Festa della Trinità

La Trinità, modello delle relazioni familiari

di fra Vincenzo Ippolito

Se la Trinità è la sorgente del nostro amore sponsale cercheremo di prevenire l’altro, di trovare mille occasioni per fare tutto insieme, partecipando e condividendo i nostri sogni, aiutandoci nel realizzare i progetti di Dio sulla nostra famiglia.

Vangelo (Mt 28, 16-20)

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.

Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Commento

La liturgia della festa della SS. Trinità ci offre le battute finali del Vangelo secondo Matteo. Il testo, in realtà, non ci parla direttamente del mistero di Dio Uno e Trino – la Scrittura non è un trattato di teologia, quanto invece la narrazione dell’esperienza che il popolo fa del suo Signore – ma ci offre le linee essenziali della predicazione apostolica e della professione di fede della Chiesa. Proprio la formula battesimale – nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo – rappresenta la sintesi dell’insegnamento di Cristo e rivela l’identità di Dio Padre che invia nel mondo il suo Figlio perché, nella forza dello Spirito, tutti gli uomini abbiano in abbondanza la vita.

Per la Pasqua di Gesù e per fede della Chiesa, noi crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, in Gesù Cristo, suo unico Figlio e nostro Signore, nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita.  

Gesù rivelatore del vero volto di Dio

“Dio nessuno l’ha mai visto – scrive san Giovanni– il Figlio unigenito che è Dio nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18). L’uomo non può conoscere Dio senza la mediazione di Cristo, può giungere ad avere di Lui una sbiadita immagine, non a conoscerlo nella sua vera identità. È Dio infatti che si fa conoscere, rompendo il silenzio del mistero. È sempre san Giovanni a dirlo, utilizzando la categoria dell’amore, che nella Scrittura richiama quella della conoscenza:“Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi ed ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”. Noi conosciamo Dio come Padre, gustiamo la potenza del suo Spirito solo attraverso Gesù perché è “in Lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità ed in Lui noi tutti abbiamo parte alla sua pienezza” (Col 2,9). Solo Gesù conosce il Padre e può rivelarlo, solo Lui ha sperimentato,nella sua umanità, il legame del suo Spirito d’amore, solo Lui è il “testimone fedele”, colui che ci parla di Dio per una diretta conoscenza del suo mistero poiché “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e nessuno conosce il Figlio se non il Padre e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27).

Nella sua vita terrena e soprattutto nella sua Pasqua, Gesù ha rivelato il mistero del Padre e del suo amore. Più leggiamo i Vangeli, soprattutto quello secondo Giovanni, e più cresciamo in questa consapevolezza e accogliamo con disponibilità di mente e di cuore la nostra vocazione ad essere tra i fratelli, al pari degli Apostoli, segno della nostra vita spesa nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Il passato sorgente zampillante di vita

Il brano evangelico della Solennità odierna (Mt 28,16-20) descrive la missione che gli Apostoli ricevono dal Risorto di evangelizzare e battezzare tutte le genti. La scena si svolge in Galilea dove i discepoli sono ritornati secondo la parola di Gesù (cf. Mt 28,10). È possibile andare speditamente in avanti – sembra dire l’Evangelista – soltanto se ritorniamo indietro, alle sorgenti della nostra vita, alla fonte zampillante dove abbiamo dissetato l’arsura di senso della nostra esistenza.

La Chiesa di ogni tempo, come anche le nostre famiglie e comunità, ritrovano energie nuove di vita e missione se ritornano continuamente “all’amore della propria giovinezza”, se il passato diventa il luogo nel quale rileggere i desideri ed i sogni di un tempo, gli ideali che hanno spinto a scelte coraggiose, ad imboccare strade belle, pur se in salita. La Chiesa ritrova linfa nuova di vita ritornando al Vangelo così come ogni famiglia riceve vita vera in abbondanza se la scelta di Dio si rinnova nella fedeltà alla promessa nuziale e nell’impegno a testimoniare la bellezza della vita insieme.

