Educazione

Il tempo delle favole

di Carolina Rossi e Giulia Palombo

È tempo di recuperare l’uso del racconto, delle favole nel percorso educativo dei nostri figli. Raccontare significa suscitare stupore, “procurare apertura verso la conoscenza”. Iniziamo da stasera: pronti per la nanna, accompagniamo i nostri figli nei mondi dorati di fate, nani e principesse.

Chi non si è mai commosso davanti al pianto disperato dei nani, che pensavano di aver perduto per sempre la dolce Biancaneve? O chi non si è mai irritato dinnanzi alla matrigna di Cenerentola e alle sue crudeli sorellastre? Le favole fanno parte della nostra infanzia, rievocano la dolce voce della mamma o della nonna, che ce le raccontavano sul far della notte, quando la televisione non aveva preso ancora il posto d’onore nelle case delle famiglie italiane. E com’era dolce il suono di quella voce. È tempo di recuperare l’uso del racconto, delle favole nel percorso educativo dei nostri figli. Raccontare significa suscitare stupore, «procurare apertura verso la conoscenza» afferma la prof. Marta Brancatisano, docente presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma, dove dirige il Corso “Amore, Famiglia, Educazione” e autrice di uno splendido libro dal titolo “Il vangelo spiegato a mio figlio. Racconti insoliti prima della buonanotte” (Leonardo Mondadori, 2000). «Attraverso la storia di un altro l’individuo è aiutato a capire la sua storia – afferma la docente, madre di sette figli – il limite iscritto nell’individuo viene superato dalla connessione con altri individui, anche lontani nello spazio e nel tempo. Oggi che il narratore è tecnologico (radio, cinema e TV) rispetto al passato, rimane la trasmissione emotiva ma manca la relazione reale. Coltivare in famiglia lo spazio per “narrare”: non solo favole ma anche storie di famiglia, di amici, accadimenti, ecc… in una dimensione gratuita cioè non legata alla necessità di trasmettere informazioni o precetti, permette di condividere le emozioni e crea un canale di comunicazione e confidenza tra genitori e figli davvero unico». Proviamo a trovare gli spazi adatti in famiglia per raccontare storie ai nostri figli: favole, fiabe o racconti della nostra infanzia. L’importante è creare quella relazione, che permetta al bambino di stemperare paure o timori e di immergersi in un mondo dove la fantasia viene sviluppata e la sfera emotiva rafforzata.

Raccontare fiabe: una favola al giorno togli lo psicologo di torno

A molti guai della nostra epoca sarà difficile rimediare, almeno in breve tempo: pensiamo allo smog, alla droga, alla crisi energetica, al terrorismo. Però, possiamo rimediare alla solitudine dei nostri bambini, al loro bisogno di attenzione, di tenerezza, di amore. Possiamo rimediare subito e a poco prezzo. Basta una fiaba! Basta una fiaba per rendere più luminosa e meno noiosa la vita del bambino. Basta una fiaba per rafforzargli il sistema immunitario psicologico. Basta una fiaba per regalare una carezza, che rimane nel cuore per tutta la vita. Perché non iniziare da stasera? Sì, da stasera, perché il momento più adatto per raccontare fiabe è la sera. Il bambino, che sente raccontare una fiaba prima di addormentarsi, fa un’esperienza di vita emotiva intensa. C’è una voce protettiva e intima che gli parla: è la voce della mamma e del papà. La voce della mamma e del papà è infinitamente superiore a quella della televisione. La televisione è fredda, inesorabile: parla da sola e tira avanti. Non accetta domande. La televisione non ha occhi per guardarti, non ha mani per accarezzarti. La mamma che racconta al bambino, invece, ne segue lo sguardo, gli sfiora il viso, adatta le parole, fa le pause giuste.

Non c’è davvero occasione più propizia per stare insieme e per rinsaldare il rapporto educativo. Per questo lo psicanalista Maria Valcarenghi, scrittrice di fiabe sostiene che «bisognerebbe sempre raccontare ai bambini una storia prima di andare a letto, fino a sei-sette anni». «Noi genitori – nota l’esperto di letteratura infantile Domenico Volpi – siamo gente strana. Quando il figlio è giunto all’adolescenza ci lamentiamo: “Non riesco a dialogare!”. E non ci curiamo di parlargli quando ha quattro e sei anni».

Il dialogo non è una pianta esotica, che cresce improvvisamente quando i ragazzi hanno 15 anni. Il dialogo è una pianta umile, che occorre coltivare con pazienza, incominciando dall’infanzia. Il dialogo nasce anche dalla somma di tante sere magiche, nelle quali la mamma o il papà raccontano una fiaba, mentre il piccolo dolcemente scivola nel sonno.

I bambini senza fiabe diventeranno adulti tristi, con poca fantasia e tanta fragilità. Tutti gli psicologi, poi, notano, che il rapporto con l’ignoto e il fantastico contribuisce allo sviluppo del pensiero logico del piccolo. Non basta, le fiabe aiutano il bambino ad esorcizzare le sue paure che, senza di esse, potrebbero trasformarsi in vere e proprie patologie. Sì: cominciamo a raccontare fiabe da stasera, e tutte le sere.

Le fiabe mettono paura?

Di tanto in tanto c’è qualcuno che puntualmente mette le fiabe sotto accusa: sono crudeli, fanno nascere paure, angosce. È vero?

No! Decisamente, no. Condannare le fiabe è uno zelo eccessivo, uno zelo che sbaglia bersaglio. Le fiabe non generano paura (o se le generano, sono paure che aiutano a crescere). La paura il bambino la incontra nella vita: la trova in tv, che troppe volte, tracima violenza da ogni canale, la trova nelle strade quando vede drogati, barboni; la incontra quando sente parlare di guerre, di soprusi.

Ebbene, esattamente all’opposto di ciò che dice l’accusa, è la fiaba che aiuta il piccolo a superare tanti turbamenti.

La fiaba aiuta per due ragioni. La prima perché parla un linguaggi simbolico. In parole chiare: il bosco, la palude, il fuoco, la strega, l’orco, sono immagini di stati interiori, incarnazioni di vizi e passioni che difficilmente riusciamo ad esprimere in parole concettuali. È più facile ricorrere al simbolo, che ha il vantaggio di circoscrivere bene le paure, di dare loro un contorno definito, che ci permette di controllarle e dominarle, quindi di superarle e vincerle.  «L’esperienza psicoterapeutica – nota il dott. Giuseppe Fojeni – mi ha insegnato la forza dei simboli. Essi, anche senza bisogno di interpretazioni, liberano l’inconscio umano da quelle paure, angosce, squilibri affettivi, che impediscono all’uomo di affrontare serenamente gli squilibri sociali». Il secondo motivo per cui la fiaba aiuta a superare la paura sta nel fatto che tutte le fiabe finiscono bene. E questo è molto rassicurante per il bambino. Prendiamo, ad esempio, Cenerentola. Cenerentola fa rivivere il problema della rivalità fraterna. Infatti, anche se in realtà, non è vero, spesso il bambino si sente maltrattato come Cenerentola, ma dalla vittoria finale dell’eroina trae grandi speranza per il futuro. Ecco perché alla fine di ogni proiezione del film di Walt Disney, Cenerentola, quando la fatidica scarpetta entra nel piedino della protagonista, da sempre gli applausi scoppiano fragorosi. La paura è vinta. La pace e la gioia rientrano nel cuore.




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