La comunità come risorsa per l’accoglienza

dell’Associazione Papa Giovanni XXIII

Accogliere in affidamento un bambino con grave disabilità, e vederlo crescere giorno dopo giorno per oltre vent’anni. Dargli tutto l’amore che chiede, costruire attorno a lui la propria famiglia… Non è scontata la scelta di vita di Daniele Severi, 43 anni, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII, che all’età di 19 anni – durante il servizio civile – incontrò Vittorio, un fagottino di 2 anni, cerebroleso, con un’aspettativa di vita brevissima, e capì che le loro strade non potevano più separarsi.

“Un bambino con una disabilità così grave ogni giorno ha solo una richiesta: essere accudito, curato, amato” riflette Daniele “e per questo ti mette in contatto con i bisogni più profondi dell’essere umano, ti tira fuori la capacità di amare e donare in ogni istante”. Daniele ha poi incontrato Annalisa, e insieme hanno deciso di unire la propria vita di sposi a quella di Vittorio e di tante altre persone in difficoltà, nello spirito della condivisione diretta proprio della comunità fondata da don Oreste Benzi. “Vittorio è stato un grande dono per la nostra coppia, perché aiuta a dare la giusta importanza alle cose. Il fatto che ogni mattina non siamo sicuri che sia vivo ci permette di assaporare le cose in modo particolare, sia con lui sia con gli altri nostri figli”. In effetti la famiglia di Daniele è al di fuori delle righe: otto figli, fra naturali, adottati, in affidamento, di cui due con gravi disabilità. “I nostri bambini sono cresciuti a contatto con tanta gioia ma anche con tanta sofferenza: Vittorio ha continue crisi epilettiche, spesso dobbiamo ricoverarlo in ospedale”, testimonia Daniele. È bene che i bambini vedano che nella vita ci sono anche aspetti brutti, mentre spesso la nostra società tende ad occultare il dolore e la morte. Il bambino infatti coglie molto la naturalità delle cose, per lui non è un trauma avere un fratello disabile: sono i nostri comportamenti di adulti, il rifiuto, la disperazione che creano le difficoltà. “Per noi è fondamentale vivere all’interno di una comunità e di un gruppo di famiglie: ci permette di garantire possibilità maggiori non solo a Vittorio ma anche a noi. Nella mia esperienza – anche incontrando altri genitori di ragazzi con disabilità – mi sono accorto che, in presenza di un fi glio disabile, si corre il rischio di far ruotare tutta la famiglia intorno a lui ed alle sue esigenze, ma in realtà bisogna che sia i genitori sia gli altri fratelli abbiano una loro possibilità di stacco, di vita personale. Non occorre essere martiri né eroi. Nel nostro caso, è vero che Vittorio ha diritto ad una mamma ed un papà: ma nello stesso tempo anche grazie ad un suo piccolo sacrifico noi possiamo vivere una vita piena e gioiosa insieme al resto della famiglia”. È quindi importantissimo che intorno alle famiglie ci sia una rete sia di amicizia sia di sostegno istituzionale, che non faccia gravare il peso di una relazione così impegnativa solo sulle spalle dei genitori. “Tra le proposte della Comunità Papa Giovanni XXIII – conclude Severi – sta anche l’avvio di centri diurni in cui si viva lo spirito della condivisione diretta dando ai ragazzi diversabili la possibilità di una socializzazione allargata”.




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