Quando nelle nostre famiglie ci troviamo in difficoltà ed i problemi gravano sulle nostre spalle, dobbiamo ritornare nei luoghi che hanno segnato il nostro cammino di sposi – quelli dove ci siamo promessi l’amore, scambiato il primo bacio, pensato il nostro fidanzamento o la data delle nozze – e lì, come i discepoli, lasciare che il Signore parli come un tempo, che doni la luce per comprendere la sua volontà, la forza per essere fedeli agli impegni assunti. È quello che Gesù fa con i suoi: dà forza per vivere la fedeltà alla vocazione ricevuta e spinge con coraggio in avanti, vincendo il dubbio e la paura perché a Gesù, il Signore, “ogni potere è stato dato in cielo e sulla terra” (v. 18), Lui può tutto e come un tempo ci ha chiamati ad essere una carne sola, così ora può rinnovare il nostro impegno e trasformare persino la nostra stanchezza, la paura del domani, il dubbio che impedisce il dono e la fiducia in Lui e tra noi.

Solo ritornando alle sorgenti dell’amore il peso del donarsi – che lungo gli anni, con il passare dell’età si avverte – è reso leggero da Colui a cui “Nulla è impossibile a Dio!”.

L’evangelizzazione e battezzare nel nome del Dio Trinità

La Chiesa che nasce a Pasqua – il brano evangelico segue l’evento della resurrezione di Gesù – è voluta dal Signore in uscita, “Andate” (28,19) dice il Maestro ai suoi. Proprio quando i discepoli vorrebbero fermarsi, pensare ai proprio dubbi, all’incapacità di credere, vengono spinti dal Signore ad uscire da se stessi per incontrare l’altro, donandogli la gioia del Vangelo. “Quando ho bisogno di consolazione – pregava Madre Teresa – donami, Signore qualcuno da consolare”. Pensare a sé non è contemplato nel vocabolario di Cristo e degli apostoli. “Andate” significa uscire da sé, dimenticare se stessi, considerare il bene dell’altro più importante, la sua situazione più urgente. Ed in questa uscita i discepoli sperimentarono la dinamica dell’amore della Trinità.

Il Dio che Gesù Cristo ci rivela con la vita e la parola è Padre, Figlio e Spirito, un solo Dio in tre Persone, armonia che nasce dalla differenza individuale, unità che si genera nella molteplicità delle Persone. L’uscire è prima di tutto di Dio nella relazione tra le tre divine Persone e nel suo farsi conoscere al mondo. Il Padre, uscendo da sé, si incontra nel Figlio, in tutto uguale a sé per essenza, eppure differente da sé perché da sé diverso per identità, pur se da Lui generato ed il loro reciproco incontro, lo scambio dell’uscire da sé del Padre e dell’uscire da sé del Figlio è lo Spirito, l’Amore increato che unisce il Padre al Figlio ed il Figlio al Padre, la Terza Persona della Trinità, quella che permette l’uscita permanete di Dio da se stesso e il suo incontro con l’uomo. È l’uscita in Dio sta ad indicare le relazioni che lo costituiscono in unità. Il Padre è tale in relazione al Figlio e questi è Figlio nella relazione con il Padre. Tale rapporto di paternità e figliolanza non è funzionale – faccio il padre – né aggiunta alla propria identità costitutiva, ma rappresenta l’essenza e l’identità profonda di Dio. Tale rapporto eterno, infinito, indescrivibile ed incomprensibile per noi uomini – possiamo solo balbettare qualcosa del mistero di Dio perché Gesù ci ha insegnato a farlo, nella forza del suo Spirito! – è amore che si dona, tenerezza che abbraccia, intelligenza che previene, sguardo che accompagna, silenzio che accoglie, sorriso che genera gioia. In Dio, nella relazione tra il Padre e il Figlio c’è l’eterna presenzialità dell’amore, l’infinità del dono, la gioia del per sempre da sempre. Questi è lo Spirito: l’amore che lega senza schiavizzare, il dono di sé nell’abbraccio accogliente dell’altro, la gioia che nasce dal sapere che l’altro esiste solo per te ed in te. E lo Spirito lega nell’amore e rende partecipe l’uomo, grazie alla vita di Gesù, dell’amore di Dio.

