Parola d’ordine conciliare

di Erminia e Vincenzo Angrisani

Il tema della conciliazione fra lavoro e vita familiare è diventato un argomento centrale delle politiche europee cosiddette di workfare, che mirano ad integrare azioni di assistenza sociale e politiche attive del lavoro. È la questione intorno alla quale si è riflettuto a Padova dal 28 al 30 gennaio 2010 durante la prima Conferenza delle Regioni Europee su conciliazione Famiglia-lavoro, a partire da alcune domande di fondo: quale conciliazione vogliamo? Come realizzarla? Con quali fini, strumenti, normative, valori?

A partire dagli accordi di Lisbona del 2000, sono stati, gradualmente introdotti negli stati membri dell’Unione, strumenti normativi in materia di lavoro e politiche sociali che mirano a conciliare le esigenze e i “tempi” di vita familiare, con quelli del lavoro: ad es. i congedi  parentali, gli incentivi al part-time e più in generale alla flessibilizzazione dell’orario e del mercato del lavoro, i servizi cosiddetti di “sostegno alle responsabilità familiari”, i servizi educativi e di cura per la prima infanzia, i servizi per gli anziani, i disabili, ecc. In Italia, la legge n. 53/2000, cosiddetta sui “congedi parentali”, e la L. n. 328/2000, di riforma dei servizi sociali, sono state in parte frutto di tale nuova filosofia di intervento sociale.

Ma se oggi le politiche di conciliazione dei tempi di vita familiare con quelli del lavoro costituiscono una necessità condivisa da tutti, famiglie, istituzioni, aziende, il problema di fondo è quale modello di conciliazione porre in essere, affinché sia rispettoso delle esigenze dei diversi attori sociali in gioco, evitando in particolare alla famiglia di vedersi schiacciata o sfaldata dalla dialettica mercato-lavoro, e anzi ridando ad essa un rinnovato protagonismo e una maggiore centralità nelle azioni di welfare.

Alcuni sociologi della famiglia, come Pierpaolo Donati, Docente di sociologia all’Università di Bologna e Direttore Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia, sostengono che l’attuale modello europeo predominante di conciliazione sia fondamentalmente un modello assistenziale orientato a rendere funzionale la famiglia al mercato, al quale vengono riferiti i cambiamenti e i bisogni della famiglia stessa (es. consumi, stili e “comportamenti riproduttivi” e di cura, ecc.). Per  questo motivo esso cerca di compensare le difficoltà di “adattamento” delle famiglie al sistema produttivo con “misure di assistenza e riparazione”, attuando nello stesso tempo strategie, incentivi e servizi per consentire agli “individui” di lavorare sempre di più. Dirigendosi ai singoli dentro la famiglia (donne, minori, anziani) e perdendo di vista l’integralità del soggetto familiare, le politiche di conciliazione vengono concepite unicamente come strategie per favorire l’accesso al lavoro delle donne, e il suo successo viene calcolato in termini di aumento della percentuale di forza lavoro femminile impiegata (modello delle pari opportunità e della non discriminazione di genere), o per “sgravare” le famiglie (e soprattutto le donne all’interno di queste) dei compiti (“carichi”) di cura dei suoi membri più deboli (bambini e anziani) ad es. con incentivi alla diffusione e all’utilizzo dei cosiddetti servizi alla prima infanzia (nidi e micro-nidi comunali e aziendali, “servizi integrativi” come ludoteche e baby sitting di gruppo) o alle persone non autosufficienti (es. assistenza domiciliare ai grandi anziani e ai disabili).

Ma allora, quale modello e quali azioni politiche concrete vanno implementati per promuovere una conciliazione che abbia una visione meno schiacciata dalla dialettica conflittuale Lavoro-Mercato?

Che la solidarietà familiare non possa e non debba supplire alla crisi del modello “moderno” di Stato sociale è evidente, come è altrettanto evidente che in una società complessa e post-moderna lo Stato deve porsi l’obiettivo di rispondere adeguatamente ai bisogni di sostegno delle funzioni di mediazione che la famiglia svolge tra l’individuo e la società. È forse però opportuno chiedersi quali effetti produca sulla famiglia in quanto soggetto e attore sociale integrale una strategia che spinge ad una progressiva “liberazione” degli individui dai compiti di cura della casa e delle persone dentro la famiglia, promuovendo ad ogni costo l’adattamento degli stessi (uomini e donne) al sistema produttivo. Una delle possibili conseguenze sarà inesorabilmente la rimozione progressiva delle responsabilità familiari grazie a logiche di accesso ai servizi di welfare sempre più pervasive.

