Vita nascente: parole chiare e gesti concreti

di Silvio Longobardi

DON ORESTE BENZI

Dinanzi alla scelta drammatica di tante donne che non sanno come accogliere la vita che portano in grembo, don Oreste non ha chiuso gli occhi, non è rimasto in silenzio: i bambini non ancora nati pesavano sul cuore di padre come gli altri, tutti gli altri che erano già nati e che avevano diritto ad essere accolti e amati. Sapeva dire parole di fuoco che andavano al cuore del problema. Nel corso di un’audizione parlamentare disse: “La donna ha dei diritti verso la società. Ma nei confronti dei figli ha solo dei doveri, in primo luogo il dovere di farlo nascere”. Due mesi prima di morire, in una conferenza svoltasi a Bologna, disse che l’impegno per la vita non è una battaglia contro le donne, al contrario: “vogliamo stare al loro fianco per difendere il diritto a non abortire”. Il 19 ottobre 2007, pochi giorni prima di lasciare questa vita, intervenne alla Settimana Sociale dei cattolici, parlò anche dell’aborto, con la forza d’urto che sapeva usare quando affrontava temi che gli stavano a cuore. Tra l’altro, e senza citare nessuno, disse che non possiamo stare zitti: “chi tace – ma non è un tacere con la parola soltanto – chi tace con i fatti è complice del delitto”. Le parole di don Oreste erano accompagnate dai gesti concreti di accoglienza di mamme e bambini. Quante donne sono state sostenute dalle comunità della Papa Giovanni! Tante storie che sono scritte nel libro della vita. Accanto a questa carità nascosta ci sono anche i gesti pubblici, mi piace chiamarli i gesti della protesta civile: andare davanti agli ospedali dove si pratica l’aborto, ad esempio, e sostare in preghiera. Una protesta civile perché ricorda che il diritto alla vita appartiene alla civiltà; ma anche perché non è fatta in modo rozzo o plateale, come purtroppo siamo sempre più abituati a vedere. Le parole rischiano di cadere nella retorica o nell’ipocrisia se non sono accompagnati da gesti di concreta condivisione. Don Oreste e la sua comunità sanno che la carità autentica è fatta di parole e gesti che s’intrecciano e si sostengono a vicenda. Solo così si costruisce una storia che dura nel tempo ed è capace di orientare il cammino dei popoli.

Una carità senza limiti

L’amore per i poveri non aveva confini: i bambini non ancora nati, i minori privi di famiglia, i disabili senza diritti, i giovani drogati senza speranza, i barboni senza casa, le donne costrette a prostituirsi … Don Oreste ubbidiva al Vangelo, la sua unica ambizione era quella di essere discepolo di Colui che ha insegnato ad amare tutti. Senza eccezioni. Fino all’ultimo della sua lunga e operosa esistenza ha fatto progetti, intervenendo con coraggio ogni volta che era in gioco la dignità dell’uomo. Sempre e comunque. Senza pregiudizi ideologici, senza paura di andare controcorrente, senza cedere a quella sottile tentazione, che affascina e conquista molti personaggi pubblici, di voler essere à la page, come dicono i francesi. La carità non ha confini anche perché spesso le varie forme di disagio sociale s’intrecciano. Uno dei primi ambiti in cui don Oreste ha esercitato la carità è quello della disabilità. Una delle sue prime battaglie sociali è stata quella di portare in vacanza i ragazzi disabili. Per questo non poteva stare zitto dinanzi alla mentalità eugenetica che impone di abortire quei bambini che presentano anomalie. Anzi, disse il 10 gennaio 2006, davanti alla Commissione Affari Sociali della Camera, alcuni si chiedono come sia possibile oggi mettere alla luce bambini disabili con le moderne tecnologie che permettono di individuare per tempo i problemi di salute. “Siamo davvero nell’orrore”, commentò don Benzi. E aggiunse: “Un bambino con handicap non è un errore”. Chi sceglie la carità è sempre a favore della vita. Di conseguenza non accetta l’ipocrisia di chi s’impegna per l’integrazione sociale dei diversamente abili e poi incoraggia l’aborto. Il problema è sapere se quel male può diventare un bene. È questa, in soldoni, la sfida della carità. Ed è una sfida che valica la questione della disabilità e diventa metodo, uno sguardo diverso sulla vita umana. L’attenzione ai bambini non ancora nati si inserisce nel contesto di un impegno caritativo assai più ampio. È solo uno dei capitoli di un libro che ha come titolo: La dignità della persona o, per usare uno slogan della Papa Giovanni,Sulla dignità non si tratta. La dignità della persona, che è tale fin dal concepimento, è uno di quei principi non negoziabili che Benedetto XVI richiama come criteri di fondo una buona politica. Il servizio alla vita nascente è uno dei tratti peculiari della carità vissuta da don Benzi e consegnata alla sua comunità. Non si tratta di iniziative occasionali ma di una precisa scelta ideale, fatta di gesti e parole. In questo don Oreste si avvicina a Madre Teresa, icona di una carità che non dimentica nessuno. Come madre Teresa anche lui ha denunciato l’aborto e chi lo sostiene, ha denunciato come scandalosa la legge che permette e finanzia la soppressione dei bambini, ha denunciato la mentalità eugenetica che, sempre più frequentemente, ricorre all’aborto per evitare la disabilità. La scelta di don Benzi non è affatto scontata e lo distacca da tanti altri – pur coraggiosi interpreti della carità sociale – che sul fronte della vita nascente sono sempre stati tiepidi, fino a rasentare una sostanziale indifferenza che di fatto diventa complicità. Non mi riferisco qui alle opere, non tutti possono fare tutto, ciascuno ha il dovere di seguire il proprio carisma. Ma perché parlare di tutto, intervenire su tutti i problemi sociali, e poi tacere sempre e solo sul dramma della vita nascente? Durante una di quelle “preghiere pubbliche per la vita nascente”, che avviene dinanzi agli ospedali, don Oreste ha invitato i cattolici a protestare energicamente: “Se tutti i cattolici si mettessero a urlare, questa ingiustizia smetterebbe! Non sono colpevoli solo i medici e i politici, ma anche tutti quelli che rimangono indifferenti” (20 gennaio 2003). Don Benzi è rimasto per tutta la vita un figlio affezionato alla Madre Chiesa. Proprio lui che sapeva lottare a testa alta contro i fabbricanti di croci e di morte, custodiva una gelosa fedeltà per la Sposa di Cristo. Amava l’uomo con la passione eroica di Cristo ma sapeva che l’autentica carità è legata alla verità. E si fidava del giudizio della Chiesa. Voleva che la sua comunità fosse fondata sulla salda roccia di Pietro non sulle sabbie mobili di opinioni mutevoli.




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