Matrimonio

Sposarsi? Ecco 10 buone ragioni per fare il grande passo

Sposarsi

di Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese

I giovani non si sposano più, preferendo le convivenze. Cala il tasso di natalità. La società si sfilaccia poggiandosi su relazioni sempre più fragili e temporanee. Perché sposarsi? Dieci buone ragioni per scommettere sul “sì per sempre”.

Le indagini sulla famiglia in Europa registrano il calo del tasso di nuzialità, il prolungarsi dell’età del matrimonio, il calo del tasso di natalità, l’invecchiamento della popolazione a fronte della popolazione musulmana in aumento, giovane e prolifica, lo scarso aiuto degli Stati per le politiche a favore della famiglia e specialmente la mancanza di un concetto di famiglia condiviso.

Ci riferiamo, in particolare, alla disaffezione dei giovani al matrimonio cosiddetto “tradizionale” e la tendenza a preferire libere convivenze riservandosi una “exit option”.

In base a quali criteri le giovani coppie decidono o meno di sposarsi e\o convivere? Negli anni di insegnamento di Sociologia della famiglia all’Università ci siamo spesso sentiti dire dagli studenti che il matrimonio è una istituzione voluta/imposta dalla Chiesa e dallo Stato. Constatiamo che i giovani innamorati si pongono una quantità di problemi sul loro futuro che li lasciano perplessi sul matrimonio e spesso si convincono ad evitarlo o rimandarlo all’infinito. Queste le domande che più comunemente si pongono al riguardo:

  • Il matrimonio è una formalità burocratica e oppressiva?
  • L’essere umano, liberato dai vincoli, vivrebbe meglio in un mondo senza matrimoni e obblighi di fedeltà?
  • Come mai le statistiche registrano in linea di principio la persistente fiducia nella famiglia, anche da parte degli adolescenti, mentre di fatto, nella propria situazione esistenziale, si guarda al matrimonio come catena, “tomba dell’amore”, prigione a vita?
  • Ci sono motivazioni ragionevoli e convincenti per cui il matrimonio giovi al buon essere della persona, delle società, degli Stati?
  • Vale la pena promettere amore e fedeltà per tutta la vita, a rischio di rotture traumatiche, complicazioni giuridiche e spese alle stelle?
  • L’amore ha in sé la possibilità di restare fresco e forte lungo tutta una vita? Quali le condizioni per la riuscita di un rapporto di coppia?
  • Per quali ragioni si dovrebbe  preferire la famiglia ad altre forme di amore libero?

Riteniamo necessario evidenziare la radice antropologica e sociale su cui s’innesta l’antichissima istituzione matrimoniale, convinti che oggi non basti preparare i giovani al matrimonio ma occorra educarli all’amore altruista e fedele sin dall’infanzia e aiutarli a riflettere sul senso di una istituzione che ha segnato nella storia l’affermarsi della civiltà sulla barbarie, proprio quando gli esseri umani, come ha ben avvertito U. Foscolo in Dei Sepolcri, cominciano ad istituire forme legali come le nozze, le leggi e le organizzazioni ecclesiali: vi si legge che la civiltà è nata “dal dì che nozze, tribunali ed are dier alle umane genti d’essere pietose di se stesse e d’altrui”1.

Confrontarsi con i giovani su queste sfide non mira a condizionare le loro scelte, ma ad aiutarli a comprendere perché il matrimonio ha senso, giova all’amore reciproco e mette buoni e stabili puntelli per una migliore qualità della loro vita.

Una panoramica sui dati

In Gran Bretagna il numero di chi va a vivere insieme senza matrimonio ha superato quello degli sposati. Negli USA i matrimoni sono scesi complessivamente al 49%. In Italia, le coppie conviventi sono in continuo aumento. Se nel 2007 erano meno del 5 per cento (poco più di 630.000), sono arrivate a circa un milione nel 2011, a fronte di un calo dei matrimoni nello stesso periodo del 5% annuo. Le cose cambiano rapidamente nelle nuove generazioni (scelgono le convivenze soprattutto le giovani che hanno studiato) e in relazione alle regioni di residenza (le percentuali sono tre volte più basse al Sud).

