Il convegno
La famiglia salva, sempre
Una mamma in stato vegetativo dopo il parto della secondogenita, le storie di tante donne detenute del carcere Le Vallette di Torino: sono queste alcune testimonianza condivise durante l’incontro internazionale che si è svolto nel capoluogo piemontese.
“L’Amore che salva – dal Volto del Sofferente ai volti della sofferenza” è il titolo dell’interessante convegno che si è svolto nei giorni scorsi a Torino, con approfondimenti e testimonianze sulle difficoltà che attraversano la famiglia e che – se accolte come la croce di Cristo – possono diventare esperienze di fede incarnata.
«L’amore salva, la famiglia salva» ha affermato Luigi Ferraro, presidente dell’associazione “Gli amici di Daniela”, raccontando l’esperienza della sua famiglia, che dieci anni fa ha dovuto fare i conti con una svolta imprevista: alla moglie, Daniela, dopo tre ore dal parto della secondogenita, è stato diagnosticato uno stato vegetativo che in realtà, sei mesi dopo, si è scoperto essere una “locked-in syndrome”.
«Daniela ha terminato di scrivere un libro – ha raccontato Ferrero. – Un libro nato tre anni fa quando la figlia le ha chiesto cosa le era successo. Daniela ha scritto cinque favole con 120/150 battiti di ciglia per raccontarglielo» ha concluso.
Ferrero ha poi presentato alcuni progetti in cantiere come la residenza “Casa D” a Pollenzo (Cn) e la residenza estiva di “Casa D” per persone nella stessa condizione della moglie.
È intervenuto anche l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, che ha dichiarato: «Quando si parla di umanizzare la sanità si dovrebbe intendere superare la superficialità dei rapporti per far sì che gli ospedali non diventino dei non-luoghi dove i malati vengono considerati dei clienti». Per il prelato «medici, infermieri e operatori sanitari toccano con mano la sofferenza ma anche la carne del Figlio di Dio. Questo esige una carica spirituale che nasce dalla fede e che va al di là delle competenza professionali». Mons. Nosiglia ha poi parlato di chi «abita luoghi di sofferenza estrema, come i malati di Alzheimer – e delle famiglie di chi soffre, invitando a – non isolare il malato per il quale serve una rete di solidarietà che comincia dai familiari».
Ha condiviso la sua testimonianza anche suor Maria Riva, domenicana di Betania e volontaria penitenziaria, che vive la sua esperienza di volontariato nella sezione femminile del carcere Le Vallette di Torino: «Incontro le detenute che manifestano la volontà di avere colloqui con me – nella maggior parte dei casi, prosegue, si tratta di – donne, madri straniere che, molto spesso, l’amore non ha salvato ma fregato» perché, fidandosi di mariti o amici, hanno compiuto reati. A queste donne, suor Riva racconta una speranza: «Nessuna sbarra, nessuna chiave potrà togliere la dignità di persona, neanche se sono in carcere»
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