Con fede vivere e donare vita

di don Renzo Bonetti

Nella cultura moderna attuale sembrano non esserci segreti sulla vita: si conosce bene sia come inizia sia come finisce.
Si manipolano ovuli ed embrioni a proprio piacere, secondo le esigenze del caso. E proprio come un caso è concepita la vita, come un processo spontaneo evolutivo di autoproduzione. La vita si spiega in sé stessa, non c’è altro da dire. Il cristiano, chi ha fede, invece, considera la vita un dono: un dono di Dio che mi ama e mi ha voluto da sempre. E questo vale per ogni persona: ogni bambino pro-creato ha un riferimento concreto sulla terra e nel cielo che è Gesù di Nazareth. Nella lettera di San Paolo agli Efesini si legge: “In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo predestinandoci a essere suoi figli adottivi”; “il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose”; “in Lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati”. Appare evidente, in queste righe, un legame profondo tra l’uomo e Cristo. Ogni persona concepita è legata a Gesù, è stata voluta e amata da sempre da Dio, presente nel suo disegno originale. La radice profonda di ogni bambino è in Gesù, suo unico riferimento, di cui ne è … immagine e somiglianza. E questo indipendentemente dal fatto che il bambino sia bravo o no, sia sano o malato: Dio non fa differenze, ognuno è pensato, amato e da Lui voluto. I genitori hanno la possibilità di partecipare alla paternità di Dio generando figli nel Figlio suo, prestando i loro corpi a Dio perché Egli susciti in loro un figlio. Ogni figlio è dunque sempre frutto della creazione divina e rimando di Gesù di Nazareth. I genitori non sono fecondi da sé ma grazie alla fecondità divina che gli dà modo di essere tali, pur sempre nella loro libertà di accettare o meno questo dono. Dio prolunga quindi il suo potere creatore negli sposi dentro il suo progetto divino: ecco perché gli sposi dovrebbero anche fare i conti con Lui per avere o non avere figli o quanti averne. La coppia che si apre alla vita scopre un di più che viene solo da Dio, coglie subito la grandezza della “vita” racchiusa nel loro bambino. Meraviglia questa che non possono sperimentare gli sposi chiusi in loro, nella loro relazione a due: essi rischiano di trasformarsi l’un l’altro a propria immagine chiudendosi in una soffocante solitudine a due. La relazione di coppia è cosa invece diversa. Il maschio, con la sua identità, ama la femmina, con la sua identità e tutti e due “escono” da loro stessi per costituire il Noi. Il Noi di coppia va fatto crescere, va alimentato ed è garanzia dell’amore tra i coniugi, di un rapporto non egoistico ma donante, aperto all’altro. La concretizzazione del Noi di coppia è il figlio; egli chiede, accoglie, dona e fa così crescere nei coniugi la loro identità di genitori. Il figlio non è qualcosa solo di lui o di lei ma qualcuno da accudire insieme che obbliga la coppia ad interagire con lui: è il Noi fatto carne. Essendo i figli immagine viva del Noi di coppia, i coniugi sono costretti a mantenere sempre più unito il loro Noi in modo da poter offrire al figlio un ambiente adatto dove crescere e conoscere l’amore. Per questo ogni figlio è un’occasione unica di crescita per i genitori ed è preziosa quindi l’apertura alla vita per diventare più grandi nell’amore. In questa ottica emerge per la coppia l’essere a immagine e somiglianza della trinità: il terzo è il figlio, è il Noi di coppia con il quale costruire quella triadicità d’amore che fa crescere. La coppia ha una fecondità permanente dentro la quale vive fasi di dare e ricevere, avere o non avere figli propri, desiderare e realizzare, pensare ai propri figli e pensare ai figli degli altri. La fecondità della coppia si realizza anche attraverso questo: fare figli di Dio, crescere figli di Dio, figli non biologicamente propri, per costruire la grande famiglia Chiesa. I genitori devono considerare i figli come figli di Dio: ogni figlio è destinato a Dio, ha un biglietto di andata e ritorno a Dio in quanto è chiamato a partecipare alle nozze del Signore Risorto. L’essere padre e madre per una coppia non deve quindi limitarsi all’avere figli propri ma al saperlo essere con ogni persona incontrata, in modo da portarla a Dio. Questo significa vivere la fecondità adottando la paternità e la maternità di Dio. In tre momenti particolari c’è bisogno di amore: nella vita che nasce, nella vita che soffre, nella vita che muore.
Una vita nasce nell’accoglienza, nel rifiuto, nel benessere, nella necessità, nell’amore o grazie alla genetica. In tutte queste casistiche l’importante è farsi presenti spiritualmente e fisicamente in modi e tempi diversi. La coppia deve prestare attenzione al bimbo che nasce nella famiglia bisognosa tanto quanto a quello cha nasce da una donna sola per far crescere l’amore e la gioia per la vita.
Una vita sofferente nella nostra società è diventata problematica solo della sua cerchia familiare più ristretta. Nessuno pensa di condividere con l’amicizia e la spiritualità il dolore, ad andare all’essenziale della vita. Sembra che la mancanza di dolore fisico sia il massimo obbiettivo che si deve raggiungere e non se l’ammalato è invece anche amato. Nella vita che muore l’amore serve per dare forza a chi sta vivendo questo momento; non lasciare il compito al prete o a chi presta assistenza, non responsabilizzandosi per arrivare con l’amore anche in queste situazioni drammatiche. Essere padri e madri infine porta a scoprire che ogni figlio è parola di Dio, è un suo richiamo, è rimando della sua tenerezza, dolcezza e bellezza.
Nel messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la XXIII giornata della vita si legge: ”ogni essere umano si affaccia alla storia come soggetto del tutto singolare e irripetibile, come parola detta da Dio. Una parola, per ciò stesso, portatrice di un significato che va oltre la storia terrena per inscriversi nel disegno eterno e amorevole del Padre. In ogni figlio che nasce vi è come un riflesso del Figlio Unigenito di Dio, un’eco della Parola eterna. Ogni uomo è creato in Cristo e in lui è chiamato a trovare la sua perfezione e la sua beatitudine. Ogni uomo è una risorsa, un bene prezioso per gli altri e , a sua volta, chiede agli altri di essere accompagnato e aiutato nel suo cammino verso il compimento definitivo. In ogni persona che viene alla vita, Dio rivolge ai genitori una parola che prolunga l’antica promessa e benedizione rivolta ad Abramo. Il figlio è parola da ascoltare e dono da accogliere con amore. Il figlio che nasce è un bene prezioso e una parola che interpella tutti e chiede a tutti di essere ascoltata. Ogni giorno, nella famiglia, nella società e nella comunità ecclesiale. Il figlio dice “ascoltami”. Pertanto, ogni figlio, venendo da Dio, è un richiamo, una Sua parola donata alla piccola Chiesa (famiglia) e alla grande Chiesa. Ogni figlio deve sollecitare a un esercizio più grande rispetto al decifrare le sue esigenze, il suo bisogno di cure, il suo bisogno di essere educato. Ogni figlio deve stimolarci a interpretare il messaggio preciso che il Signore, attraverso di Lui, vuole darci; e questo è un dono nel dono. Così ogni nuova vita non è un sottrarre (sottrazione di tempo, di energie, di denaro) bensì un crescere (ogni giorno mettersi in discussione, cercare la verità nell’essere guida, stimolati a crescere anche da adulti).




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