Insieme nella preghiera aperti nell’accoglienza, chiamati alla missione

di Vincenzo e Erminia Angrisani

Michele e Rita D’Eliseo sono due sposi di Marigliano (NA). Dal 1995 sono entrati a far parte della Comunità Missionaria di Villaregia. La Comunità è un segno del rinnovamento ecclesiale, frutto del Concilio Vaticano II. Il cuore del carisma della comunità è la comunione, sul modello della Trinità, vissuta e sperimentata tra i suoi membri e a servizio della costruzione della comunione di tutta la Chiesa. Un altro pilastro è poi la Missione ad gentes, cioè l’annuncio e la testimonianza della vita di Dio ai popoli e alle culture che ancora non lo hanno scoperto. Ci hanno raccontato la loro storia.

Ci siamo sposati nel 1970. Eravamo molto innamorati e sulla forza e intensità di questo legame abbiamo iniziato a costruire la nostra storia coniugale e familiare, non consapevoli allora della pienezza della grazia sacramentale che ci accompagnava. Ad accrescere la nostra felicità sono arrivati subito due fi gli: Fabio e Valerio. La loro nascita, tuttavia, pur riempiendo di gioia la nostra vita, anziché farci sentire “arrivati” nella dimensione della genitorialità, ci ha dato una spinta ulteriore a concretizzare il desiderio, sbocciato già durante il fidanzamento, di adottare una bambina, fossero o meno venuti dei figli naturali. È stato così che nella nostra vita sono entrate Domenica e Caterina. Un inserimento difficile, a causa della storia delle due bimbe che avevano, quando sono arrivate da noi, rispettivamente otto e sei anni, e recavano le profonde ferite dell’abbandono della mamma (che ancora ricordavano) e del passaggio – per pochi mesi – in due famiglie, che però non avevano voluto proseguire nell’impresa dell’adozione. La loro ribellione, l’apparente insensibilità, l’indifferenza a qualsiasi gesto di affetto ci parlarono per un tempo molto lungo della loro convinzione di non essere amabili, della loro rassegnazione a non essere mai amate. Ma la grazia (lo abbiamo capito solo in seguito) che ci dava la forza e la comunione che ci sforzavamo di tenere sempre viva tra noi sposi ebbero, alla fine, la meglio: avevamo davvero altre due fi glie che amavamo e che ci amavano, al di là del legame strettamente biologico. Nel tempo si sono poi susseguite altre esperienze forti di amore, che hanno arricchito la nostra casa, agendo da ulteriore collante della coppia: l’accoglienza di Alex, dodicenne ucraino, per tre mesi all’anno veniva in Italia per disintossicarsi delle radiazioni subite, e la vicinanza di Miriana, giovane rom diciassettenne, presenza importante nella nostra casa. Il primo portava con sé le difficoltà e,la ribellione di un ragazzo catapultato improvvisamente fuori del suo mondo infantile per lo scoppio della centrale atomica di Chernobil; la seconda, con la sua situazione di nomade, di madre di due figli, di straniera, ci faceva fare continua esperienza di comunione nella diversità. Si erano così aggiunti due figli: l’uno viveva per il resto del tempo all’estero, e l’altra era in giro per il mondo e di volta in volta ci telefonava da un campo diverso. A completare il gruppo di famiglia, nonno Enzo, papà di Michele, ultraottantenne e alla fase terminale di una malattia tumorale, e nonna Carmela, mamma di Rita, costretta all’immobilità e colpita da un’arteriosclerosi devastante. La compattezza della coppia e soprattutto la Grazia (di cui ormai riconoscevamo la presenza), hanno caratterizzato un tempo che non è stato esente da prove e difficoltà. Ma che è stato un tempo intriso di amore e vissuto nella gioia. I nonni poi ci hanno lasciati, Domenica e Caterina si sono sposate, andando ad abitare entrambe in Piemonte, Alex – ormai adulto – ha cessato i suoi “viaggi di salute”, Miriana si è stabilita definitivamente in un Paese dell’Est. Nella casa… un vuoto materiale; nel cuore … la scoperta di un potenziale d’amore che la coppia aveva ricevuto in dono e che non poteva andare sprecato. Da qui la decisione (presa una sera a cena, presenti e concordi Fabio e Valerio) di condividere mensilmente con i fratelli poveri i nostri stipendi di magistrato e di insegnante: ancora una volta Gesù stava visitandoci. Nel frattempo avevamo conosciuto (certamente non per caso) la Comunità Missionaria di Villaregia.

Parlateci di quest’esperienza e del vostro incontro con la comunità.

