Famiglia: profezia per il mondo. Incontro mondiale delle famiglie Milano 2012

di Silvio Longobardi

Un milione di persone, proveniente da tutti i continenti, ha affollato Milano per partecipare all’Incontro delle famiglie con Papa Benedetto, sigillo di una settimana che ha visto un’ampia e variegata partecipazione. La presenza del Papa ha attirato l’attenzione dei media, solitamente avari su questi argomenti. Proprio quei giornali, in genere così attenti a parlare dei corvi che si muovono all’interno delle mura vaticane, hanno dedicato poche righe a questo evento. Eppure non mancavano cose da dire, sposi da intervistare, esperienze da raccontare. Ma si sa le buone notizie non fanno notizia …

Questi incontri sono sempre una festa, un’occasione per incontrarsi e riconoscersi parte di una grande famiglia che in ogni parte della terra cerca di custodire e alimentare l’amore degli sposi, premessa e fondamento della vita familiare. Tanti e diversi ma tutti animati dallo stesso amore per la famiglia e dal desiderio di tutelare quello che Papa Benedetto ha chiamato “patrimonio principale dell’umanità”. L’incontro con le autorità istituzionali e con il mondo della cultura ha permesso al Papa di ribadire la necessità di tutelare la persona a partire dal diritto alla vita e dal “riconoscimento dell’identità propria della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna”. Parole chiare che non hanno avuto adeguata eco nei media. Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, non ha fatto sconti, anche se è rimasto volutamente nel vago quando, salutando il Santo Padre in Piazza Duomo, e richiamando il valore della diversità, ha detto: “A tutte e a tutti deve essere garantita parità di diritti”. Una frase che tutti possiamo sottoscrivere a condizione di non cambiare la Costituzione italiana che riconosce alla famiglia, intesa come legame tra un uomo e una donna, il suo oggettivo primato rispetto ad ogni altra forma di aggregazione sociale. “Non c’è futuro dell’umanità senza la famiglia”, ha detto il Papa. E nel discorso in Piazza Duomo ha invitato i suoi ascoltatori a fissare lo sguardo sulla Madonna che dall’alto “con le braccia spalancate sembra accogliere con tenerezza materna tutte le famiglie di Milano e del mondo intero!”. Sì, a Lei guardano i credenti e confidano di ricevere, per sua intercessione, quello che i nostri sforzi faticano ad ottenere. Regina della Famiglia, prega per noi.

Il richiamo alla santità

All’Incontro mondiale nessun riferimento alla santità coniugale e familiare. Eppure i santi sono veicoli di spiritualità, sono modelli cui la gente guarda per trarre ispirazione. Inoltre la diocesi di Milano, proprio in quest’anno celebrava il 50° della morte di santa Gianna; e il 10° anniversario del miracolo. Inoltre il tema ben si adattava per raccontare l’esperienza di Zelia Guérin Martin, madre di Santa Teresa di Gesù Bambino, e di santa Gianna, donne che hanno intrecciato l’impegno domestico con quello lavorativo. Gianna poi aveva innato il senso della festa, sapeva gioire di ogni cosa creata, le piaceva sciare e andare in montagna, era socia del Club Alpino. Declinare il tema attraverso la concreta testimonianza di famiglie che hanno accolto la sfida del Vangelo, vuol dire vestire la fede di credibilità. È vero che la santità dei singoli è solo una forma, limitata e contingente, ma è pur sempre una teologia dei fatti e non solo una sterile enunciazione di valori. Parlando ai vescovi del Portogallo Benedetto XVI disse, a proposito della crisi di fede, parole che vale la pena ricordare: «Quando, nel sentire di molti, la fede cattolica non è più patrimonio comune della società e, spesso, si vede come un seme insidiato e offuscato da “divinità” e signori di questo mondo, molto difficilmente essa potrà toccare i cuori mediante semplici discorsi o richiami morali, e meno ancora attraverso generici richiami ai valori cristiani. Il richiamo coraggioso e integrale ai principi è essenziale e indispensabile; tuttavia il semplice enunciato del messaggio non arriva fino in fondo al cuore della persona, non tocca la sua libertà, non cambia la vita. Ciò che affascina è soprattutto l’incontro con persone credenti che, mediante la loro fede, attirano verso la grazia di Cristo, rendendo testimonianza di Lui» (Fatima, 13 maggio 2010)

L’icona di Nazareth

Un elemento interessante delle relazioni iniziali è stato trattato dal cardinale Dionigi Tettamanzi. Nel suo intervento, dedicato a “La famiglia e il lavoro oggi in una prospettiva di fede”, egli ha presentato l’esperienza di Nazareth come modello. È un tema che ci riguarda da vicino. A Nazareth la fede assume il linguaggio della quotidianità. Scrive Tettamanzi: «È un Gesù “normale” quello che troviamo a Nazareth, un uomo comune a tutti gli altri. Ed elemento essenziale per lui è il suo lavoro con Giuseppe. Gesù lavora con un uomo “giusto”, umile, nascosto, dedito alla sua famiglia. Lavora, giorno dopo giorno, per trent’anni: tanti e sempre uguali! Qui la normalità coincide con la quotidianità, con quanto comporta di ripetitività, stanchezza, fatica, sacrificio, impegno. E all’insegna del senso del dovere!». La vita di tutti i giorni, la vita della sua famiglia e del piccolo villaggio, il lavoro con Giuseppe, il contatto con la natura … è questo l’alfabeto che Gesù impara. Più tardi, da Rabbì, egli userà le immagini della vita quotidiana per parlare di Dio. La fede, ha detto ancora Tettamanzi, ci assicura che Gesù è il Salvatore. L’opera della salvezza inizia a Nazareth, nell’umile e nascosto quotidiano: “È veramente sorprendente per noi sapere che il Salvatore del mondo ha fatto sbocciare la salvezza proprio qui, al banco del falegname, tra le mura o nei dintorni della piccola casa di Nazareth”.

Famiglie ferite

Il Papa, durante la veglia con le testimonianze il sabato sera, è tornato ancora una volta su quest’argomento con accenti di tenerezza ma senza promettere aperture: inizia col dire che “questo problema dei divorziati risposati è una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi”. La Chiesa non ha ricette, chiede però alle parrocchie e ai singoli di “aiutare queste persone a sopportare la sofferenza di questo divorzio”. Accenna alla prevenzione (tema che non è affatto scontato) e indica due strade complementari: da una parte è necessario approfondire fin dall’inizio l’innamoramento in una decisione profonda, maturata; dall’altro è importante stare accanto agli sposi “durante il matrimonio, affinché le famiglie non siano mai sole ma siano realmente accompagnate nel loro cammino”. I divorziati risposati, ha aggiunto il Papa, devono sentire che sono amati dalla Chiesa e in nessun modo esclusi: «Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa». A questo punto, però Papa Benedetto ha aggiunto alcune riflessioni che non sono del tutto nuove per gli addetti ai lavori, ma per tutti gli altri rappresentano uno spiraglio pastorale. In relazione alla riconciliazione sacramentale ha affermato: “Se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati”. E a proposito della recezione eucaristica ha aggiunto: “L’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo” (vedi box a sinistra). Ultima cosa, non meno importante, anche se sono certo che questo accenno è trascurato, il Papa fa riferimento al valore della sofferenza: “Possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, […] questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa”. Per capire queste parole dobbiamo entrare nel senso più profondo del mistero salvifico, dobbiamo comprendere la fecondità della croce. Ma spesso proprio questi criteri così centrali nella vita di fede, oggi sono assai dimenticati.




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