Post aborto

Perché questo dolore?

tristezza

di Chiara Cristiani

Vittima dell’aborto certamente è il bambino, la cui vita viene spezzata per sempre, ma vittima dell’aborto è la donna stessa, la quale porta con sé ferite psicologiche, fisiche, esistenziale e spirituali. Se n'è parlato ieri a Pompei al convegno organizzato da Editrice Punto Famiglia e Ass. Progetto Famiglia sul tema del post aborto.

A 35 anni di distanza dalla legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, la 194/78 i dati ufficiali stimano cinque milioni di bambini abortiti (senza contare gli aborti clandestini e l’uso della “pillola del giorno dopo” o l’aborto farmacologico RU486). Solo nel 2012 sono state praticate in Italia 107.192 interruzioni volontarie di gravidanza. Una lettura più attenta del dato ci porta a constatare che non si tratta solo di bambini non nati, abortiti.  Vittima dell’aborto certamente è il bambino, la cui vita viene spezzata per sempre, ma vittima dell’aborto è la donna stessa, la quale porta con sé ferite psicologiche, fisiche, esistenziale e spirituali. Una sofferenza non raccontata ma esistente, un “pianto interiore” spesso invisibile e inconsolabile. In un blog dedicato al post-aborto, una donna scrive: “Non ho realmente percepito che ero “incinta” ma, stranamente, appena uscita da quella stanza di ospedale, il mondo mi è crollato addosso, ho subito sentito che non c’era più dentro di me, ho cominciato a piangere e da allora non c’è giorno in cui non pianga, l’insonnia è diventata la mia compagna di notte. Niente ha più senso, ho solo un grande vuoto, un grande dolore … “

Perché questo dolore?  Perché subito dopo o a distanza di qualche anno la donna consapevolizza di essere stata l’artefice della perdita del proprio bambino, una scelta irreversibile, dalla quale non si può più tornare indietro. Subentra un dolore sordo e paralizzante amplificato da sensi di colpa fortissimi per l’atto commesso, a volte consapevolmente altre volte inconsapevolmente, o ancora a volte perché lo si è scelto e voluto altre volte è accaduto sotto condizionamento del compagno, dei genitori. Prima dell’aborto la donna pensava di portare in grembo un grumo di cellule o anche di liberarsi di un inaspettato problema, anche i condizionamenti esterni sociali e familiari sono pesanti. Molte donne  immediatamente dopo l’IVG rimuovono l’accaduto ma poi nel lungo termine l’evento riaffiora con tutta la sua forza distruttiva mediante pensieri intrusivi, incubi notturni, flashback. Alcune donne raccontano: “Nei mesi successivi la prima reazione è stata la negazione, cioè fare finta che non fosse successo niente, per continuare la vita di prima. Poi un po’ alla volta il pensiero di quel giorno si è rifatto strada nella mia testa. A volte mi sento una sorta di “mostro”. “Mi è presa una sorta di anoressia nervosa alternata a periodi di bulimia… piango per niente e ho scatti di nervoso per dormire devo bere”.

Il primo a studiare l’aborto quale evento traumatico è stato lo psicologo Vincent Rue, che ha coniato il termine “Sindrome da Post Aborto” (PAS). L’aborto, al pari di qualsiasi evento luttuoso causa  nella donna uno shock, un trauma. Il vissuto di morte genera nella donna senso di colpa e vergogna, pianto ininterrotto, tristezza, angoscia, pensieri ossessivi, ansia, divisione della coppia, flashback o incubi notturni, tendenza ad isolarsi, difficoltà nella memoria, nell’attenzione, nella concentrazione, difficoltà relazionali, disfunzioni sessuali, anoressia, bulimia. Una ricerca finlandese ha rilevato che il tasso di suicidio è sei volte maggiore nelle donne che hanno abortito rispetto alle donne che hanno portato avanti la gravidanza.  Dopo l’aborto la donna sperimenta un vissuto di dolore talmente devastante che non si riesce a raccontare, un dolore non condivisibile. Proprio su quest’aspetto alcune donne dichiarano: “Non sono riuscita a parlarne mai con nessuno, è un dolore solo mio.”. “È accaduto poco più di 2 anni fa. Il dolore è costante e lancinante, soprattutto perché ti accorgi di essere sola, Sola di fronte alla cosa più devastante!”. Molte donne cadono in uno stato confusionale e di disorientamento: “Conservo il test di gravidanza, l’unica prova tangibile del fatto che il mio bambino c’è stato”.

Anche le donne che hanno altri bambini (prima o dopo l’aborto) vivono lo stesso dolore, perché i figli non sono sostituibili, ogni figlio, ogni vita è unica e insostituibile: “Oggi sono 20 anni e pur avendo un altro figlio non ne sono mai uscita”.  Un’altra dimensione che le donne vivono è quella dell’incomprensione dei cari che spesso banalizzano o sminuiscono l’accaduto, o ancora nella coppia non si osa parlare dell’argomento: “Sono passati 6 anni. La mia vita è divisa in due, spezzata, perché quel giorno io sono morta con mio figlio in quella stanza di ospedale. Mi sento un mostro”.

Papa Francesco nell’omelia del 12 aprile, Domenica della Divina Misericordia, afferma “Nascondere o negare il male è come lasciare una ferita che sanguina senza medicarla”.

In occasione di questa giornata avevo chiesto ad Anna, una donna che ho conosciuto durante il seminario sul post-aborto, di raccontare la sua storia.

Anna è una donna di grande fede, che ha iniziato un percorso di guarigione e di elaborazione del lutto. Pochi giorni fa mi scrive:  “Ciao Chiara, l’ora è tarda ma finalmente tutte le incombenze sono finite. Ho pensato con calma ai tuoi spunti ma faccio fatica a risponderti… ci devo pensare ancora, la guarigione è molto recente”. In realtà Anna non è riuscita a scrivermi, non ce l’ha fatta. Il figlio mai nato di Anna porta la mia età, 31 anni; e nonostante sia passato molto tempo Anna non ha dimenticato. Si dimentica forse una madre del suo bambino? (Is 49,14). La ferita dell’aborto può guarire da sola? Chi cura le ferite di queste donne? Chi si occupa di queste donne? Chi si mette accanto a loro, in comunione? Chi si fa prossimo a queste donne che soffrono? Quale processo di guarigione fisica, morale, psicologica, spirituale, sociale? I centri pro-life svolgono un lavoro solo centrato sul bambino o anche sulla donna? Spesso le donne che hanno vissuto il primo aborto reiterano, c’è una coazione a ripetere. Il vissuto di morte genera altra morte. Se aiutiamo le donne aiutiamo anche i successivi bambini a nascere.




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