Nuove sfide

Famiglie ferite: chi si prende cura di loro?

di don Silvio Longobardi

Il dibattito pastorale è rimasto focalizzato sulla questione divorzio, mettendo in ombra criticità e ferite: dal valore del fidanzamento alla disabilità vissuta in famiglia, dal lutto per la perdita di un coniuge alle situazioni di povertà.

Il questionario, che nell’ottobre 2013 la Santa Sede ha inviato a tutte le diocesi del mondo, proprio in vista del Sinodo, presentava un ampio spettro di domande, 38 per la precisione, che affrontavano tanti e diversi temi e chiedeva perciò di rivisitare, in chiave pastorale, tutta la problematica della famiglia, a partire dal tempo di preparazione al matrimonio.

E invece, il confronto teologico e pastorale è rimasto focalizzato esclusivamente sulla questione del divorzio. Questo tema era senza dubbio importante ma ha finito per mettere in ombra tanti altri problemi che appartengono alla vita familiare, non meno importanti e decisivi. Non possiamo dare la colpa sempre e solo ai media. È vero, c’è il Sinodo raccontato dai media e quello reale. Ma proprio perché sappiamo che i media non sempre gestiscono la comunicazione con imparzialità, dovremmo essere più prudenti nel concedere interviste e nella scelta dei temi. Nessuno ci obbliga a parlare sempre e solo di divorzio.

Alcune domande. Per dare un’idea dei molteplici e complementari aspetti che riguardano la famiglia mi limito a fare alcune domande, quelle che ogni diocesi e ogni comunità parrocchiale dovrebbe affrontare.

Come dare al fidanzamento il suo giusto valore e accompagnare i giovani alle nozze perché possano celebrare con piena consapevolezza quella promessa che sigilla il loro desiderio di unità? Per vincere la crisi non dovremmo amplificare l’opera della prevenzione?

Come stare accanto agli sposi nel difficile cammino coniugale per sostenere e consolidare la comunione di coppia?

Cosa dire ai genitori che sperimentano la fatica del compito educativo e sono perciò tentati di sottrarsi a questa responsabilità?

Come educare giovani e sposi a vivere una sessualità libera non dai tabù ma dall’istinto che amplifica in modo unilaterale le pretese dell’io e rende sempre più triste la vita?

Come mostrare il valore della procreazione intesa come feconda e consapevole partecipazione all’opera creatrice di Dio? Come aiutare quelle mamme o quelle famiglie che hanno difficoltà ad accogliere una nuova vita?

Come accompagnare, incoraggiare e sostenere le famiglie ferite, cioè quelle che portano nella carne la sofferenza della malattia e quelle che hanno sperimentato il lutto e la solitudine?

Come dare speranza alle famiglie che vivono nella povertà e non hanno i mezzi per dare ai figli tutto ciò che è necessario per crescere in modo dignitoso?

L’elenco potrebbe continuare. Di tutto questo non c’è traccia sui mezzi di comunicazione. Ma dobbiamo anche riconoscere che l’agenda pastorale delle comunità ecclesiali non si misura con la vita concreta della famiglia, non affronta e non contribuisce a risolvere le questioni che maggiormente pesano sul cuore degli sposi.

Le ferite della famiglia. Il documento sinodale riconosce che “separazione e divorzio sono sempre una ferita che provoca profonde sofferenze ai coniugi che li vivono e ai figli” (n. 45). La Chiesa ha il dovere di dare una risposta perché la sua fondamentale missione è quella di contribuire a donare a tutti la gioia. Invito però ad allargare lo sguardo, nell’universo familiare vi sono altre sofferenze che affliggono. Penso ad esempio alle persone vedove che hanno subito la separazione senza averla mai cercata e che portano con dignità una ferita oltre che il peso di una famiglia; alle famiglia che hanno figli con disabilità e che lottano a mani nude contro il male e la stupidità; ai genitori che devono fare i conti con la morte di un figlio; agli anziani, sempre più soli.

Tra i molti aspetti della vita familiare ce n’è uno che mi colpisce in modo tutto particolare. Ed è quello della disabilità. È l’esperienza che mi fa parlare. Da una confidenza: una giovane mamma, nelle settimane estive ha dovuto rinunciare alla Messa domenicale. Contro ogni suo desiderio. Non aveva a chi affidare il bambino, affetto da una grave disabilità. Né poteva portarlo con sé. Forse si è stancata di chiedere aiuto sempre alle stesse persone. È difficile bussare alla porta per mendicare un po’ carità, specie quando amici e parenti non sono affatto convinti che la Messa sia un bene essenziale.

Mentre l’ascoltavo e guardavo i suoi occhi, inumiditi dalle lacrime, pensavo al Sinodo che la Chiesa avrebbe celebrato poco tempo dopo. Sono andato allora a leggere il documento preparatorio, ho cercato ma non ho trovato nessuna parola per queste famiglie. Quella mamma, invece, con il suo bagaglio di sofferenza era l’icona eloquente di quel dramma che tante famiglie si trovano ad affrontare, di quella battaglia quotidiana che sono costrette a combattere per ottenere l’effettivo riconoscimento dei loro diritti. Famiglie che spesso sono lasciate sole. Anche dalla comunità ecclesiale. Chi si prende cura di loro? Chi si preoccupa di accompagnarli e sostenerli con affetto e amicizia? Chi offre a questi sposi una serata libera per dare loro la possibilità di respirare e non perdere il contatto con la realtà? Anche queste sono problematiche che riguardano la famiglia. Ma di questo non si parla.




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