Una cultura in transito

di Silvio Longobardi

Perché negarlo? La vicenda di Piero Marrazzo, l’ex governatore del Lazio, su cui i media si sono avventati come avvoltoi, ha scoperchiato il vaso di Pandora, ha messo in vetrina un mondo non troppo conosciuto, quello dei trans. Una volta si chiamavano travestiti, parola che indubbiamente suonava offensiva o comunque ridicola. Oggi sono transessuali o più semplicemente trans. Fanno parte anche loro di quella variegata famiglia che nel linguaggio ufficiale della comunità europea viene definita con l’acronimo LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali).

Una volta, tra le molte incertezze della vita, l’appartenenza sessuale restava un punto fermo. Oggi è caduta anche questa barriera, in un mondo dove tutto è liquido anche il maschile e il femminile sono realtà in movimento. In base al principio che la natura non ha leggi da rispettare, tanto meno leggi immutabili, si apre un nuovo orizzonte culturale in cui si lascia alla persona la libertà di decidere cosa vuole essere.

E così, il confine identitario, una volta intransitabile, oggi è percorso con nonchalance, aumenta il numero di coloro che varcano quello che una volta era considerato un limite oggettivo, stabilito dalla natura. E soprattutto, aumenta la percentuale di coloro che giudicano tutto questo normale, quasi ovvio. Come negare ad un uomo, che sente pulsare dentro di sé un universo femminile, di saltare il fossato e diventare donna? Ovviamente esiste anche il caso opposto. Come se la natura si fosse divertita a creare mostri: una psiche femminile e un corpo maschile; o viceversa. Sono errori a cui possiamo e dobbiamo rimediare.

Ha ragionato così Marco della Gatta, organista della Cattedrale di Lecce, sposato con due figli. È stato la morte del padre ad aprire i suoi occhi, come racconta al Corriere: “In quel momento ho capito che non potevo morire senza aver realizzato pienamente me stessa”. Inizia così un percorso che ha cambiato la sua forma fisica. Ora si chiama Luana Ricci. Casi come questi guadagnano sempre più spazio sulla stampa, fanno opinione. Sono vicende dolorose sulle quali è facile esercitare l’arte della compassione e imbastire accuse di discriminazione, quando non addirittura di razzismo. State attenti, questa parola, che evoca un passato fatto di segregazione violenta e di intolleranza, oggi viene sempre più usata per colpire ogni atteggiamento critico nei confronti dell’omosessualità. Si cerca così di zittire ogni voce dissidente, ogni forma di resistenza culturale e giuridica all’omologazione dei sessi.

Se tutto è in movimento, se cambiare carta d’identità appartiene alla normalità delle cose, come mai la canzone di Povia – Luca era gay – ha incontrato tanta ostilità nel mondo omosessuale? Non si capisce perché è così facile passare il confine che conduce all’abbraccio omosessuale ma è impossibile tornare indietro? Perché mai passare alla condizione omosessuale è presentato come un gesto di libertà individuale mentre allontanarsi da essa appare come il frutto di una sottile costrizione psicologica?

Negare l’identità sessuale è solo la premessa di una più vasta operazione culturale che intende sostituire l’antropologia della complementarietà dei sessi – fondata sul riconoscimento dell’alterità e sulla necessità di intessere la relazione – con l’individualismo più esasperato. Non era questo l’obiettivo non sempre dichiarato del femminismo, almeno di quello più radicale? Non voleva solo liberare la donna dalla subalternità maschile, trovando per questo consenso e simpatie? La rivendicazione del femminile, soprattutto quella che voleva recidere il legame tra donna e maternità, portava all’isolamento sessuale e alla negazione di quella complementarietà tra uomo e donna che rappresenta il cuore dell’umana civiltà.

Ultime da Babele è un programma radiofonico quotidiano del Gr1 condotto in studio da Giorgio Dell’Arti che discute con alcuni ospiti questioni di stretta attualità. Si parlava di trans e dintorni. Ad un certo punto il conduttore espresse una sua opinione, presentata come il frutto maturo di una lunga riflessione e di una vasta esperienza di vita: “Mi sono convinto che non c’è alcuna complementarietà dei sessi, attrazione sessuale a parte”. Chiedeva conferma ai suoi ospiti. E ne trovò naturalmente. Uno di loro, tuttavia, sfuggendo alla morsa dell’ideologia dominante, disse con disarmante semplicità: “Io veramente, quando mi sveglio al mattino, sono contento di avere accanto a me una donna”.

Troppe sirene oggi cantano melodie accattivanti e pericolose. La vicenda di Ulisse vale ancora oggi. Conviene tenerci stretti all’antica sapienza biblica che ricorda con pacatezza: “Maschio e femmina li creò”. Questa semplice e inconfutabile verità si rivela una preziosa luce in questi tempi di passaggio che, in nome di un presunto progresso, rischiano di oscurare quei valori fondamentali  che finora hanno custodito la civiltà.




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