Storie

Il “segreto” per salvare tanti bimbi dall’aborto

Bambino

di Ida giangrande

È da tempo che la società si interroga su questioni etiche come l’aborto o l’eutanasia soprattutto in presenza di un handicap congenito o sopraggiunto. Come accogliere la vita anche quando è ferita? Come tutelare le donne che vogliano dare alla luce bambini disabili?

È da tempo che la società si interroga su questioni etiche come l’aborto o l’eutanasia soprattutto in presenza di un handicap congenito o sopraggiunto. In un caleidoscopio di correnti di pensiero spesso contrastanti, si aprono e si sviluppano dibattiti che dopo aver sollevato enormi polveroni, non sembrano giungere ad una effettiva conclusione. La verità rimane comunque appannaggio di un pensiero individuale e soggettivo. Una soluzione valida potrebbe essere quella che mette insieme esigenze diverse, come quella della tutela del parto segreto.

Da tempo il team di Punto Famiglia, insieme a Federazione Progetto Famiglia, si sta battendo per salvaguardare le donne che decidono di accogliere la vita, partorendo in anonimato.

Facciamo un passo indietro, che cos’è il parto segreto. Voglio raccontarvelo attraverso una storia, quella della piccola Chiara. Una bambina bellissima, occhi azzurri, capelli neri come l’ebano, gote paffute e luminose. A guardarla bene sembra una creatura come tante altre, ma non è esattamente così. È anencefala. Semplicemente il suo cervello non si è formato se non in minima parte. Sua madre, una donna di cui non si conosce l’identità, aveva scoperto la condizione di salute della bambina durante la gravidanza. Al suo posto forse qualcuno avrebbe fatto ricorso all’interruzione terapeutica di gravidanza, sentendosi legittimata a farlo. Qualcun altro, dopo la nascita, avrebbe invocato l’eutanasia, come liberazione dalla sofferenza di uno stato vegetativo. La madre di questa ragazza ha fatto invece appello alla segretezze del parto, portando avanti la gravidanza e mettendo al mondo la bambina in ospedale. Alla nascita, la donna ha deciso di dare Chiara in affidamento ai servizi sociali.

Il Tribunale dei minorenni ha affidato la piccola Chiara alle cure della casa famiglia dove tutt’ora risiede. Con grande stupore dei medici che accompagnano il suo percorso e che all’epoca non avrebbero scommesso un soldo bucato sul proseguimento della sua vita dopo il primo anno d’età. Ebbene, io mi chiedo quanti casi come questo si contano in giro per l’Italia? Quanti nel mondo? A quanti bambini il parto segreto ha dato la possibilità di nascere, nonostante tutto? Perché ricorrere a soluzioni estreme come l’aborto o l’eutanasia che negano la vita in ogni caso? Perché non salvaguardare invece l’unica via, che sembra consentire alla vita di sbocciare in ogni caso?

In Belgio nel 2002 l’eutanasia è diventata legale. È notizia degli ultimi tempi che la si riconosca anche in caso di depressione. Il dato sconvolgente è che dal 2002 ad oggi si calcolano circa 1.400 casi di decesso all’anno per eutanasia. Con un calcolo certamente approssimativo, possiamo contare 18.200 persone decedute. La percentuale diventa inquietante se si pensa che una fetta sostanziosa di queste persone sono state sottratte alla vita e alle sofferenze perché portatrici di handicap ed è raccapricciante ancora il fatto che gran parte delle indagini prenatali si eseguono in una fase gestazionale in cui, nel caso in cui si evidenzi una malformazione, è ancora permesso l’aborto nei termini stabiliti dalla legge 194/78. Lo chiamano aborto terapeutico, anche se mi chiedo a chi sia rivolta la terapia. Al bambino a cui viene impedito di nascere, perché affetto da handicap oppure al genitore che travolto dal dramma si sente spesso inadeguato a fronteggiare la situazione?

Mi sbaglierò, ma esempi come quello di Chiara mi aiutano a capire che la vita passa attraverso la salute, ma spesso si esprime anche per la via della malattia, e mostra così che non basta essere normali per vivere. Ci saranno sempre domande insolute, confini insormontabili che la scienza non riuscirà a spiegare perché l’esistenza umana non si può intrappolare in un prototipo di normalità, né la si può interamente spiegare in una teoria scientifica. Ogni persona è una parole di Dio per l’umanità, custode di una dignità speciale fatta solo parzialmente di salute e funzionalità meccanica. Le persone come Chiara ci consentono di guardare oltre, di indagare quello spazio dove il finito si incontra con l’infinito, dove la relazione non ha bisogno di parole ma si esprime attraverso i sensi. Dove la creature umana si rivela in tutta la sua pienezza, libera finanche del proprio corpo.




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