Scuola
Educare al maschile e al femminile nella scuola
di Tonino Cantelmi
Andrea Monda è professore di religione della scuola secondaria di secondo grado, ha fatto dell’insegnamento una vocazione. È laureato in giurisprudenza presso l’università statale La Sapienza di Roma e in Scienze Religiose presso la Pontificia Università Gregoriana con una tesi dal titolo Il significato teologico e la pertinenza pedagogica de Il Signore degli anelli di J.R.R. Tolkien. È collaboratore come pubblicista di vari quotidiani e periodici ed è responsabile di vari eventi culturali realizzati con il Centro Studi Americani, la Discoteca di Stato (oggi Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi), il Pontificio Consiglio per la Cultura e altri istituti. È l’attuale Presidente di BombaCarta.
Ha notato differenze nelle modalità di apprendimento tra maschi e femmine?
Nella mia esperienza di insegnante nelle scuole superiori ho potuto notare delle differenze che, in termini generali, si confermano classe dopo classe. Le ragazze in genere sono studiose, diligenti, ordinate, direi più «scolastiche», mentre i ragazzi sono generalmente meno costanti e motivati per l’impegno continuo, ma capita che abbiano una ottima intuizione, a tratti geniale, che spesso usano per bypassare lo studio quotidiano. I ragazzi sono in media più approssimativi delle ragazze. Nella mia esperienza la capacità delle ragazze di essere ordinate e precise è accompagnata dall’ansia. Le ragazze sono molto più ansiose dei ragazzi riguardo la loro riuscita scolastica e questo le porta a essere più oculate e preparate. Vorrei anche sottolineare che secondo me le ragazze sono competitive fra di loro, cosa che si intende spesso invece riferita ai maschi, ma soprattutto, ahimè con se stesse. Una ricerca di aderenza al modello astratto e disincarnato che purtroppo in alcuni casi assume la forma della patologia. In tredici anni di lavoro mi sono imbattuto purtroppo molto spesso con la piaga dell’anoressia. Nel corso del mio insegnamento ho riflettuto sul fatto che, nella mia esperienza, l’anoressia ha colpito esclusivamente le ragazze, quasi sempre le più brave a scuola e spesso anche le più carine fisicamente che poi entrano in un circolo vizioso senza fine ne quale pretendono sempre il massimo da se stesse fino a tendersi, smagrire e star male. Non voglio entrare in merito alle dinamiche psicologiche o alle situazioni familiari di queste ragazze, ma solamente far notare che l’anoressia è un fenomeno legato fortemente con l’autostima e la competitività. Nella mia esperienza è stato molto utile «rigirare» il discorso alle ragazze e ai ragazzi più bravi. Se sei più bravo, aiuta gli altri. Così, incoraggiando molto i miei studenti a essere solidali fra loro ho fornito un’alternativa al vivere l’eccellenza solo come modo per primeggiare e affermarsi. L’eccellenza deve diventare servizio, da allontanamento ad avvicinamento. Inoltre da professore di religione posso notare che spesso sono le ragazze a venire a chiedere e a voler approfondire temi riguardo l’interiorità e la spiritualità, maggiormente recettive e pronte ad interrogarsi. Invece i ragazzi, in genere, sono riservati e si tengono dentro le domande importanti sulla vita. se si pongono dei quesiti o dubbi su questo argomento è perché, spesso, sono giovani che si sono dovuti confrontare con qualche trauma o lutto.
Molto di ciò che conoscono del mondo, i ragazzi lo trovano su Internet. Come pensa che «la scuola-palcoscenico» del Web condizioni gli adolescenti nella formazione della propria identità sessuale maschile e femminile?
Credo che l’influenza sia notevole e investa diversi aspetti della formazione dell’identità dei ragazzi. Io mi vorrei soffermare su come mi sembra vengano usati i social network per comunicare. Osservandoli, noto che in rete gli studenti tendono ad avere lo stesso atteggiamento che hanno in classe. Infatti le ragazze amano condividere i propri sentimenti, la loro è una comunicazione più espressiva che comunicativa e usano internet e i social network per condividere le proprie emozioni. Invece i ragazzi sembrano essere più concentrati su contenuti esterni e condividono passioni come musica e sport senza esporre molto i loro vissuti emotivi.
Ci sono studi che indicano come, per la letteratura, ci siano degli interessi specifici per maschi e femmine e come, anche di fronte allo stesso testo, spesso vi siano due modalità di approccio e due prospettive diverse. Si colgono punti salienti diversi, ci «si emoziona» per cose diverse. È così anche nella sua esperienza? In questo senso il genere letterario epico/fantasy del Signore del Anelli, di cui ha ricchissima conoscenza, che esempio offre?
Non ci sono regole assolute, tuttavia ho notato che la dimensione epica e fantasy appassiona i maschi. Ci sono tante e bellissime eccezioni e io ho nelle mia classi delle alunne che sanno tutto dei Signore degli Anelli, sono informatissime, appassionate al punto di saperne più di quanto ne sappia io, ma sono eccezioni. Generalmente non sono appassionate a questo genere narrativo perché ha un impatto epico, marziale e fantastico che in genere alle donne non piace. L’epica tendenzialmente è semplice nella costruzione del mondo interno dei personaggi, che spesso si confrontano con grandi temi e valori senza però vivere quella risonanza emotiva e introspettiva che attira maggiormente le ragazze. Ho notato invece che tra le ragazze ultimamente ha spopolato la Saga Twilight, proprio per questo motivo, le pagine del libro sono piene di descrizioni delle tribolazioni affettive della protagonista e inoltre è una storia che parla di amore. Al suo interno c’è una traccia importante che riguarda l’amore romantico, l’avventura dell’amore.
In che modo il suo ruolo di educatore viene interpretato e veicolato dal suo essere maschio?
È diverso se il professore è uomo o donna e questo l’ho potuto costatare qualche anno fa quando per una serie di motivi sono stato assente dalle lezioni e hanno incaricato mai moglie a farmi da supplente, come insegnate di religione. Si è venuta a creare una situazione un po’ buffa, marito e moglie, tutti e due si ritrovano a insegnare religione, stessa materia, stesa classe, stessi studenti. La situazione paradossale era che, quando tornavo a casa e mi raccontava quello che era successo, io facevo fatica a capire di chi stesse parlando. Ad esempio lei citava gli studenti chiamandoli per nome, io invece quando parlo di loro uso il cognome, e già questo è una piccola differenza che fa capire il diverso atteggiamento che avevamo. Inoltre dopo poco tempo lei è venuta a conoscenza di cose molto personali, ad esempio: «Lo sai che la zia di Eleonora fa la ballerina» E io: «Sì, d’accordo, ma prima di tutto: chi è Eleonora?». Inoltre, dopo solo una ventina di giorni, a mia moglie sono state confidate cose intime che io non conoscevo dopo vari mesi di insegnamento. Il chiamare per nome è solo il segnale di questa tendenza, una spinta naturale verso l’intimità e la relazione. Inizialmente io, invece, tendo molto a mantenere la distanza.
Credo che ci sia un modo femminile e un modo maschile di insegnare, ma soprattutto di relazionarsi con i ragazzi che potrebbe essere una ricchezza per la scuola.
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