L’appassionato Pastore della famiglia

di Giovanna Abbagnara

Questa rubrica nel 2010 incontrerà i grandi testimoni della famiglia, uomini e donne che hanno lavorato e lavorano perché emerga sempre di più l’insostituibile centralità della famiglia nella vita ecclesiale e sociale. Il nostro primo incontro è con Mons. Giuseppe Anfossi, vescovo di Aosta e presidente della Commissione Episcopale italiana per la Famiglia e la vita.

È un uomo molto alto, Mons. Anfossi. L’immagine più viva che ho di lui è racchiusa in una foto che conservo dal mio viaggio in Messico, durante il gennaio del 2009 mentre con il pullman venivamo scarrozzati dal convegno all’albergo, lui era lì all’ultimo posto con un sorriso aperto e accogliente che ci invitava ad andare a fargli visita nella sua splendida diocesi che più volte negli anni ha potuto ospitare per le loro tradizionali vacanze estive a Les Combes, a 1.300 metri di quota, località nel comune di Introd all’imbocco delle vallate del Parco Nazionale del Gran Paradiso, gli ultimi pontefici: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. E questo stile di accoglienza è sempre presente anche ora che lo incontro per questa intervista. Parole appassionate ha per la famiglia, parole maturate ascoltando gli sposi, vivendo a fianco con loro, condividendo spesso il dramma della separazione o la gioia dell’accoglienza dei figli. Parole accorate ha anche per i presbiteri perché “si innamorino” di nuovo della famiglia.
Eccellenza, essere presidente della Commissione Episcopale Italiana per la Famiglia e per la Vita, come ha contribuito alla sua formazione umana e spirituale?
Il mio ministero presbiterale si è intrecciato fin da subito con l’esperienza coniugale e familiare. Da giovane prete ho coordinato una intensa attività di animazione pastorale nella mia diocesi di Torino, una diocesi che conta più di 2 milioni di abitanti. Questa prima esperienza mi ha dato molto, guardando gli sposi, vivendo insieme con loro le gioie e le difficoltà della vita familiare.
Sono stato poi chiamato a Roma come responsabile dell’Ufficio Famiglia Nazionale della C.E.I e infine dopo la nomina a vescovo sono stato prima membro e poi presidente della Commissione Episcopale per la famiglia e la vita. Devo dire che quest’ultimi due incarichi mi hanno donato la possibilità di conoscere tante esperienze nuove sparse sul territorio nazionale, venire a contatto con i vescovi e con le loro difficoltà, mi ha dato una conoscenza approfondita dei problemi legati alle politiche familiari ma devo dire che soprattutto mi ha fatto conoscere movimenti coniugali e familiari che per me sono stati importantissimi.
Lei ha ospitato più volte nella sua diocesi, ad Aosta, Giovanni Paolo II, il papa della famiglia. Cosa le ha lasciato questo grande pontefice per il suo ministero?
Mi sento molto vicino all’esperienza di Giovanni Paolo II. Anch’io come lui ho sperimentato da prete un contatto vitale, pastorale ma poggiante su relazioni umane di qualità con fidanzati e famiglie e quindi è stato un papa che aveva alle spalle un retroterra di esperienze umane, religiose e pastorali molto particolare. Ci ha lasciato parole di pietra per la famiglia, forti ma allo stesso tempo parole calde perché venivano dal cuore: la Familiaris consortio, la Carta dei diritti delle famiglie, le Catechesi del mercoledì e anche testi di teatro e poesia con La bottega dell’orefice. 
Aveva cioè uno sguardo veramente affettuoso e appassionato sulla famiglia ma nello stesso tempo molto robusto. Ci ha veramente obbligati a dare alla famiglia un’attenzione e un posto centrale. Direi che i due aspetti principali nell’ opera di Giovanni Paolo II sono: la qualità della relazione umana, sua personale, sperimentata e conservata con attenzione affettuosa, e poi l’introduzione in Italia di un nuovo modo di intendere le politiche a favore della famiglia. Infine c’è una riflessione, sulla teologia dell’amore umano, meravigliosa.
Papa Benedetto oggi?
Benedetto XVI ha fatto suo tutto quello che Giovanni Paolo II aveva detto soprattutto attraverso il Catechismo della Chiesa Cattolica. Possiamo dire che l’attenzione di papa Benedetto è di tipo antropologico, cioè chiede che vengono affrontate con più profondità alcuni temi che hanno la
ricaduta sulla concezione dell’uomo (l’amore, la spiritualità della vita umana, sulla forza del sacramento) dunque ci chiede, come è capitato in Messico, una cosa semplice come pregare in famiglia. Dunque voler bene alla famiglia, pensare la famiglia e pensarla bene dal punto di vista antropologico.
