Eterologa
I bambini possono aspettare
EDITORIALE
di Silvio Longobardi – s.longobardi@puntofamiglia.net
Il pronunciamento della Consulta sull’ammissibilità della Fivet eterologa ha trovato un’immediata sponda in molte Regioni che hanno previsto un semplice ticket per ricevere queste cure che vengono considerate parte integrante del servizio alla salute che lo Stato ha il dovere di garantire. Il tutto ovviamente a spese dei contribuenti.
Come possiamo non essere contenti? In fondo si tratta di dare figli ad una coppia che non può averli! Non importa se la coppia è sposata o meno. Non importa se in questo caso deve intervenire anche un terzo soggetto. Non importa se il figlio che nascerà sarà frutto di una cooperativa genitoriale. Viva la vita.
Mentre scrivo, i quotidiani online riportano con grande evidenza la notizia che un’associazione ha presentato ricorso al Tar della Lombardia contro la decisione della Regione, unica in Italia, di non concedere gratuitamente queste prestazioni. Questa delibera, tuona l’associazione, “viola il diritto alla salute dei meno abbienti”. Come non restare sorpresi dinanzi a questo improvviso amore ai poveri. Questa stringente motivazione sociale incontrerà sicuramente la sensibilità dei giudici.
Eppure in questa vicenda c’è qualche cosa che non mi convince. Perché lo stesso trattamento non viene riservato alle coppie che, invece di assemblare un figlio in laboratorio, decidono di adottare un bambino già nato e privo di genitori? Come mai in questo caso le coppie devono fare tutto con le proprie forze e le proprie risorse? Come mai quelle stesse Regioni che hanno deciso di rispondere subito al bisogno di un figlio, tramite Fivet, con spese che tutti possiamo immaginare, restano indifferenti dinanzi al grido di sposi che non possono permettersi il lusso di dare il calore di una famiglia ad un bambino che conosce soltanto le mura di un orfanotrofio? Questi poveri sono meno interessanti? Quante coppie sono costrette a rinunciare e quanti bambini restano soli! Non tutti sanno che il numero delle adozioni internazionali – già abbastanza limitato perché non supera le 3mila unità annuali – nel primo semestre ha avuto un ulteriore e drastico calo del 30%. Colpa della crisi ma anche del disinteresse della politica.
Se allarghiamo l’orizzonte, senza pregiudizi ideologici, nascono altre domande, ancora più impertinenti. Come mai quello Stato che spende tanto denaro pubblico per garantire l’aborto, si trova a corto di liquidità quando si tratta di sostenere le maternità difficili? A norma di Legge – la famosa Legge 194 – sono i Consultori o i servizi sociali che devono provvedere. Eppure, l’esperienza dice che in molti casi basterebbe poco, davvero poco, per evitare di sopprimere la vita.
C’è qualcosa che non va. È l’amore sviscerato per la famiglia e la vita che ispira la politica regionale oppure vi sono altri e inconfessabili interessi? Provare per credere. Proviamo a chiedere alle Regioni di mettere a disposizione delle famiglie adottive “meno abbienti” la stessa somma – non un euro in più – che spendono per la procreazione assistita. In fondo chiediamo solo la par condicio.
Nelle pagine del documento finale del recente Sinodo sulla famiglia si accenna all’adozione presentata come “segno eloquente dell’amore familiare, occasione per testimoniare la propria fede e restituire dignità filiale a chi ne è stato privato”. Queste parole non hanno avuto l’eco che meritano. La politica e la stampa avevano altro di cui parlare. I bambini possono aspettare.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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