Costanza Miriano

Sposala e muori per lei

di Emanuela Pandolfi

Quasi un anno fa intervistai Costanza Miriano per il suo primo libro Sposati e sii sottomessa (Vallecchi, 2011) ed ero stata conquistata dalla sua fede semplice di moglie, mamma e giornalista. A distanza di un anno ecco il suo secondo successo. ORA il suo libro è rivolto ai maschietti Sposala e muori per lei (Sonzogno, 2012). Non perché abbia imparato a parlare una lingua diversa dal femminese, ma perché si sente investita dalla responsabilità di ricordare che l’uomo deve ritrovare il suo ruolo virile, paterno, amorevole.

In una recente intervista ha detto “Il compito di tutti i cristiani è quello di far presente Cristo nella vita quotidiana e come tutto si intreccia con la normalità”. In questa schiera di cristiani sono annoverati anche i papà?

Per i loro figli dovrebbero essere i primi a far presente Cristo, che inoltre è il primo esempio di vero uomo. E il padre stesso dovrebbe ispirarsi a Lui, per dare la vita silenziosamente. Essere fattivamente capaci di morire e dare la vita per i figli e per la famiglia, come accade spesso agli uomini, senza tanti proclami.

Ci spiega la teoria dei mariti-tergicristalli, che durante le tempeste risultano molto pratici spazzando via ogni lamentela femminile?

In effetti, se ci pensiamo, l’uomo senza dire troppo, senza parlare tanto, è capace di essere utile e di aiuto alla famiglia: è questo il suo specifico. Noi donne magari siamo più inclini alla fragilità, abbiamo un’interiorità più complicata e quindi abbiamo maggiori occasioni di lamentela. È importante allora che per la donna ci sia l’uomo che con il senso di concretezza e praticità spazzi via quello che si abbatte sul vetro e che non ci permette di guardare avanti.

Talvolta è molto efficace l’intervento femminile nella pratica quotidiana, ma c’è un fil rouge che mantiene tutto in piedi: la Grazia. Come lasciarla operare all’interno della coppia, e della una famiglia?

Non c’è bisogno di riconoscere la Grazia, l’importante è non soffocarla e mantenerla viva. Essa è un dono di Dio e non dobbiamo allontanarcene, dobbiamo coltivarla semplicemente con la fedeltà ai sacramenti e alla preghiera. Quindi anche in questo senso la “fatica” della preghiera ci restituisce poi un altro grande dono: ci dice chi siamo, mette a nudo il nostro egoismo, butta giù le maschere. Quando si fa tutto questo lavoraccio tutto il resto viene da sè, senza bisogno di grandi intuizioni o grandi ragionamenti. Nella maniera più assoluta stare di fronte a Dio poi ci prepara a stare di fronte agli altri.

Lei dice preghiera. Ma come educare alla preghiera in famiglia?

Personalmente posso dire dell’importanza che ha la messa domenicale e la preghiera alla sera vissuta insieme a tutta la famiglia, che suppongo bastino come momenti comuni, forse perché i miei figli sono ancora piccoli. Ma anche perché preferisco di gran lunga che ci siano momenti più intimi con il Signore.

Riprende ancora una volta la sotto-missione della donna quando scrive “il punto di vista dell’uomo completa il nostro e accoglierlo ci fa più grandi e più felici”. Anche semplici inversioni o piccole conversioni possono fare la felicità della coppia?

Qualcuno mi ha chiesto “Sottomessi l’uno all’altra? O lei sottomessa a lui?”. La verità è che l’uomo e la donna sono pari in dignità, ma le loro modalità di donarsi sono completamente diverse. La donna deve cercare di controllare la sua voglia di dominio su tutto. L’uomo deve combattere contro il suo egoismo. Questa necessità di donarsi in modalità diverse dichiara soltanto la nostra necessità di essere creature. In realtà il discorso di Paolo agli Efesini altro non è quello che già viene annunciato nel libro della Genesi: l’uomo è creatura dipendente da Dio.

L’anno scorso le ho chiesto qual era il tuffo coraggioso che ogni donna avrebbe dovuto compiere. Stavolta ha qualcosa da dire ai maschietti?

All’uomo direi “Stai tranquillo che non ti rompiamo più le scatole”. Il regalo più grande per un uomo sarebbe che la donna non gli chiedesse più niente e che se ha qualcosa da dirgli lo faccia con bellezza, inteso nel tentativo onesto e leale di essergli accanto con amore.

Ogni persona, quella di sesso maschile in particolare, quando si sente rimproverata, redarguita, formattata ha la reazione opposta; ogni donna allora dovrebbe poter dire “mi arrendo e ti prendo così, non perché non mi accontenti, ma perché voglio cominciare a scoprire quant’è bello non solo quello che ci unisce, ma quello che ci fa diversi”. Sapendo, poi all’occorrenza, agire anche con una correzione fraterna che non faccia però da sottofondo continuo che lacera il rapporto coniugale. In fondo il punto di vista dell’altro è quello che Dio ha pensato complementare al nostro.




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