Solidarietà familiare
Solidarietà? “Partecipo se mi fido”
di Marco Giordano
Nuovo appuntamento con la rubrica affidata al presidente della Federazione Progetto Famiglia: per coinvolgere le famiglie in esperienze di solidarietà familiare è necessario instaurare una relazione di fiducia.
Fin dalle prime iniziative di coinvolgimento di nuove famiglie in esperienze di solidarietà è necessario che i promotori, oltre a proporre le attività concrete in cui tali famiglie sono invitate ad impegnarsi, attivino un adeguato processo di incontro, conoscenza e relazione che porti, man mano, alla nascita e al consolidamento di un “gruppo parrocchiale di famiglie solidali”.
Detta in altri termini: è necessario che l’invito a partecipare alle attività pratiche sia integrato anche da un’offerta di relazioni. Anzi, a ben vedere, le relazioni addirittura devono poter precedere – sia cronologicamente che in termini di importanza – il fare.
Cenni e indicazioni in tal senso li troviamo già nella Carta Pastorale della Caritas Italiana del 1995, laddove si suggerisce che gli itinerari di promozione volti a «coltivare espressioni del dono sincero di sé e favorire la diffusione di stili di gratuità – siano – tendenzialmente sempre comunitari» (Caritas Italiana, Lo riconobbero nello spezzare il pane, 41).
L’importanza di questo doppio binario è confermata dagli scarsi esiti di coinvolgimento che ottengono le iniziative incentrate solo sull’invito ad impegnarsi.
La distribuzione di volantini, l’affissione di locandine e manifesti, gli annunci in occasione delle celebrazioni domenicali sortiscono effetti assai modesti, per lo più limitati a coloro che già frequentano la parrocchia assiduamente.
Coinvolgere anche i “cristiani della domenica” o, addirittura, coloro che non frequentano affatto, è cosa quasi impossibile con la semplice attività promozionale.
Numerose esperienze mostrano come si raggiungano maggiori risultati allorquando l’informazione e la sensibilizzazione sono veicolate per il tramite delle reti relazionali dirette.
Uno slogan molto chiaro è “Partecipo se mi fido”. Non che la comunicazione collettiva sia in assoluto inutile. Va considerata, però, per quello che è, e cioè essenzialmente uno strumento di informazione.
Eccetto casi di famiglie già molto motivate, la “gente normale” mette in conto l’ipotesi di impegnarsi nelle strade della solidarietà familiare soltanto se la proposta gli arriva non da un volantino o da un annuncio generale ma dall’invito diretto fattogli da una persona che già conosce (e di cui si fida).
Più che cercare famiglie disponibili alla solidarietà, bisogna lavorare a monte, favorendo la costruzione di legami interpersonali tra le famiglie del quartiere, nella convinzione che è solo su un forte terreno relazionale che può germogliare la pianticella della solidarietà.
Il parroco, gli operatori pastorali e le famiglie aggregatrici si impegneranno quindi nella costruzione di una comunità solidale proponendo alle famiglie della parrocchia e del quartiere di impegnarsi in uno stare insieme relazionale e solidale.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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