Una nuova stagione educativa

di Silvio Longobardi

Sembrano fatti in fotocopia i ragazzi di oggi. A Trento come a Catania, sembrano tutti uguali: stesso modo di vestire, gesti simili, un pensiero comune. Come burattini che altri fanno muovere. Fanno di tutto per nascondersi nella massa, per godere dei privilegi di questa anonima appartenenza. Se ti comporti come tutti, non devi dare spiegazione a nessuno. È tutto più semplice. Ma se li guardi negli occhi, se ti fermi a parlare con loro, ti rendi conto che sono diversi, hanno idee e sogni nel cassetto, in pubblico svelano i sentimenti senza alcun pudore, ma nascondono le paure, come se avessero paura di apparire deboli, di apparire quello che sono, fragili come foglie d’autunno. Come entrare in questo mondo apparentemente così lontano dal nostro? Come abbattere il muro di diffidenza che subito i ragazzi alzano quando un adulto cerca di parlare con loro? Come far capire che non vogliamo diminuire la loro libertà ma renderli più consapevoli e quindi più liberi? Come essere esigenti senza apparire intransigenti? Come vincere la loro facile irritabilità e quella pretesa di fare sempre e solo quello che piace? Gli educatori si sentono spaesati e disarmati. Molti rinunciano, rassegnati. Da tempo la scuola ha abbandonato ogni ambizione educativa e si limita alla trasmissione di conoscenze. Anche la famiglia soffre questa situazione e tanti genitori vivono la debacle educativa come un autentico fallimento. Per questo l’educazione, oggi, appare come una sfida.
Una sfida da affrontare con determinazione.
Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica, ha detto che l’emergenza educativa non è di fronte a noi ma “in mezzo” a noi, siamo tutti implicati. Eppure non tutti aprono gli occhi, vi sono quelli che nonostante i tanti segnali di allarme, rimangono impassibili come se nulla fosse accaduto. Eppure la cronaca è piena di fatti inquietanti: episodi di bullismo o di vero e proprio teppismo, saccheggio indiscriminato della spazzatura presente sul web, scarso impegno scolastico, avventure sentimentali che non hanno storia. Altrove è anche peggio: in un Liceo di Chicago 115 studentesse su 800 sono incinte, fanno troppo sesso, dicono le amiche; da quelle parti la violenza perpetrata dagli adolescenti non si limita ad atti di teppismo, lascia sul campo morti e feriti.
Non possiamo chiudere gli occhi e neppure lavarci le mani. Javier Marías, scrittore spagnolo, classe 1951, invita i genitori a non diventare complici dei figli, permettendo loro di fare quello che vogliono, li fanno crescere come piccoli tiranni, che pretendono sempre tutto e sempre di più. Meglio uno schiaffo oggi che una vita distrutta, dice senza mezzi termini. Sa bene di andare controcorrente ma la situazione attuale richiede scelte precise e anche la disponibilità a cambiare marcia, rinunciando ad una cultura che, in nome della libertà, ha demolito ogni forma di autorità.
No, non sto dicendo che basta ripristinare le regole. Sarebbe un’operazione semplicistica e inutile. È giunto il momento, però, di aprire una nuova stagione educativa in cui parole come autorità e obbedienza non sono escluse per principio, come un’offesa alla libertà. Sono invece veicoli di una proposta valoriale che passa attraverso la testimonianza della vita e la ragionevolezza dell’argomentazione. Ma tutto questo richiede educatori determinati e consapevoli che la posta in gioco è la felicità, anzitutto quella dei figli che la Provvidenza ha loro affidato.




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