Il trend è in crescita. Le quarantenni nate alla fine degli anni Sessanta hanno scelto la convivenza in un caso su quattro, chi è nata nella prima metà degli anni Settanta lo ha fatto in un caso su tre. Si calcola che nel 2015, con la crisi, le convivenze supereranno i matrimoni, come già avviene nelle grandi città del Nord e che le diciottenni di oggi non si sposeranno senza prima aver provato a convivere, in media per due anni. I sociologi le considerano coppie più fragili, ma anche più paritarie del passato per stile di vita, condivisione dei lavori domestici, età e reddito; preferiscono rinunciare al patto definitivo e ideali alti di amore, a vantaggio di una continua verifica della relazione di coppia; vogliono controllare se la convivenza peggiorerà  la vita, come lui\lei si comporterà effettivamente… Si parla di una “strategia adattativa”, come paura dei legami “eterni” a vantaggio di legami precari, mobili, negoziabili. Non si tratta tanto di un rifiuto motivato e deciso  del matrimonio, ma di una sfiducia nella possibilità di realizzare pienamente nel matrimonio le aspettative che l’amore suscita. Il matrimonio resta un traguardo possibile, ma solo dopo che si è sottoposto a verifica il rapporto di coppia, in un confronto continuo che dovrà confermare o smentire la scelta.

Le giovani coppie giungono a queste conclusioni circondati come sono, nella realtà e nei media, da numerosi vissuti matrimoniali fallimentari con infinite sofferenze e guerre familiari. Lo scoraggiamento prende il posto del gioioso incontro con la persona con cui condividere la vita.

Bisognerebbe soffermarsi meno sulle fragilità e sulle patologie del matrimonio – come tendono a fare certi sociologi e giornalisti – per approfondire invece a quali condizioni può avere successo. Significativo quanto scritto da Bonhoeffer  in Lettera a due sposi (maggio 1943): «Il matrimonio è più del vostro amore reciproco. Ha maggiore dignità e maggior potere. Finché siete solo voi ad amarvi, il vostro sguardo si limita nel riquadro isolato della vostra coppia. Entrando nel matrimonio siete invece un anello della catena di generazioni che Dio fa andare e venire e chiama al suo Regno. Nel vostro sentimento godete solo il cielo privato della vostra felicità. Nel matrimonio, invece, venite collocati attivamente nel mondo e ne divenite responsabili. Il sentimento del vostro amore appartiene a voi soli. Il matrimonio, invece, è un’investitura e un ufficio. Per fare un re non basta che lui ne abbia voglia, occorre che gli riconoscano l’incarico di regnare. Così non è la voglia di amarvi, che vi stabilisce come strumento della vita. È il matrimonio che ve ne rende atti. Non è il vostro amore che sostiene il matrimonio: è il matrimonio che d’ora in poi, porta sulle spalle il vostro amore. Dio vi unisce in matrimonio: non lo fate voi, è Dio che lo fa. Dio protegge la vostra unità indissolubile di fronte ad ogni pericolo che la minaccia dall’interno e dall’esterno. Dio è il garante dell’indissolubilità. È una gioiosa certezza sapere che nessuna potenza terrena, nessuna tentazione, nessuna debolezza potranno sciogliere ciò che Dio ha unito».

Le ragioni per intendere il matrimonio come “cosa buona”

Tra le ragioni da esplicitare, in maniera ragionevole e “laica” per comprendere il matrimonio come “cosa buona” e dunque antropologicamente fondata e preziosa per la persona e per la società, riteniamo se ne debbano approfondire soprattutto 102:

