Casa Martin: una testimonianza profetica

di Ida Giangrande

Il 14 Luglio del 2012, Mons. Habert, vescovo di Séez in Francia, ha tenuto una conferenza su come la vita di Luigi e Zelia Martin, genitori di Santa Teresina,  rispecchi e anticipi i testi del Concilio Vaticano II.
Lo abbiamo incontrato per riflettere insieme a lui sul rapporto tra il concilio e questi straordinari testimoni di fede.
Lei ha voluto guardare la storia col senno di poi? Perché? Che cosa l’ha spinta a ricercare proprio nei Martin un modello di chiesa domestica preconciliare?
L’amore coniugale come vincolo eterno ed indistruttibile è possibile solo nella logica della grazia di Dio. Il modello è Gesù Cristo, Lui che ama la Chiesa sua sposa, fino a morire per lei, diventa guida per i coniugi, chiamati ad amarsi l’un l’altro dello stesso amore. Di queste radici, Zelia e Luigi Martin si fanno inconsapevoli testimoni. Essi sono l’esempio dell’amore sponsale secondo Dio, in un’epoca in cui la Chiesa non aveva ancora toccato i temi della coniugalità e della pastorale familiare, anticipando così la corrente di pensiero che troverà nel Concilio Vaticano II la sua più grande espressione.

Può fornirci degli esempi?
La mia riflessione individua quattro aspetti, nei quali poter rintracciare i punti di contatto che allacciano l’esperienza coniugale dei Martin alle posizioni del Concilio. Le dimensioni sono le seguenti: la santità, il matrimonio, la famiglia e l’educazione.

Partiamo dalla prima dunque, la santità. Come i coniugi Martin anticipano il Concilio da questo punto di vista?
Il Concilio Vaticano II, parla di una santità aperta a tutti e lo fa in un’epoca in cui, si credeva che questa meta fosse appannaggio di vergini e consacrati. Ebbene la santità era l’obiettivo di Luigi e Zelia anche prima del loro matrimonio. Entrambi desideravano consacrarsi al Signore, entrambi vissero la via del matrimonio come una chiamata e quindi come una strada che conduce alla santità. Di tutto questo, ne è prova la stessa Santa Teresina quando scrive: Il buon Dio mi ha dato un padre e una madre più degni del cielo che della terra.

Come hanno potuto vivere il matrimonio come una strada di santità, se entrambi volevano consacrarsi?
Anche in questo Luigi e Zelia, sono espressione del pensiero inespresso della Chiesa. Il Concilio Vaticano II stabilisce che il sacramento del matrimonio riporta l’uomo e la donna all’antica armonia. Nella grazia sacramentale gli sposi, riscoprono la loro somiglianza al Creatore e riflettono la Sua Immagine nel mondo. Pertanto questa non è una via alternativa a quella della vita consacrata, nè una scelta dettata dal bisogno naturale di relazionarsi affettivamente ed emotivamente ad un’altra persona, ma una vera e propria vocazione. Una scelta decisiva. La risposta ad una chiamata da parte di Dio. Fu esattamente in questo modo che Luigi e Zelia vissero il sacramento del matrimonio. Ognuno di loro percepì fin dal primo incontro, di essere stato pensato da Dio per l’altro, chiamati a servirLo insieme. Nella loro unione trovarono quella necessaria complementarità che serve per arrivare alla santità, meta che forse non avrebbero mai potuto raggiungere singolarmente.
Facciamo quindi bene a dire che da questo santo matrimonio, nasce una famiglia santa? Quale era l’idea di famiglia che avevano i coniugi Martin?
La famiglia per loro era una chiesa nella Chiesa. Cercarono di educare i propri figli al rispetto di Dio e della religione cattolica fin dalla culla. Erano convinti che i figli fossero dono e pertanto non una proprietà di cui disporre, ma un bene da allevare nel giardino di Dio e per Dio. Secondo il Concilio questo è il punto di partenza. Tutto parte da una famiglia e ad essa ritorna. Il popolo di Dio non è fatto esclusivamente di consacrati, ma di persone schierate in prima linea ad affrontare la vita in una battaglia senza esclusione di colpi è lì che una famiglia radicata nella chiesa, può trasmettere la giusta prospettiva.

I figli. Ne ebbero nove, ne persero quattro. Come hanno vissuto i coniugi Martin queste morti premature e come sono riusciti ad instillare gocce di santità nei cuori degli altri figli?
Come ho già detto Luigi e Zelia non consideravano i figli una proprietà privata, ma un dono di Dio: figli prima di tutto del Creatore, affidati a loro come genitori adottivi. L’esperienza della morte è inutile dirlo, li ha profondamente segnati, ma alla luce della fede tutto si trasfigura e loro riuscirono ad offrire quel dolore. Quest’esempio di totale abbandono nelle mani di Dio, fu più fecondo di mille parole per le altre figlie. Nella loro educazione, essi trovano la realizzazione di se stessi, la vocazione stessa del matrimonio.

Quali sono le conclusioni a cui giunge alla luce di queste riflessioni?
Io credo che nella loro semplicità, i coniugi Martin, abbiano profeticamente anticipato la corrente del Concilio e l’operato della Chiesa. Essi non sono l’esempio di una santità laica chiusa nei limiti del proprio tempo. Il loro vivere quotidiano, le fatiche, le sofferenze nella carne e nello spirito, li accomunano all’uomo di oggi e a quello di sempre.

Mi sembra di capire che per lei l’esempio dei Beati Martin possa essere un modello anche per le giovani generazioni?
Soprattutto! È importante fornire alla nostra società, così fragile e confusa nei temi della famiglia e del matrimonio, esempi forti come questo, in perfetta aderenza con le direttive della Chiesa eppure pienamente immersi nel mondo di tutti i giorni. La famiglia è un dono prezioso, è nel suo seno che nascono e crescono gli uomini del domani, è lì che i genitori sono chiamati ad essere i primi testimoni della fede e dell’amore.




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