unioni civili
Gender, corsi di “rieducazione” per chi si oppone
di Gabriele Soliani
“Diritto all’amore” e “diritti affettivi” sono questi i termini usati per suscitare consensi e simpatia verso le unioni civili. Fin dove si spingerà lo Stato? Introdurremo anche in Italia come in Canada il “pink day” e l’insegnamento a scuola dell’ideologia gender?
Il versante delle richieste per le unioni civili omosessuali ora si è spostato sul cosiddetto “diritto all’amore” o “diritto affettivo”. Durante la manifestazione dell’orgoglio omosessuale di sabato 11 luglio a Napoli si sentivano ripetere slogan come: “Matrimonio, matrimonio” e “L’amore è un diritto”. È facile avere consensi o suscitare simpatia e comprensione quando si parla di “amore”. Una persona può vivere come vuole e con chi vuole ma lo Stato – lo sappiamo – non può misurare l’amore fra due persone e vigilare su di esse per capire se lo applicano o meno. Allo Stato interessa che siano rispettate le leggi, che è proprio quello che la laicità positiva chiede, altrimenti si tratterebbe di uno Stato etico. Se lo Stato si mettesse a legiferare sui “diritti affettivi” degli adulti andrebbe in contraddizione, per esempio, con la legge sul divorzio del 1970, confermata con il 59,1% dal referendum popolare del 1974. Infatti, il coniuge che non accetta il divorzio potrebbe avvalersi dei “diritti affettivi” e rendere anticostituzionale una legge che prevede la rottura di una relazione affettiva. Il “diritto all’amore” sembra dunque uno slogan ad effetto usato per confondere le acque e per ottenere consensi sulle unioni omosessuali. Così come i “diritti affettivi” – che in realtà non esistono – sono un’invenzione usata per avere ciò che piace da estendere come legge.
Il “diritto all’amore” – se proprio vogliamo parlarne – dovremmo applicarlo al bambino, al suo diritto ad avere una madre che l’ha concepito e partorito e un padre che gli ha dato il suo seme.
Reso legale il matrimonio o le unioni omosessuali è evidente che subito dopo dovrà essere modificato il concetto di “genitore”. In Canada, per esempio, dove il matrimonio “per tutti” è legale dal 2005, è stato ridefinito il concetto legale di genitore. La norma C-38 include una misura che elimina il termine “genitori naturali” rimpiazzandolo con quello di “genitori legali”. Ora tutti i bambini canadesi hanno dei genitori “legali”, definiti e concessi (bontà sua) dallo Stato. Inoltre, l’approvazione del “matrimonio per tutti” ha modificato la libertà di espressione, di stampa, religiosa e associativa. Chi in Canada mette in discussione il matrimonio gay, o scrive che un bambino ha diritto ad avere un padre e una madre, viene considerato “omofobo” e può subire provvedimenti disciplinari, licenziamenti o anche processi. Si può essere multati, e addirittura forzati a frequentare corsi di “rieducazione”.
Per questo le scuole che ricevono fondi pubblici, incluse quelle cattoliche, hanno introdotto l’insegnamento dell’ideologia gender, festeggiano il “Pink Day”, la giornata contro la discriminazione e il bullismo, e ammettono al loro interno i club Lgbt. Modificata la maternità e la paternità “biologica” lo Stato cancella il primo e fondamentale diritto dei bambini e cioè il bisogno di conoscere ed essere cresciuti dai propri genitori biologici.
In Italia alcuni giornali di grande tiratura – forse anche loro stupiti dalle stranezze della teoria “gender” – hanno scritto che il “gender” è un’invenzione del Vaticano e di qualche testa calda che ha organizzato la manifestazione del 20 giugno in piazza San Giovanni a Roma. Ma la realtà invece è che una volta imboccata la strada della tutela legale del matrimonio “per tutti” anche le dirette conseguenze chiederanno nuove leggi per essere riconosciute parte della società civile. Chi si oppone non lo fa per bigottismo o ripicca ma perché ha valide e razionali motivazioni.
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1 risposta su “Gender, corsi di “rieducazione” per chi si oppone”
Cosa poter fare concretamente per poter difendere i nostri figli da questa ideologia folle e demoniaca?
Vincenzo