XV Domenica del T.O. – Anno B

Con Dio il primato dell’altro

di fra Vincenzo Ippolito

Gli sposi cristiani sono chiamati insieme ed inviati insieme. Non si sono scelti, ma sono stati scelti da Dio ed affidati l’uno all’altro per compiere la missione che Gesù ha deciso per loro. Il sacramento nuziale rappresenta il sigillo sacramentale della scelta operata da Dio e della propria volontà a vivere la missione che il Padre ha deciso. Dio mi ha scelto con la persona che mi è accanto, mi ha pensato accanto a lei e senza di lei io non esisto nel piano di Dio, la mia missione cade senza di lei perché insieme dobbiamo vivere la vocazione.

Vangelo (Mc 6,7-13)

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.

E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».

Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Commento

Il Vangelo della XV Domenica del Tempo Ordinario ci offre la narrazione dell’invio dei discepoli in missione. Il racconto, secondo lo stile di Marco, è scarno ed essenziale, ma pur sempre ricco – la Parola di Dio è come una sorgente che mai si estingue! – per nutrire il nostri cammino di fede nella sequela di Gesù.

Chiamati per essere inviati

Dopo la visita a Nazaret (Vangelo della scorsa Domenica, Mc 6,1-6), Gesù passa di villaggio in villaggio, insegnando (cf. Mc 6,7). Si tratta della predicazione itinerante che suscita stupore per i miracoli che accompagnano l’annuncio e disponibilità nel popolo perché la parola del Maestro, diversamente da quella degli scribi e dei farisei, è detta con autorità. La missione dei discepoli diviene quindi il prolungamento della vita di Gesù: come il Rabbì, essi devono partire e annunciare, arrivando lì dove il Signore non può arrivare. Ad essi è affidata la responsabilità di costruire il Regno e di essere tra i fratelli segno incisivo, testimoni coraggiosi e franchi, al pari del Cristo, della sua Parola. Gesù chiama i Dodici (v. 7): non sono essi che si propongono, né prendono l’iniziativa, non si scelgono il compagno di viaggio, né vanno a nome loro. Il primato nella missione è di Cristo e la chiamata dei discepoli è modellata su quella del Figlio di Dio fatto uomo – “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” – tutto infatti, dipende da Lui, dalla sua libera scelta, dettata dall’obbedienza incondizionata alla volontà del Padre – “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituito perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” – perché nella messe del Signore gli operari non manchino, spinti dalla compassione del suo Cuore, a donare la vita e a donarla in abbondanza.

A Gesù non interessa quello che i discepoli diranno, neppure i segni che compiranno – anche se questo è rilevante nella narrazione evangelica odierna – a Lui interessa prima di tutto la testimonianza gioiosa della fraternità vissuta dagli evangelizzatori. L’andare a due a due serve proprio per testimoniare con la propria condotta di vita quanto la Parola di Cristo sia incisiva nella vita di quanti l’accolgono. Non si può annunciare la vicinanza del Regno senza gridare con la vita che il Regno è nel mio cuore e che crea legami duraturi di fraterna amicizia con chi mi sta accanto. A che serve che il discepolo annunci la pace se poi vive la guerra con chi gli è accanto? A che serve predicare l’amore se poi non si vive la condivisione profonda e vera con chi ha ricevuto la nostra stessa missione? A che prò annunciar Gesù Cristo se poi ciascuno lo fa a modo proprio senza tener conto della parola dell’altro?

Andando a due a due i discepoli devono imparare ad ascoltarsi e a vedere come il Signore è capace di operare guarigioni e segni attraverso la vita dell’altro. Tra i discepoli è bandita la competizione – io sono più bravo di lui – come è fuori luogo la gelosia per i doni che il Signore affida al fratello. Io devo imparare a rallegrami della parola dell’altro e del bene che il Signore compie attraverso di lui perché egli è come me chiamato ed inviato, unto di Spirito, abilitati ad annunciare la mia stesa Parola di salvezza e ad operare segni della guarigioni e della vita nuova.

Questo vale soprattutto per gli sposi cristiani! Sono chiamati insieme ed inviati insieme. Non si sono scelti, ma sono stati scelti da Dio ed affidati l’uno all’altro per compiere la missione che Gesù ha deciso per loro. Il sacramento nuziale rappresenta il sigillo sacramentale della scelta operata da Dio e della propria volontà a vivere la missione che il Padre ha deciso. Dio mi ha scelto con la persona che mi è accanto, mi ha pensato accanto a lei e senza di lei io non esisto nel piano di Dio, la mia missione cade senza di lei perché insieme dobbiamo vivere la vocazione. Quante volte tra marito e moglie si vivono progetti alternativi, ciascuno coltiva sogni personale che l’altro deve rispettare e non intralciare! Troppo spesso i figli respirano antagonismi e gelosie! Come posso essere geloso di chi Dio mi ha posto accanto come aiuto? Come l’invidia può albergare nel cuore di chi ha accolto l’altro/a come un dono gratuito del Signore?

