Diritti in pillole

di Alfredo Cretella

Obiezione di coscienza anche per i farmacisti: nuova questione giuridica da proporre o caso già risolto?

La recente ufficializzazione del protocollo per l’assunzione della RU 486, unita alla già diffusa commercializzazione della cd. pillola del giorno dopo hanno provocato un’inevitabile, ed auspicata levata di scudi, da parte della Santa Sede, che ha avuto, tra le varie cadute pratiche un convegno recentemente organizzato dall’Unione Cattolica Farmacisti Italiani (UCFI), al quale hanno preso parte insigni giuristi, invitati ad esprimersi sulla compatibilità del nostro sistema giuridico con le sempre più pressanti esigenze avvertite dai farmacisti di conciliare il dovere di assolvere al servizio pubblico cui sono deputati, con le obiezioni di carattere etico, che il nuovo scenario derivante dall’inserimento nel prontuario medico dei sopra citati “prodotti” (parlare di medicinali è già un’opzione ideologica) ha provocato.

In quella occasione, si è posto il problema se la normativa, già introdotta per con legge 192/78, ed utilizzata per l’obiezione di coscienza del personale medico e paramedico, preposto all’IVG, fosse o meno applicabile anche ai farmacisti; ovvero, per questi ultimi, fosse invece necessaria una normativa ad hoc, lasciando intravedere in questo caso quale era lo scenario de iure condendo.

Anzitutto è di palmare evidenza che un problema etico – religioso per i farmacisti, e per quelli cattolici in particolare, si sia ormai presentato. Oltre ai ben noti e discussi “medicinali”, aventi finalità abortive e/o anticoncezionali (a seconda dell’opzione interpretativa, scientifica e ideologica, che sottende l’approccio al problema), vi è la questione dei Kit eutanasici, già in vendita in Belgio e che una frangia, per il momento ancora minoritaria della nostra società civile, auspica vengano commercializzati anche in Italia, ovviamente in farmacia.

Anche se la più autorevole delle voci che ha partecipato al citato convegno, tenutosi lo scorso 23 ottobre, rappresentata dal Presidente emerito della Corte Costituzionale, dott. Baldassare, pur riconoscendo appieno le istanze di obiezione di coscienza sollevate dai farmacisti, ha ritenuto che la questione va risolta con un intervento esplicito del legislatore. Chi scrive, confortato sul punto dal pensiero di altri giuristi, che si sono già espressi alla medesima stregua, ritiene che la problematica possa trovare risposta già alla luce del nostro articolato quadro normativo.

Anzitutto, è possibile partire da una norma particolarmente nota a tutti i farmacisti, perchè inserita nell’art. 1 del codice deontologico, che tutti gli iscritti all’ordine sono tenuti a rispettare, a mente della quale (art. 1 sub. 1 lett. b): “Il farmacista deve operare in piena autonomia e coscienza professionale, conformemente ai principi etici e tenendo sempre presenti i diritti del malato e il rispetto della vita”. Vi è poi l’art. 9 della legge 194/78, che riconosce al “personale sanitario ed esercente le attività sanitarie” la possibilità di sollevare obiezione di coscienza di fronte all’ interruzione di gravidanza”. Orbene, è davvero complicato, come pure qualcuno opina, ritenere che il farmacista non faccia parte del “personale sanitario”. La normativa di riferimento, al riguardo, risale addirittura al R.D. del 27/07/1934, n. 1265, che al capo I, intitolato “Dell’esercizio delle professioni sanitarie”, sottopone a vigilanza (art. 99) “l’esercizio della medicina e della chirurgia, della veterinaria, della farmacia,…”. Ne consegue che essendo medesima la ratio che assiste l’obiezione di coscienza, riconosciuta pacificamente dal citato art. 9, sia ai chirurghi, che al personale paramedico chiamati a praticare l’I.V.G. (i.e. tutela della coscienza individuale rispetto all’azione che sopprime una vita, avvertita come illecita dal singolo), pari discorso non può non farsi anche per il farmacista. Non vi è parimenti dubbio, infatti, che la tesi sostenuta da chi è contro l’obiezione di coscienza, secondo cui le pillole sopra citate non interromperebbero la gravidanza, in quanto la gravidanza comincerebbe con l’impianto dell’embrione in utero, è un’evidente forzatura ideologica. Secondo tale tesi, invero, nei 5-6 giorni in cui l’essere concepito, formatosi a seguito della fecondazione, è sospinto verso l’utero, ovvero si trova ancora libero nell’utero, la sua eliminazione non costituirebbe interruzione volontaria della gravidanza; ciò impedirebbe di parificare i farmacisti, al personale addetto all’IVG, ai fini dell’obiezione di coscienza. Tuttavia, è di estrema evidenza il carattere artificioso della sopra citata definizione di gravidanza, contrastante con tutte le più note evidenze scientifiche, che hanno trovato spazio perfino nel corretto uso linguistico. Tanto vero che nei più noti dizionari della lingua italiana, il termine gravidanza è sintetizzato come: “condizione biologica in cui si trova la donna o la femmina di un altro mammifero dal giorno del concepimento al parto; gestazione”. Ovviamente del medesimo tenore è pure la definizione che si ritrova nei manuali di ostetricia e di ginecologia.
Alla luce degli argomenti ora svolti, nulla impedirebbe che già adesso i farmacisti che volessero appellarsi all’obiezione di coscienza, legittimamente si sottraggano al pur vigente obbligo di somministrare i sopra citati “farmaci”, alle condizioni previste, di cui il nostro Ministero della Salute ha autorizzato l’introduzione e la commercializzazione.

Tuttavia, considerata la delicatezza della materia e il palese clima di caccia alle streghe che ammanta la problematica, non verrebbe visto certo come un male un intervento chiarificatore della Corte Costituzionale o meglio ancora un intervento del Parlamento, che servirebbe nella specie, più che a riaffermare quanto già il sistema prevede, anzitutto la volontà popolare che si suppone sia ancora assestata in tal senso. Non a caso si decide, allora, di concludere, a mò di monito, questo articolo richiamando l’amara ed inquietante considerazione di uno dei giuristi intervenuti al convegno sopra citato, dott. Giacomo Rocchi, Giudice per Indagini Preliminari presso il Tribunale di Firenze, che ha sottolineato l’evidente paradosso di un’obiezione di coscienza negata ai farmacisti, eppure garantita “agli studenti vegetariani degli istituti alberghieri, i quali possono rifiutarsi di seguire le lezioni dove venga illustrata la preparazione di un arrosto”. Eppure il più dovrebbe sempre contenere il meno.




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