  1. Il tempo di decidere della propria vita. In un’epoca di rimando delle scelte, tanto da renderle difficoltose e infine impossibili, è importante educare ed educarsi a divenire adulti prendendo in mano la propria vita e decidere come e per chi spenderla.
  2. Investire sull’altro. L’altro non è aprioristicamente un “inferno”, né qualcuno da “provare” in senso meccanico e offensivo della sua dignità. L’investimento di fiducia nelle sue buone potenzialità genera risposte positive, è la premessa della regola d’oro (“Fa agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”), costruisce rapporti  di reciprocità.
  3. Lavorare sulle differenze. Dal matrimonio sarebbe ingenuo aspettarsi un paradiso di serenità. Esso è piuttosto un laboratorio in cui giorno dopo giorno s’impara a vivere con qualcuno, ad accoglierne i limiti a valorizzarne le risorse.
  4. Rapporti intergenerazionali. Nella famiglia le persone non sono inquadrate in delle categorie (commerciali, tributarie, sanitarie…), ma convivono imparando ad accogliere le differenze tra generazioni, il che consente, tra l’altro, la preziosa trasmissione del patrimonio culturale e religioso di una nazione oltre che delle memorie di una storia famigliare…
  5. Sessualità con e per l’altro. Nel matrimonio la sessualità non è abbandono all’istinto, ma si lega ad una promessa d’amore e dunque s’inscrive in un mondo umano e relazionale. Quando non è così i rapporti tendono a degenerare la persona e la società ad ammalarsi nelle numerose patologie psico-fisiche legate al cattivo uso del sesso, e sociali legate alla labilità dei rapporti e allo sfruttamento dell’altro (prostituzione, pedofilia..)
  6. Procreazione, futuro di un popolo. Anche se con il rispetto dei diritti civili si è sviluppata una sensibilità attenta a tutte le relazioni affettive; anche se la scienza fa di tutto per cercare di gestire la procreazione facendo a meno dell’abbraccio caldo di un uomo e di una donna, la natura sembra voler mantenere il suo segreto circa la vita umana affidata a un uomo e una donna che si abbracciano. Le nazioni sopravvivono perché uomo e una donna decidono di procreare e il matrimonio fa di questa procreazione un istituto protetto legato alla genealogia e alla eredità.
  7. Figli da accompagnare a vita. Due sposi non si limitano a procreare, ma accompagnano i figli per lunghi anni fino a che questi non si rendono capaci di gestire in prima persona la loro vita. Al matrimonio è correlato questo patto di generosità intergenerazionale, di tempo, di affetti, di risorse, che rende possibile ai figli di crescere sicuri dell’appoggio genitoriale.
  8. Stabilità dell’istituzione e rigenerazione del consenso. Molte coppie affrontano la convivenza come  propedeutica al matrimonio senza escludere di arrivare se e quando lo riterranno opportuno, a sposarsi in Comune o in Chiesa. Purtroppo non è così quando il legame si spezza ed essi costatano amaramente di aver speso gli anni migliori senza risultati, di aver fatto un “investimento” fallimentare di risorse di ogni tipo, di essere privi di tutele. Soprattutto le donne constatano di non avere più la possibilità di generare. In alcuni casi la convivenza viene vissuta come un periodo di preparazione centrato sulla qualità di una relazione di complicità e rispetto reciproco in vista di una unione più stabile e matura, che talvolta può risultare persino migliore rispetto a quelle regolarmente registrate in Comune e  in Chiesa,  ma segnate da indifferenza, micro-violenze e sofferenze soffocate tra le mura domestiche. Rimane comunque vero che col matrimonio due amanti decidono di stabilizzare la loro unione e renderla pubblica: una istituzione senza amore è uno scheletro, ma un amore senza istituzione è più fragile e più esposto ai rischi dell’abbandono.
  9. Una società da coinvolgere. Gli sposi e la società fanno un patto implicito di reciprocità: gli sposi rendono visibile il loro amore e lo istituzionalizzano e la società s’impegna a collaborare al mantenimento della famiglia nelle varie forme di sostegno. È vero che purtroppo le istituzioni dello Stato non danno adeguato risalto e corrispettivi aiuti ai nuclei familiari, ma spesso si finisce col fare per necessità ciò che non si è fatto per virtù. Così è per le politiche familiari, divengono rilevanti problemi come eutanasia, droga, assistenza, sovrappopolazione, ecologia, tutti temi in cui la famiglia svolge un ruolo decisivo ed è in grado di accorciare la distanza tra razionalità strumentale e astratta del macro-sistema e espressività della vita quotidiana.
  10. Perdono. Sebbene il perdono sia visto solo come una esigente virtù cristiana, esso è anche una indispensabile virtù civile: la società si regge sulla capacità di ricominciare, dunque di perdonare. Nella coppia, se si vuole mantenere il patto di fedeltà e di cura reciproche occorre imparare a perdonare il coniuge, i figli, i genitori per tutti quei comportamenti che arrecano sofferenza, per le trascuratezze, per le offese inflitte e subite.

In definitiva, i giovani andrebbero con meno pregiudizi verso il matrimonio se lo vedessero come un sostegno alla propria capacità di mantenere la promessa, alla fiducia in se stessi e nell’altro, alla gestione quotidiana dell’esistenza di una famiglia. Vivrebbero forse con meno pesantezza e con più gioiosa responsabilità la fedeltà coniugale, da cui dipende la loro felicità e quella dei figli. Senza gonfiare le attese ma anche senza rifiutare aprioristicamente il dono del matrimonio, vi vedrebbero un percorso di crescita nell’amore, per la possibilità di apprendere giorno dopo giorno la bellezza di un agire virtuoso attraverso la relazione di coppia (pazienza, rispetto, tolleranza, premura e cura…).

Tutto ciò vale anche per chi è diversamente credente, anche se si sa che la  fede, si esalta se poggia su un tessuto umano maturo e consapevole e ricolma di bene gli sposi con l’apporto decisivo della Grazia.


 

1 La prima edizione dei Sepolcri fu stampata a  Brescia, nel 1807; cf M Cerruti, Introduzione a Ugo Foscolo, Laterza, Bari 1990

2 Per un approfondimento di questo articolo, cf G. P. Di Nicola- A. Danese, Perché sposarsi? Viaggio tra obblighi, convenienze e scelte liberanti, San Paolo, Milano 2014.

Scopri il libro di Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese

http://www.edizionisanpaolo.it/varie_1/famiglia_1/progetto-famiglia/libro/perche-sposarsi.aspx




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