In noi la potenza di Gesù

La vita del discepolo per essere incisiva deve parlare, gridare il primato di Dio, la gioia di appartenere a Lui. Gesù affida ai suoi l’onnipotenza dell’amore che il Padre ha riversato nel suo Cuore ed Egli non è geloso di questo amore, ma lo dono perché, attraverso i missionari, raggiunga gli estremi confini della terra. Noi abbiamo la potenza dello Spirito in noi, ma non godiamo di questa forza da soli, quanto invece insieme. L’unità dei discepoli fa la forza perché “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Colui che guarisce e risana è la presenza di Gesù in mezzo a coloro che credono in Lui. Il potere che il Maestro affida ai discepoli non è qualcosa di diverso da Lui, ma è la sua stessa presenza tra i discepoli, il legame che li tiene stretti. La comunione tra me e la persona che mi è accanto mi porta a sperimentare la potenza di Cristo, ovvero lo rende presente attraverso la nostra vita e non sono io a guarire e risanare gli altri, ma è l’unità vissuta in Cristo che opera attraverso il cuore di coloro che vivono nella concordia e nella fraternità.

La vita matrimoniale non è forse il legame permanente della presenza del Signore nel cuore dei suoi fedeli?  Negli sposi il Signore non abita con il suo Spirito e concede la sua presenza che risana e guarisce? È necessario riscoprire la potenza di Dio in noi, ricordare che tra noi è presente il Signore e Lui solo è capace di operare meraviglie tra noi e attraverso di noi nella vita delle persone che ci sono accanto. È questa la guarigione che le famiglie cristiane devono alle coppie che vivono nel dubbio e nell’incredulità, che non credono nella potenza dell’amore e credono di poter gettare tutto all’aria perché incapaci di perdonarsi e di accogliersi con gioia. Gli sposi cristiani hanno il potere di far rinascere la gioia dell’amore nel cuore di quanti hanno perduto la fedeltà e la gioia del matrimonio proprio attraverso la bellezza della propria vita di comunione ed unità in Cristo. È questo il compito delle coppie di sposi nella Chiesa: la loro testimonianza spesso guarisce più delle parole di un presbitero perché sono pagine di Vangelo vissuto nella propria storia, l’armonia degli sposi fa nascere nel cuore la nostalgia del bene e del bello, quella santa emulazione che è la radice di ogni cammino di fede. S. Ignazio di Loyola, leggendo dei libri di biografie di santi, ebbe a dire: “Non posso farmi santo anch’io?”.

È necessario che le famiglie cristiane riscoprano la semplice e schietta testimonianza della loro presenza in parrocchia e nella società. Le coppie che vivono in Dio il loro amore, come delle lampade, sono chiamate a mostrare la bellezza della luce e lo splendore della presenza in noi del Signore risorto.

Poveri di cose, ma ricchi di relazioni

I discepoli non portano nulla nella missione perché Dio provvederà a loro e gli farà continuamente sperimentare la sua provvidenza, ma anche perché ciò che conta è la capacità di vivere in relazioni tra loro e con le persone che incontrano. La persona che mi è accanto è un valore più del cibo e del denaro, più del vestito e del bastone. Gesù, con le sue parola, non chiede solo di vivere in povertà per condividere la sorte dei meno abbietti, neppure di essere liberi dai rapporti con le cose soltanto. A Gesù interessa che il valore guida debba essere la relazione da donare. Se annuncio il Vangelo a me sta a cuore il bene dell’altro e non vedo a lui come uno strumento per diventare ricco o potente. Gesù sta insegnando che la persona è il cuore della vita del discepolo, la vita dell’altro è il vero valore da servire e custodire. Il Maestro sta capovolgendo la scala di valori della società di ieri e di oggi perché sta ponendo al centro l’uomo, ogni uomo, quest’uomo che ho accanto nella sua vita concreta e, dinanzi a lui, tutto passa in secondo piano, tutto deve venire dopo.

È nella famiglia che si impara questo principio perché l’altro è importante non perché mi serve per affermarmi o per ciò che mi rende. L’altro vale più del denaro, la sua vita è per me cosa più preziosa dell’oro. Non mettere le persone al secondo posto anteponendo le cose a loro è la regola che nelle famiglie cristiane deve regnare sovrana sempre. Se un marito crede di potere donare felicità sacrificando lo stare insieme ai suoi per guadagnare di più si sbaglia. Le ore del giorno sono ventiquattro e servono per fare tante cose, ma soprattutto per investire in relazioni in famiglia e tra famiglie.

Solo così le famiglie continuano la missione di Gesù e si costruisce tra gli uomini il Regno del Padre nel quale non c’è posto per Satana, maestro di ogni inganno. Solo così il Vangelo dell’unità – chi può annunciarlo meglio di un famiglia? – diviene annuncio gioioso che converte la vita dei fratelli, facendo nascere la nostalgia dell’essere in Cristo una carne sola per la vita del mondo.




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