Affinché la conciliazione famiglia-lavoro possa perciò compiere seri passi in avanti, evitando nel contempo il rischio di contribuire alla frammentazione sociale, probabilmente va considerata dentro un nuovo paradigma delle politiche di welfare, maggiormente orientato a costruire una relazione di sussidiarietà reciproca tra la dimensione del lavoro e quella della famiglia. L’analisi svolta nelle varie sezioni di lavoro della Conferenza di Padova, infatti, mentre da un lato ha evidenziato che la logica di fondo a partire dalla quale si muovono le attuali politiche di conciliazione in Europa è una logica di conflitto e competizione tra l’utilizzo del tempo per il lavoro e quello per la vita di famiglia, da un altro lato evidenzia che il lavoro è uno dei pilastri su cui si fonda la vita familiare e, viceversa, la famiglia costituisce uno dei più importanti termini di riferimento per la costruzione dell’ordine sociale ed etico del lavoro delle persone. Di fatto la famiglia è, oggi come in passato, una comunità resa possibile dal lavoro ed è la prima scuola di formazione al lavoro per ogni persona. Oltre all’apporto positivo anche in termini economici che essa può offrire al complesso mondo del lavoro e al di là delle grandi risorse di solidarietà che possiede e che spesso, in maniera suppletiva rispetto agli attuali sistemi di welfare, esercitano una funzione di sostegno verso chi, al suo interno, si trova senza lavoro o è alla ricerca di una occupazione (funzione di ammortizzatore sociale), fondamentale è il ruolo educativo che è chiamata ad esercitare anche in ordine a ciò che riguarda il senso e i valori del lavoro (responsabilità e impegno, rispetto delle persone e delle regole…) e l’orientamento professionale. L’idea del lavoro come “spazio del non familiare” e della famiglia come “spazio del non lavoro”,  viene così smentita empiricamente, sia perché il lavoro esterno alla famiglia entra prepotentemente nel “lessico familiare” ed incide fortemente, nel bene e nel male, sul benessere psico-sociale della stessa e dei singoli suoi membri, sia perché la stessa vita della famiglia e i suoi vari “modelli” si costruiscono grazie al “lavoro familiare” (di cura, educativo, di socializzazione primaria, di costruzione dell’identità personale e della fiducia sociale) svolto dai propri membri. Ogni persona, come lavoratore, come consumatore, come essere in relazione, si rapporta al sistema economico, al lavoro, al consumo attraverso un “filtro familiare”, in cui entrano in gioco i valori del singolo e della famiglia, le ricchezze individuali e familiari, i progetti sul futuro e le condizioni del presente. Esiste poi una correlazione diretta e reciproca tra la qualità delle relazioni interne alla famiglia e la dimensione del lavoro, con inevitabili ricadute sia sul versante delle scelte occupazionali dei singoli che sul benessere individuale e familiare.

La sfida, allora, è quella di immaginare e costruire un nuovo modello di sviluppo ed un corrispettivo sistema di welfare, dove il primo non sia più orientato solo alla crescita economica e il secondo ad attutirne le “inevitabili” ricadute sociali, ma dove le reti di relazioni tra gli attori del sistema (famiglie, Stato-istituzioni, Mercato-aziende, società civile organizzata), seppur dentro una normale dialettica sociale, devono essere concepite e praticate in una prospettiva di benessere diffuso dell’organizzazione sociale, sorretta dal principio operativo della reciproca sussidiarietà, a partire dalle “formazioni sociali primarie” come la famiglia.

Sostegno alle giovani coppie

È su di essa e a partire da essa, in quanto soggetto sociale integrale che occorre costruire il nuovo sistema di welfare, a partire dal sostegno alle giovani coppie, con il miglioramento e il potenziamento degli incentivi e della defiscalizzazione dell’acquisto o della locazione della casa di abitazione o l’introduzione del cosiddetto quoziente familiare, con il potenziamento degli interventi specifici atti promuovere la maternità e la paternità, magari incrementando l’ammontare e la durata degli assegni di maternità, e quelli familiari in genere, e accompagnandoli eventualmente con incentivi fiscali e previdenziali verso i datori di lavoro, per favorire il reinserimento lavorativo; ancora, poiché sempre più gli anziani, coabitanti o meno con il nucleo familiare dei figli, offrono il loro aiuto nelle azioni di accompagnamento e di assistenza dei minori, assicurando così ai genitori la possibilità di partecipare più sereni al mercato del lavoro, oppure mettono a disposizione la loro pensione nella vita familiare, mentre nello stesso tempo trovano nella solidarietà familiare e nelle azioni di cura dentro la famiglia la risposta migliore ai loro bisogni, questo patto intergenerazionale va garantito e supportato, anche qui ad esempio mediante opportune agevolazioni fiscali o anche immaginando soluzioni più innovative e meno costose, quali la possibilità di cumulare crediti per prestazioni sociali (pensione, assistenza, malattia). Alle donne e agli uomini che hanno famiglie con a carico anziani non autosufficienti o familiari afflitti da particolari patologie o handicap devono essere assicurati contratti e orari di lavoro flessibili.

In definitiva, mettere in competizione famiglia e lavoro unicamente rispetto alla “disponibilità di tempo” delle persone come fanno le attuali politiche di conciliazione rappresenta un tranello in cui è facile scivolare, se si considera la persona come “divisa” tra ambiti separati  di vita. Solo un pensiero antropologico forte, che consideri la persona come una e integra, consente di difendersi da questa gabbia e pone queste due sfere dell’esistenza in condizione di trovare spazi di comunicazione e di interazione reciproca con benefici concreti per tutti e ciascuno.




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