La lettera

La dignità non si congela

di Giovanna Abbagnara

Cara Barbara, il tuo articolo apparso sul Il Foglio del 22 ottobre mi ha lasciata davvero basita. Non sono scandalizzata, da tempo sono abituata a questa cultura che mina da più parti la dignità della donna. Ma sono davvero dispiaciuta che una donna parli in questo modo alle donne. Scrivi di meravigliosa “assicurazione sulla maternità”  in riferimento all’iniziativa delle aziende della Silicon Valley  che hanno deciso di offrire alle loro dirigenti e impiegate, il congelamento degli ovuli per non interrompere la carriera professionale. Io la definisco “annichilimento della maternità”. Contro questa assurda idea ho sentito perfino la Littizzetto, di chiara posizione politica e di ostentato orientamento religioso, elevarsi a rivolta e condannare la pratica proposta anche da colossi come Apple e Facebook.

È questo ciò che ti aspetti: avere un giorno la possibilità di “usufruire di un servizio medico – ancora costoso – che metta in grado le nostre figlie di generare figli geneticamente affini, anziché migrare per elemosinare nelle Asl un ovetto fresco”?
Chi ti scrive è sposata da 15 anni e ha un figlio. Ne avrei voluto altri. La maternità per me è stata un dono meraviglioso che ha realizzato pienamente la mia capacità di amare. Per realizzare il mio sogno, di avere altri figli, avrei potuto ricorrere alla fecondazione assistita come più volte mi ha consigliato il mio ginecologo, ma non l’ho fatto per diversi motivi. Ti basta sapere che per me e mio marito un figlio è il dono di un amore che nell’atto sessuale trova il suo apice e il suo compimento.
Ho poco meno della tua età ma non ho mai preso quella che tu definisci una “santa invenzione”, la pillola anticoncezionale, né mi sono sottoposta alla pratica dell’introduzione o meno della spirale nelle mie “cavità” uterine. La mia sessualità mi definisce come donna in relazione con me stessa, con mio marito e con tutte le persone che incontro. Non è la strada del piacere libero e incondizionato.
Non ti rendi conto che il gesto che tanto decanti, apparentemente altruista e smielato di uomini che hanno proposto alle loro dipendenti di congelare gli ovuli per evitare di interrompere la carriera professionale (o i loro profitti?) proponendosi anche di finanziare completamente l’operazione “bancaria”, è invece indice di una aberrante e insidiosa mentalità maschilista che non tiene conto delle attitudini della donna? Questa è una cultura che annulla la diversità e tende a omologare la donna all’uomo. E tutto questo avviene con la complicità di donne che la pensano come te. Tu vedi come progresso una scelta che invece ti distrugge e ti annulla come donna. Nell’ambiente di lavoro, una donna porta il suo essere tale, con la capacità di accoglienza, di praticità, di lungimiranza che appartiene all’universo femminile. Invece di proporre il congelamento degli ovuli, mi aspetto politiche aziendali che favoriscano la maternità con asili nido presso gli ambienti di lavoro per esempio.  Provo a immaginare l’esito di una tale scelta: una donna si ritroverebbe all’apice della carriera, che certamente non avviene a 30 anni ma dai 40 anni in su, a rimandare la scelta di un figlio. Ma fino a quando? A 50 anni?
Tu affermi che non è per la carriera o per i soldi che si rimanda, ma alla fine di un articolo asciutto e progressista, parli improvvisamente di uomo giusto. Una nota romantica che poco si addice alle tue precedenti affermazioni. Uomo giusto? Giusto per cosa? Per trascorrere l’età della pensione con un “marmocchio”, come lo chiami tu, che gira per casa urlando mentre tu vorresti solo impugnare gli occhiali per la ipermetropia e leggere un buon libro sul divano? Perché non proviamo invece a guardare la vita da un’altra prospettiva. Andiamo insieme a bussare alla porta di quelle donne che hanno un figlio disabile, proviamo a chiedere loro se hanno al proprio fianco l’uomo giusto, se il figlio è arrivato nel tempo sbagliato o no, se si sentono pienamente realizzate come donne! Bussiamo alla porta di quelle donne costrette ad abortire dai loro datori di lavoro per paura di perdere il posto. Non possiamo continuamente tentare di dividere la nostra sessualità dalla capacità di dare la vita. Stiamo rischiando davvero grosso con questa cultura. Non vedo come te nuove opportunità della scienza in questo genere di proposte. Un figlio è un dono, non un diritto, né un regalo che arriva al momento giusto. Cosa gli diremo? Sei arrivato quando mamma e papà hanno finito di fare tutto il resto? Queste scelte a partire dal dio denaro non riconoscono la dignità del figlio, il suo diritto ad essere concepito in un contesto d’amore e non in un freddo laboratorio. Qui non è in gioco la “naturalità del concepimento” ma la responsabilità genitoriale. Da madre.




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