpenti velenosi della stanchezza e dell’infedeltà, nel deserto della solitudine nel quale i figli sono il motivo della gioia e dello stare ancorati all’isolotto della propria famiglia. Gesù salva sempre, il suo amore purifica, la sua grazia redime, la sua Presenza rinnova l’amore, la sua consegna motiva la nostra, il suo dono abilita il cuore che in Lui confida al sacrificio e all’offerta nella forza dello Spirito che è amore smisurato. Io trovo forza di consegnarmi nella mani dell’altro se guardo verso Gesù, come un giorno ho stretto la mano della persona che mi ha condotto per amore all’altare, guardando verso l’Eucaristia che il segno massimo dell’amore di Dio che si perpetua nel tempo dell’uomo. È questo che dobbiamo comprendere, la parola della croce è l’unico programma che Gesù propone ai suoi, non ce ne sono altri, non esistono via alternative per vivere il sacramento nuziale. E nel dono mi realizzo come creatura, immagine e somiglianza di Dio, nell’offerta di quello che sono ed ho alla persona che mi è accanto ricompongo l’armonia che Adamo ed Eva non riuscirono a conservare e a donarsi in reciprocità d’amore.  

I diversi criteri di giudizio nel Regno di Cristo

I discepoli non comprendono la parola del Maestro e, cosa ancora più grave, hanno paura di chiedere spiegazioni e di essere illuminati. Questo non solo nella cerchia dei Dodici, ma anche tra noi. La paura spesso ci impedisce di dialogare, di chiedere spiegazioni, il timore che l’altro possa mal giudicarci quello che fatichiamo a dire ci blocca e rimaniamo nel limbo dell’incomprensione e del dubbio ed è allora che la mente fantastica ed il cuore trema. L’incomprensione si supera con l’umiltà del chiedere, che è poi capacità di saper chiedere perché non basta domandare spiegazioni, è importante come si chiedono le cose. Questo soprattutto tra gli sposi ed in famiglia. Spesso basterebbe poco per venirsi incontro, ci sono delle parole che sono magiche e aprono il cuore dell’altro – papa Francesco ne indica tre: grazie, prego, scusa! – e vincono la durezza ed il timore. Nel dialogo e nella relazione, la violenza e la superbia, unitamente all’ira, sono delle cattive consigliere, non creano comunione, ma gettano solo scompiglio, costruendo muri talvolta invalicabili di sfiducia e diffidenza. È necessario avere il coraggio di vincere la paura e superare l’omertà, mai imboccare la via dell’equilibrismo nei nostri rapporti, trovando tempi e modi più appropriati per intessere, con determinata ed amorosa pazienza, un dialogo pacato e costruttivo. E questo perché quando non c’è chiarezza, si continua sulla propria strada considerata giusta e si crede di procedere bene.

Se i discepoli avessero capito la parola del Maestro non si sarebbero dilungati lungo la via a discutere su chi tra loro doveva essere considerare più grande! Invece quale paradosso l’evangelista Marco ci racconta, con il sorriso ironico di chi sa che il Maestro viaggia su altre strade. Difatti, le vie di Dio non sono quelle dell’uomo. Gesù parla di consegna e di morte, di vita e di resurrezione dopo tre giorni perché il seme, caduto in terra, dia frutto e i discepoli si beccano tra loro nello stabilire il primato e la grandezza al pari dei grandi del mondo; Gesù parla di piccolezza e di minorità, mentre i suoi di potere e di prestigio; il Cristo descrive la sua consegna nella altri mani e quanti lo seguono pensano di stringere tra le proprie mani le altrui sorti. Al seguito del Maestro ci sono momenti in cui non si salva nessuno, neppure uno dei discepoli e sembra che la missione del Cristo sia un totale fallimento. Proprio in quei momenti il seme sta cadendo in terra e sta portando frutto, attraverso la morte a se stesso. Se non comprendono la sua parola chi gli vive accanto, gomito a gomito, cosa succederà con gli altri?

Stare con Gesù e pensarla diversamente da Lui, mangiare il suo Pane, ascoltare la sua Parola e non lasciarsi scalfire nel profondo del cuore può capitare e capita anche a noi. Il seguito del Nazareno, la Chiesa di ieri e quella di oggi, non è una comunità di perfetti, ma di uomini e donne in conversione permanete, un ospedale da campo – l’immagine è di Papa Francesco – dove tutti trovano la misericordia che guarisce il male del cuore e ci risolveva per riprendere il cammino dopo l’inevitabile convalescenza che segue alla vittoria sul morbo del peccato. Questa è la Chiesa, il corpo di Cristo presente nella storia che profuma dello Spirito del Risorto, un corpo che, al pari di quello che il Verbo ha preso nel grembo della Vergine, è debole, fragile, soggetto alla stanchezza e al tempo.   