Da questo comprendiamo cosa significa per gli sposi cristiani vivere l’amore ad immagine della Trinità. Vuol dire gridare “Ti amo ma non voglio omologarti a me! Ti amo ma la tua differenza mi arricchisce e mi scuote dalla mia sicurezza! Ti amo accogliendo la tua diversità! Ti amo nell’abbraccio che ci rende una carne sola nel dono incondizionato di noi stessi!”. Se la Trinità è la sorgente del mio amore sponsale cercherò di prevenire l’altro, di trovare mille occasioni per fare tutto insieme, partecipando e condividendo i miei sogni, aiutandoci nel realizzare i nostri progetti. È necessario nella nostre famiglie vivere il “noi”. Il Padre nulla fa senza parteciparla al Figlio e Questi nulla opera senza che il Padre abbia posto il suo sigillo d’amore ed il Figlio non riesce a staccarsi dal Padre se non per farlo conoscere agli uomini come sorgente dell’amore vero che riempie di gioia la vita e Padre e Figlio tutto operano nello Spirito loro, ovvero nel legame d’amore, tutto fanno con l’Amore e nell’amore.  Se lo ricordassimo anche noi che senza amore tutto è vano!

La famiglia dimora della Trinità

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Il segno di croce è come l’alfabeto della nostra vita di fede in famiglia. Lo impariamo da piccoli, dalla mamma o dal papà, quando le parole non sanno ancora ben accompagnare i gesti, e rappresenta la compagnia delle Tre divine Persone nella nostra vita. Gesti semplici – mani che si intrecciano con il corpo – parole di uso comune – padre, figlio, spirito – che stanno ad indicare in Dio la perfetta unità nella diversità incancellabile dell’identità personale.

Il segno della croce accompagna la vita della famiglia fin dal suo nascere: l’anello nuziale è scambiato nel segno della Trinità – “…ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”– ed il primo gesto del Battesimo è proprio il segno di croce dei genitori e dei padrini, dopo quello del presbitero, sulla fronte del piccolo. Tutto è fatto nel nome della Trinità, nella sua grazia, nel suo amore, nella potenza del suo dono, nella capacità sua di legarci nel dolce vincolo del per sempre!

È alla Trinità che la famiglia deve guardare se vuol realizzare la sua missione nella Chiesa e nella società. Restituiamo alle nostre famiglie la sua vera identità. La vocazione della famiglia, infatti, sta nell’educare alla relazionalità, nel creare armonia proprio dalla differenza, nel ricercare insieme il meglio non per sé, ma per tutti. La famiglia che guarda alla Trinità impara a pensare, parlare e vivere come “noi”, come un corpo solo, pur nella diversità delle membra. Se la differenza è subita ed imposta, nella famiglia si genera l’uniformità e le differenze solo livellate, in nome di una comunione che non è generata dalla complementarietà. Dall’altro lato quando le differenze sono estremizzate e difese ad oltranza, non ci si incontra mai e le famiglie divengono degli “alberghi” dove si è buoni vicini, una sorta di “confederazione di stati” dove ciascuno cerca di intrattenere relazioni serene che sono equilibri umani, condividendo alcuni tempi della giornata, ma non la vita ed il cuore.

La famiglia ritorni ad essere scuola di relazione dove si impara ad uscire dal proprio guscio per incontrare l’altro, dove la diversità è accolta come ricchezza e possibilità di incontro e di complementarietà, dove si vive l’amore che ci rende un corpo solo e si impara a tradurlo in impegno fattivo perché l’amore, al pari della fede, senza le opere è morto in se stesso (cf. Gc2,17).

La beata Trinità ci doni la forza della sua misericordia a cui nulla è impossibile in noi e nelle nostre famiglie.





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2 risposte su “La Trinità, modello delle relazioni familiari”

Che belli questi commenti! Non conosco il padre ma lo ringrazio per questa accurata riflessione. Lo seguo sempre con grande interesse.

“La famiglia ritorni ad essere scuola di relazione dove si impara ad uscire dal proprio guscio per incontrare l’altro, dove la diversità è accolta come ricchezza e possibilità di incontro e di complementarietà”. Come è vera questa riflessione! Se la famiglia tornasse ad essere scuola di relazione, di formazione, di educazione alla fede. Oggi, invece, gli adulti sembrano aver abdicato al loro ruolo come sposi e come genitori.

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