Dalla sua lunga esperienza, secondo lei, puntando l’attenzione sulla società italiana: come sta la famiglia oggi rispetto al passato?
Se vogliamo il problema è immenso, ma io lo ricondurrei innanzitutto alla qualità delle relazioni marito-moglie o genitori- figli. Siccome la cultura generale, sta impoverendo la relazione umana e la riconduce quasi esclusivamente a qualunque tipo di rapporto soggettivo privo di responsabilità che dura nel tempo, noi dobbiamo difendere la famiglia dal punto di vista della sua concezione. Abbiamo il dovere di educare la famiglia che si ispira alla fede cristiana. La pastorale, che più propriamente coordiniamo attraverso l’Ufficio Nazionale, va su problemi molto concreti, quali la preparazione dei fidanzati (sapendo che ormai più del 50% della coppie prima del sacramento sono conviventi), l’attenzione ai giovani sposi (la spiritualità, lo stile di vita, la povertà, la sobrietà), l’attenzione ai giovani genitori. Un altro ambito che mi sta molto a cuore è quello delle coppie separate. I problemi da affrontare sono tanti e noi abbiamo bisogno di persone preparate, per questo negli anni abbiamo pensato di istituire un Diploma in Pastorale Familiare che si struttura su 3 anni e un Master di settimane intensive che permettono di qualificare la formazione delle coppie.
Di questi anni di lavoro presso la Commissione, c’è qualche iniziativa in particolare di cui lei va fiero e che le sta molto a cuore?
Direi quella legata alla preparazione dei fidanzati al matrimonio. La nostra commissione, quattro anni fa ha chiesto all’Ufficio Nazionale che rileggesse la preparazione ai fidanzati. Come ho detto, tenendo conto della nuova situazione di presenza di conviventi è necessario non solo una buona preparazione ma anche accompagnare le giovani coppie specie durante i primi anni di matrimonio. Un’altra cosa che io ho fatto, come presidente della Commissione, è stata sostenere l’esperienza di Retrouvaille, venuta dagli Stati Uniti. Ho fatto in modo che nascesse in Italia e che si presentasse non troppo legata al movimento che l’aveva fatta generare, in modo tale che potesse attecchire maggiormente.
Attualmente i lavori della Commissione su che cosa si concentrano?
Gli ultimi convegni sono proprio sulla preparazione dei fidanzati al matrimonio e poi anche qualche riflessione sui sacerdoti, che invecchiano e diminuiscono. Non abbiamo in questo momento molti preti innamorati della famiglia come li abbiamo avuti nella stagione nativa della pastorale familiare italiana, di cui noi siamo molto fieri; abbiamo avuto dei grandi preti e diciamo che una delle mie preoccupazioni è proprio quella di interrogare i sacerdoti, perché si innamorino di più della pastorale familiare. Io penso che il contatto con le famiglie li arricchisce sia da un punto di visto spirituale, sia da un punto di vista umano.
In questi anni ha incontrato tantissimefamiglie nel suo lavoro, quale testimonianzale hanno lasciato?
Chi non incontra delle famiglie così belle, così allegre e impegnate come quelle che ho incontrato io probabilmente si lascia pervertire dai messaggi dei mass-media che continuano a dire che la famiglia sta perdendo quota o addirittura che non esiste più. Queste famiglie che ho incontrato sono famiglie ricche, che donano molto alla chiesa e alla società. Quando diciamo risorsa non diciamo una parola rara. Anzi di fronte a questa famiglia ce ne sono altre che si impoveriscono, che chiedono l’intervento della carità, dei servizi sociali e della Chiesa. Non bisogna guardare soltanto l’una o soltanto l’altra. Se la famiglia si rigenera non lo fa solo perché la chiesa dice delle cose, i vescovi scrivono e il papa scrive dei documenti ma è il vangelo della famiglia che attecchisce. Il futuro, la rigenerazione della nostra società, poggia sulle famiglie gioiose, sono loro che portano il vangelo della famiglia anche se noi preti dobbiamo stare vicino a loro in modo corretto, rispettoso e illuminante dal punto di vista del pensiero e della vita spirituale.
Quindi per lei la famiglia è ancora una buona notizia?
Certo! È chiaro che tutta la pubblicistica lavora sempre sulla coppia disfatta, sulla coppia disturbata, sulla famiglia che ha abbandonato la fedeltà; è triste questo. È difficile per loro fare da motore e modello, perché si direbbe che non hanno il favore di nessuno. Non bisogna fare una diagnosi della famiglia e dire che è a pezzi e incapace di sollevarsi. Io penso che la famiglia sia una grande risorsa per tutti ed è giunto il tempo di valorizzarla in pienezza.




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