Eugenetica

Una sentenza senza vincitori

di Gabriele Soliani

La Corte Costituzionale ha dichiarato lecita la possibilità della fecondazione artificiale per le coppie “non sterili”, portatrici sane di malattie genetiche, con la diagnosi pre-impianto, cioè quella che permette di selezionare gli embrioni prodotti. Ma quali sono le vere conseguenze?

La sentenza n.96/2015 della Corte Costituzionale ha dichiarato lecita la possibilità della fecondazione artificiale per le coppie “non sterili”, portatrici sane di malattie genetiche, con la diagnosi pre-impianto, cioè quella che permette di selezionare gli embrioni prodotti. La legge 40 del 2004, confermata dal referendum, la vietava. Questo divieto non era, ovviamente, un capriccio moralistico o contro qualcuno. Il Parlamento lo aveva vietato, perché ritenendo l’accesso alla fecondazione in vitro un mezzo per superare la sterilità ed infertilità di coppia, lo consentiva a determinate condizioni, che dovevano assicurare i diritti di “tutti i soggetti coinvolti”, compreso il concepito. Questo “diritto del concepito” non è mai stato capito bene. Infatti, la sentenza di cui parliamo rivela proprio questa grave mancanza: il concepito può essere usato, prodotto, selezionato, eliminato. Quindi stiamo parlando di diritto “sul figlio” e non di diritto “al figlio”.

Nessun Padre Costituente avrebbe potuto ipotizzare che la Corte Costituzionale avrebbe un giorno usato la Carta Costituzionale per far diventare un “diritto” ciò che loro stessi hanno condannato come orrendo delitto di Hitler e dei suoi collaboratori, cioè l’eugenismo di Stato.

In concreto, la cervellotica sentenza della Corte Costituzionale dice che “è irragionevole” il divieto di diagnosi pre-impianto con selezione dell’embrione sano (e soppressione di quelli malati) perché la legge 194 sull’aborto volontario comunque permetterebbe alla donna di abortire il bimbo, anche dopo il terzo mese, se malato. Quindi, dice la Corte, tanto vale eliminarlo prima con la selezione degli embrioni ed evitare il trauma psicologico (della donna) dell’aborto. Per questo la Corte dice che la legge 40, con il divieto della diagnosi pre-impianto, ha violato anche l’art.32 della Costituzione  per il “mancato rispetto del diritto alla salute” della donna. Ma i giudici sanno ciò che avviene quando si ricorre alla fecondazione extracorporea ed alla diagnosi pre-impianto? Cioè: solo circa il 3% di tutti gli embrioni prodotti e sottoposti a PGD (diagnosi pre-impianto) e solo il 6,7% di tutti gli embrioni trasferiti in utero riesce a sopravvivere fino al parto, per cui una coppia portatrice di grave patologia genetica ereditaria può dover ripetere più volte la fecondazione extracorporea per avere un figlio sano.

Dunque, non c’è alcuna “tutela del concepito” dal momento che 97 concepiti vengono esposti a morte certa per poter far nascere 3 bambini esenti da quella patologia genetica. E neppure si potrebbe invocare la violazione dell’art.32 Cost. per il mancato rispetto del diritto alla salute della donna, perché la donna stessa, sottoponendosi più volte a fecondazione extracorporea, corre più rischi per la salute rispetto ad una gravidanza spontanea. Infatti, la donna ricorre ad una iper-stimolazione ovarica, che è rischiosa, per ottenere molti più ovociti di quelli necessari in caso di sterilità ed infertilità di coppia.

Fa riflettere quando Jacques Testart, il “padre” della fecondazione artificiale, ha scritto insieme a Christian Godin, nel libro “La vita in vendita”: «Poiché non sappiamo – dice Godin – quali saranno le malattie di domani, ignoriamo quali siano i geni “buoni” nei confronti di queste malattie. Al contrario, nel nostro zelo eugenista potremmo voler eliminare un gene che dichiariamo “cattivo” o “inutile” ma che potrebbe essere molto prezioso nel futuro nel caso in cui la specie umana venisse investita da una nuova malattia ancora sconosciuta».

Il genetista Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e membro del Comitato nazionale per la bioetica afferma che la diagnosi pre-impianto «non è la tecnica di prima scelta per monitorare un rischio di tipo genetico: se una coppia fertile ha un problema di talassemia fa bene a utilizzare la diagnostica con i “villi coriali” del primo trimestre, che dà una correttezza diagnostica del 100% mentre la diagnosi pre-impianto non esclude gli errori diagnostici e ha un basso successo». Il prof. Noia del Gemelli di Roma dichiara: «Tutte le manipolazioni realizzate nella fase pre-impianto implicano una serie di complicazioni cosiddette epigenetiche, per cui alcune condizioni malformative non nascono intrinsecamente all’embrione, ma sono dovute proprio alla manipolazione nelle fasi prima dell’impianto». Le coppie avrebbero diritto a queste informazioni prima di avviare l’incerto cammino della “provetta”.




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