Gesù continua ad ammaestrare i discepoli e con la parola sua li guarisce perché nella Chiesa e nella famiglia, in ogni comunità dei discepoli non è solo di fondamentale importanza rimettere i peccati, ma istruire i peccatori – una delle opere di misericordia spirituali è proprio istruire gli ignoranti! – perché spesso si sbaglia per ignoranza o si continua a cadere nel peccato perché non si conoscono bene le proprie debolezze che sono il terreno fertile dove il batterio del Demonio debilita la nostra vita e ci comunica il veleno della morte. Il Signore desidera custodire i suoi dal maligno – sarà questa la preghiera che Gesù eleverà al Padre nella sera del tradimento – e spiega come estirpare dal campo delle relazioni la radice della superbia, la gramigna della grandezza mondana, la zizzania del comando tirannico, loglio della presunzione che mortifica il fratello e lo schiavizza. Quante liti tra marito e moglie sul primato, su chi ha ragione nell’educare i figli, su quale decisione bisogna prendere in ogni argomento! Ogni cosa è spesso un ottimo pretesto per affermare se stessi ed il proprio punto di vista, quando, invece, ogni occasione dovrebbe essere propizia per crescere nel confronto e nel dialogo! Le relazioni divengono così un’altalena, una volta hai ragione tu, poi io e così non si costruisce nulla, non si matura nel rapporto, se non si innesca la legge del più forte, prevale quella della turnazione!

Di diversa lega è invece la comunicazione che Gesù attua con i suoi discepoli. Il Maestro, infatti, non parla, non si lascia vincere dall’impulsività di riprendere l’errore e ristabilire il diritto e la giustizia tra i suoi. Gesù anche qui è il tenerissimo Agnello che toglie il peccato dei suoi. In silenzio prende un fanciullo, lo pone nel mezzo e lo abbraccia. Gesti semplici che profumano di amore, che sanno di famiglia, che smontano le parole fuori posto. Sono i gesti semplici che smontano i discorsi dei grandi, gesti schietti, puri, spontanei. Il Signore riporta i suoi alle cose essenziali. Il suo gesto crea il silenzio che prepara l’accoglienza della parola e, al tempo stesso, sgombra il terreno facendo nascere la curiosità di ciò che accadrà. Se riuscissimo a rispondere alle parole di offesa con gesti di amore, ai peccati ricevuti, alle infedeltà subite con quella tenerezza che non condanna, ma che pone in discussione l’altro. Questo vuole Gesù, che i suoi si mettano in discussione, che rientrino in sé, come il figlio prodigo e si interroghino sulle questioni nevralgiche, quelle che spingono a risposte che sono poi programmi di vita nuova, capaci di far cambiare rotta alla navicella della propria vita. Gesù sta dicendo con il fare – il dire vero e proprio verrà dopo – “Se rimani bambino nessuno avrà paura di avvicinarsi a te, di abbracciarti, di amarti, di stringerti al suo cuore, di prendersi cura di te. Se ti incallisci nel male, alzi continuamente la voce per far valere i tuoi diritti, ti indurisci nel volto perché nessuno si prenda gioco di te, intorno farai nascere il timore e nessuno ti amerà per come sei, ma ti si temerà per come ti mostri e agisci”. Un cucchiaino di miele attira più mosche di un barile di aceto, diceva san Francesco di Sales. È la rivoluzione della tenerezza, frutto della docilità allo Spirito di Gesù che opera nel cuore del discepolo.

È Dio che difende i piccoli, se rimani bambino Egli sarà il tuo rifugio, il suo abbraccio ti salverà, la sua mano forte ti afferrerà sempre. Se come famiglia viviamo nelle mani di Dio, non dovremo temere nulla, ma proprio nulla, perché la casa dei nostri rapporti sarà fondata sulla salda roccia che è Lui, il suo amore e la sua Parola. E così ogni nostro gesto sarà fatto per Lui, nel suo nome santo che tutto rinnova, nell’accoglienza incondizionata dell’altro nel quale, misteriosamente, vive l’immagine e la somiglianza di quel Dio che non ha paura d’impastarsi continuamente con la nostra debolezza. Fare tutto per Dio, accogliersi nel suo nome è il programma che ci attende in questa settimana perché le nostre famiglie rivelino nella Chiesa e nel mondo il volto di Dio che è misericordia che si dona, tenerezza che si consegna, compassione che si effonde come profumo di vita.




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