Società
Nella cronaca le domande di sempre
di Silvio Longobardi
Un uomo uccide la moglie e due figli ancora piccoli. Un altro, padre di tre figli, è accusato di aver ucciso una ragazzina di 13 anni. Sono solo gli ultimi, forse i più efferati, episodi di una cronaca nera mai avara di notizie.
Se per un attimo lasciamo da parte i rumori assordanti di una comunicazione morbosamente attenta ai dettagli e ci lasciamo interrogare dai recenti fatti di cronaca, scopriamo che emergono le domande di sempre, quelle che accompagnano ogni epoca della storia e ogni stagione della vita: l’uomo è capace di amare? È capace cioè di tradurre il sentimento in una storia fatta di dedizione e condivisione con l’altro oppure è condannato a vivere nella prigione di un io che cerca solo ciò che piace? È capace di orientare i sentimenti oppure è sottomesso alla più bieca istintività? Un amore come questo non si trova per caso ma s’impara. Chi trasmette oggi questi valori? Chi educa a vivere l’amore nel solco della responsabilità?
Sappiamo tante cose ma non sappiamo più rispondere alle domande di sempre, quelle che danno alla vita una forma pienamente umana. L’uomo ha bisogno di tante cose ma se non impara ad amare non troverà mai quella gioia che riempie gli occhi di Cielo.
La maggior parte di questi drammi avvengono all’interno delle mura domestiche, sono tragedie che colpiscono gli anonimi operai di quell’azienda un po’ dissestata che si chiama famiglia. Troppo facile trascinare la famiglia sul banco degli imputati. Non manca chi si avventura per questa strada scivolosa. Ma è una deriva ideologica. È vero, la casa non è più sinonimo di protezione ma chi ha contribuito al dissesto valoriale? Chi ha indebolito le fondamenta della comunità domestica? Chi ha propagandato una cultura e uno stile di vita in cui il piacere individuale va cercato e perseguito sempre e comunque? Chi ha esaltato la sessualità come un bene assoluto al quale non possiamo rinunciare, nemmeno quando è in gioco la vita propria o quella altrui?
La famiglia non è complice di quel che accade, anzi essa è la prima vittima. Tante volte abbiamo la netta impressione che il vivere comune non sia più capace di vestire di umanità la vita delle persone. E tanti diventano genitori senza mai diventare adulti, conservando nel cuore tasselli di adolescenza che offuscano la capacità di amare gratuitamente. Ma questo non è colpa della famiglia, è piuttosto il frutto amaro di un vivere sociale che ha smarrito la via del bene e non sa più insegnare – nel senso etimologico – quelle parole che danno una forma pienamente umana all’esistenza.
“Sei ancora quello della pietra e della fionda; / uomo del mio tempo”, scriveva Quasimodo. A leggere bene la cronaca, senza fermarsi alla superficie dei fatti, al grido scomposto di chi racconta solo per commuovere o suscitare indignazione, scopriamo che riporta sempre al punto di partenza, cioè a quel cuore dove tutto si decide. Questo spazio interiore dovrebbe essere un giardino coltivato e invece assomiglia sempre più ad un lago privo d’acqua, e non raramente diventa luogo in cui trovano riparo le bestie feroci. È da questo luogo che dobbiamo ripartire se vogliamo sanare in modo non illusorio la vita sociale. Ma non siamo capaci di fare un’efficace e duratura opera di bonifica. Forse per questo quel che accade ci sconvolge e impaurisce. “Resta con noi, Signore”. Solo Tu puoi riportare la speranza.
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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