Noi ci siamo innamorati subito di questo carisma, perché avevamo fatto esperienza di comunione nella nostra vita di coppia e nella nostra famiglia. In comunità abbiamo vissuto una comunione “x”, insieme a persone diverse per età, sesso, cultura, stato di vita, nazionalità. Uno dei pilastri di quest’esperienza è infatti la vita di comunità, vissuta attraverso la condivisione dei beni, l’integrazione di stati di vita (vergini consacrati e sposi), di ruoli e servizi, il lavoro svolto insieme, sia per le attività manuali sia per il servizio apostolico. Certo non è facile, così come non lo è all’interno della coppia e della famiglia, ma è una sfi da entusiasmante. Un altro pilastro è poi la missione ad gentes. Questo rappresenta un impegno totale ed esclusivo di ogni membro e della Comunità nel suo insieme. La presenza nelle missioni è soprattutto accanto alle popolazioni che vivono nelle periferie delle città, dalle favelas sudamericane alle baraccopoli africane, animando la pastorale di alcune parrocchie affidate alla comunità, con l’obiettivo di accompagnare e rafforzare i legami comunitari affinché le stesse popolazioni locali si facciano artefici del loro sviluppo, fondato proprio sulla comunità. Il servizio totale verso i “piccoli del mondo” ci ha conquistato, perché erano già prepotentemente entrati in casa nostra, come ci ha innamorati di quest’esperienza la sequela di un Gesù vivo, perché avevamo imparato a riconoscerlo tra noi.

Come avete conciliato queste dimensioni con la vostra vita di coppia, di famiglia, di lavoro? Indubbiamente non è stato facile. Aver già fatto esperienza di alcune forme di accoglienza, di comunione, di sobrietà e condivisione all’interno della nostra famiglia, ha fatto però in modo che le scelte di comunità divenissero il corollario naturale di quanto avevamo già in parte sperimentato, forse non avvertendo ancora in maniera pienamente consapevole, la grazia che alimentava quelle scelte. Rispetto alla dimensione del lavoro, l’abbiamo sempre vissuta come servizio laico al mondo, e come fonte per il sostentamento familiare, ma mai assolutizzato come strumento per fare carriera o per arricchirci. Io (Michele), ad esempio, pur facendo il magistrato e potendo, con la progressione di carriera, aspirare a funzioni di maggior prestigio, ho scelto di rimanere in Pretura, a Marigliano, sia per essere più vicino alla famiglia, sia per rimanere maggiormente a contatto con la gente, che vedeva in me non solo il “giudice”, ma anche un “consigliere” e una persona a cui rivolgersi certa di trovare una parola sapiente in umanità. E non appena è stato possibile, entrambi abbiamo deciso di andare in pensione, anche se con il minimo, per dedicarci interamente al servizio della comunità. I nostri figli naturali, Fabio e Valerio, hanno talvolta, soprattutto da adolescenti, contestato fortemente alcune nostre scelte, ma poi hanno compreso e alla fine condiviso, e oggi Valerio è sacerdote in missione in Brasile con la Comunità, mentre Fabio, sposato, sta anche lui aprendosi all’accoglienza, attraverso l’adozione. Attraverso quest’esperienza, la nostra stessa relazione di coppia si è ulteriormente rinsaldata e ha trovato nuovo slancio, anche se non siamo ormai più giovanissimi. E dopo alcuni anni di frequentazione sempre più assidua della Comunità, abbiamo pronunciato i voti definitivi di castità coniugale (astinenza periodica, apertura alla vita, fecondità spirituale), di obbedienza (come accoglienza e dono all’altro e alla comunità, come riscoperta della propria limitatezza, come amore per l’altro- figlio di Dio), povertà (come accoglienza e rispetto della diversità, come stile di rinuncia anche alle proprie idee e ai beni a favore della comunione, come unità di misura di una diversa scala di valori). Infine, l’impegno alla comunione per la missione: il desiderio e l’impegno, cioè, di vivere con tanti fratelli di comunità (stranieri ed italiani, uomini e donne, giovani e maturi d’età, vergini e sposati) una comunione che annuncia Gesù vivo ai lontani. Anche se raramente siamo materialmente stati in missione e per brevissimo tempo, siamo costantemente impegnati in attività di animazione missionaria in Italia, con parrocchie, nelle scuole, presso gli enti locali, per portare in questi luoghi l’annuncio e l’esperienza missionaria, con lo stile che caratterizza la comunità. Una scelta di vita, certamente non esente da fatiche, tentennamenti ed ombre, ma che di continuo ci compensa con il centuplo promesso dal Signore, che continua a non stancarsi di tenerci per mano e di esserci compagno di viaggio.




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