lo studio
Udito
di Tonino Cantelmi
Non è vero che i maschi non ascoltano. È che non sentono proprio!
Non c’è moglie o marito, o coppia di fidanzati, che non abbia fiumi di episodi comico-grotteschi in cui l’altro sesso viene descritto, in modo stupito o divertito, come protagonista di comportamenti “incomprensibili” o soluzioni “fuori da ogni logica”. Ma il punto centrale che soggiace al divertimento dei “racconti di genere” è: a quale logica si fa riferimento? In che modo tale logica si costruisce, con quale modo interno si relaziona in modo prevalente, mentre acquisisce e rielabora dati provenienti dall’esterno? Ci chiediamo quindi, più concretamente: le differenze sessuali nell’autonomia del cervello tra uomo e donna, corrispondono a differenze sessuali nelle funzioni del cervello? Esistono differenze significative nel come femmine e maschi sentono, o in come vedono, o in come apprendono? E per quanto riguarda la loro intelligenza? E il modo di relazionarsi e innamorarsi? […]
Nel 1980 una studentessa americana ha svolto una ricerca per verificare la correlazione tra l’ascolto di musica in bambini prematuri e migliori condizioni di crescita e di sviluppo dei bambini stessi. Per appurare la veridicità dell’ipotesi fu fatta ascoltare ai bambini musica leggera monitorando contemporaneamente i fattori di crescita e di sviluppo. Gli stessi valori furono registrati anche per un gruppo di controllo (bambini non esposti all’ascolto della musica) composto sempre di 26 bambini prematuri. Al termine del periodo di osservazione si riscontrò che i bambini che avevano ascoltato la musica in culla erano cresciuti più rapidamente, avevano avuto minori complicazioni ed erano stati dimessi dall’ospedale cinque giorni prima rispetto ai bambini facente parte del gruppo di controllo. Lo psicologo pediatra Leonard Sax, riporta che consultando direttamente i risultati dello studio, ha notato una particolarità interessantissima che era sfuggita stranamente alla stessa autrice Janel Caine. Le bambine che avevano ascoltato musica in culla avevano lasciato l’ospedale nove giorni e mezzo prima delle bambine del gruppo di controllo, mentre per i bambini maschi non era riscontrabile nessuna differenza, tra quelli che avevano ascoltato musica in culla e quelli che non l’avevano fatto. Risultati simili, ma ancora più marcati confermano dati emersi nel 1980, vengono riportati in uno studio di pediatria neonatale, nel quale alle bambine a cui veniva solitamente canticchiata la ninna nanna di Brahms, al termine dell’osservazione riportavano de le condizioni cliniche per le quali venivano dimesse dall’ospedale dodici giorni prima rispetto alle bambine a cui non era stata cantata. Con i maschi non andava altrettanto bene. In media i bambini maschi che avevano ascoltato la musica non avevano ascoltato musica non avevano lasciato prima l’ospedale rispetto ai bimbi che non avevano ricevuto il trattamento. Per capire la ragione di questa differenza tanto evidente quanto apparentemente inspiegabile, non è necessario richiamare ipotesi e teorie: è sufficiente partire dalla fisiologia umana, constatando semplicemente che le bambine hanno un udito migliore per la musica, o quantomeno, per determinate frequenze. Diversi studi hanno infatti evidenziato che l’udito delle bambine è sostanzialmente più sensibile di quello dei maschi, specialmente nella gamma di frequenze che va dai 1000 ai 4000 hz, che tra le altre cose è anche la gamma fondamentale per la discriminazione dei suoni nel linguaggio parlato. Inoltre è possibile osservare che la reazione cerebrale all’ascolto dei suoni all’interno di questa gamma è nelle bambine neonate superiore a quella dei maschi anche dell’80%. Questa differenza tende ad aumentare nel corso dello sviluppo ed è stato possibile evidenziare che la superiorità femminile nell’ascolto di frequenze intorno ai 2khz diventa maggiore con il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Le femmine, dunque, sentono un’importante gamma di frequenze meglio dei maschi, beneficiano dei trattamenti di musicoterapia in modo molto più evidente e hanno una migliore risposta dei maschi nel percepire il tono della voce dell’altro, come ad esempio il padre o l’insegnante di classe.
(Tratto da “Educare al femminile e al maschile” di Tonino Cantelmi e Marco Scicchitano, ed. Paoline, 2013)
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