Aborto
Il coraggio di farsi aiutare
di Giovanna Abbagnara
La storia di Daniela e il dramma dell’aborto, quel dolore che nessuno racconta.
Stringe tra le mani nervosamente una corona del rosario mentre inizia a raccontarmi la sua storia. Gli occhi mi scrutano agitati. Cercano un appiglio. Una complicità che le permetta di parlare liberamente di quella dolorosa esperienza che ha segnato la sua vita. Penso alla difficoltà di dire tutto ad una sconosciuta. Colgo nei suoi occhi un misto tra fragilità e fermezza. E allora capisco che prima di farle qualsiasi domanda, è necessario che le parli un po’ di me. Che le dica di aver vissuto anche io la dolorosa esperienza di due aborti spontanei. E nella sofferenza ci siamo guardate e riconosciute semplicemente come madri. Ora potevamo parlare.
“Quando ho scoperto di essere incinta, la mia storia con Antonio era cominciata da pochi mesi. Ci conoscevamo da piccoli ma solo nell’ultimo tempo l’amicizia aveva lasciato il posto all’amore. O almeno a quello che credevo fosse amore. La notizia della gravidanza mi faceva paura ma era una paura mista a felicità. In fondo lo amavo e desideravo costruirmi una famiglia e avere dei figli. Avevo 24 anni, lui lavorava. Mi sembrava tutto perfetto”. Gli occhi di Daniela si illuminano ancora mentre pensa a quel progetto d’amore che per un attimo aveva colorato i suoi giorni da giovane innamorata. Ma il sogno presto si scontra con un netto rifiuto di Antonio. “Io non voglio sapere nulla né di te né di questo bambino”. Fu la sua risposta. E Daniela si sentì improvvisamente sola. Cercò di parlarne con una sorella. Non aveva il coraggio di confidare tutto ai suoi genitori. Non voleva deluderli. Anche la sorella le consigliò di togliersi al più presto quel problema dal cuore, così Daniela si reca al Consultorio della sua città. La ragazza che l’accoglie, dopo averla ascoltata frettolosamente, le consiglia di parlarne con i suoi genitori. Ma Daniela è irremovibile su questo punto.
Il colloquio con lo psicologo non è obbligatorio e Daniela sceglie di evitare questa ulteriore sofferenza. Le danno appuntamento per l’ecografia. Daniela ricorda benissimo quel giorno. Era seduta sul lettino con il viso girato dall’altro lato per non vedere il suo bambino nel monitor. Ma una forza irresistibile la costringe a guardare quel girino muoversi così velocemente nel suo ventre. È distrutta. Manda continuamente sms ad Antonio con la speranza che lui possa cambiare idea. Ma non riceve mai nessuna risposta. Le danno l’appuntamento per il 4 maggio. La sera precedente Daniela prende tra le mani il rosario. Vorrebbe pregare, ma non riesce nemmeno a farsi il segno della croce. Le parole le muoiono in gola. Quella notte insonne la trascorre a casa della sorella. L’indomani mattina mentre escono per andare in ospedale sull’uscio della porta, Daniela si scontra con il padre. “Ho avuto come l’impressione che lui avesse capito che c’era qualcosa che non andava”, le prime lacrime cominciano a rigare il volto di Daniela. Il ricordo di quello sguardo del padre la ricolma di dolore. “Se solo avessi avuto il coraggio di parlare con i miei genitori. Forse avrebbero capito e io avrei oggi la mia bambina”.
In ospedale tutto si svolge secondo un copione squallido e senza calore. “Tornata a casa, ho sentito subito l’esigenza di confessarmi. Ho pianto tutte le mie lacrime ma non mi sentivo riconciliata con Dio”. Daniela cerca di riprendere in mano la sua vita. Un nuovo amore sembra distoglierla da quel dolore ma dopo cinque anni Daniela si accorge che il suo ragazzo non intendeva costruire con lei niente di duraturo. Decide di lasciarlo. Da un po’ di tempo aveva cominciato a frequentare la parrocchia vicino casa. Partecipava ai momenti di preghiera e di catechesi. “Avevo compreso l’importanza di vivere un fidanzamento casto e orientato al matrimonio. Volevo una famiglia e lui no”. Il distacco dal fidanzato fa venire a galla tutto il dolore per l’aborto vissuto anni prima. Daniela sprofonda in un’angoscia assordante. A tratti le sembra di rivivere anche il dolore fisico dell’aborto quando aveva sentito che quella vita dentro di lei le veniva strappata con prepotenza. Si faceva sempre la stessa domanda: “Dov’è mio figlio?”. Aveva cercato altre confessioni. Si sentiva sempre in dovere di chiedere perdono. Fino ad essere rimproverata dal suo confessore: “Basta, Dio ti ha perdonata figlia mia. Basta con questa sofferenza”. Eppure Daniela sperimentava che c’era qualcosa di irrisolto nella sua vita. Perché se Dio l’aveva perdonata, non riusciva a sentirsi sollevata? Una notte insonne, come tante, cerca da internet qualche risposta e la trova. L’incontro con Monika è straordinario. E nel ritiro Daniela fa un’esperienza spirituale intensa e risanatrice. “Durante quei giorni ho dato un’identità a mio figlio. Ho pensato che fosse una bambina e le ho dato un nome: Sara”. Mi dice con quel guizzo negli occhi di tutte le madri che parlano dei loro figli.“Sapevo che Dio mi aveva perdonata ma lì durante quei giorni di grazia avevo capito che dovevo chiedere perdono anche alla mia bambina, perché le avevo fatto del male. Le avevo impedito di vivere la sua vita”. E improvvisamente Daniela sente sgorgare dal suo cuore un dolore nuovo, un dolore catartico, sano, un dolore redento. “Sentivo che la mia bambina mi aveva perdonato e così l’ho affidata a Dio”. Da questo momento per Daniela inizia una nuova vita. L’eucarestia diventa il suo pane quotidiano. La fede le dona la forza di confidare il dramma vissuto ai suoi genitori. Contrariamente a quanto pensava, nessuno la giudica, nessuno ha una parola di condanna per lei. “Scrivilo Giovanna, scrivi che quelle che possono sembrare difficoltà insormontabili in realtà se si ha il coraggio di farsi aiutare diventano spesso scuse futili e banali. Scrivilo che poi la sofferenza è come un mostro a sette teste che ti stritola il cuore fino a soffocare ogni anelito di felicità. Scrivilo ti prego”. L’ho fatto Daniela. Per te, per la tua bambina e per tutte le donne che si riconosceranno nella tua storia.
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