Acquistiamo un po’ di buon senso

Abbiamo incontrato il prof. Metallo, docente presso la Facoltà di Economia dell’Università di Salerno, per parlare con lui della conseguenza che la crisi economica ha avuto sui consumi delle famiglie italiane e della mancanza di reali politiche fiscali a favore della famiglia. Emergono dati molto interessanti.

Sembra passato un secolo da quell’Italia che alla vigilia del boom economico aveva fiducia nel futuro. Cosa è accaduto?
In questi ultimi anni sono accadute diverse cose importanti. C’è stato un risvegliarsi dopo uno sviluppo continuo dove sembrava tutto possibile, dove i consumi crescevano a ritmi estremamente elevati e la produzione era capace di soddisfare le attese dei consumatori. La crisi finanziaria prima ed economica poi, ci ha fatto tornare con i piedi per terra. Indubbiamente c’è un calo di benessere rispetto a tre – quattro anni fa. Naturalmente i giovani uniscono a questo calo effettivo anche una scossa di tipo psicologico, c’è una accentuazione del fattore negativo del futuro. In realtà i cinquantenni di oggi, molto probabilmente, vivono condizioni migliori delle generazioniche li hanno preceduti, i nuovi giovani più che vivere una condizione negativa, hanno in questo momento una percezione negativa della prospettiva del futuro. Ma questo non significa che tra 10 anni le cose non cambino.
 

Anche sul versante della mobilità sociale, il nostro paese è sostanzialmente un ascensore bloccato.
Indubbiamente la mobilità sociale, che è abbastanza lenta nel nostro Paese, è sicuramente molto più forte e dinamica rispetto a 40-50 anni fa. Chi aveva 30 anni, cinquanta anni fa, difficilmente ambiva a cambiare il suo status. Oggi questa mobilità è molto più forte sicuramente anche se rispetto agli altri paesi europei la mobilità è meno vigorosa. Indubbiamente per ottenere una mobilità tra le classi sociali bisogna creare le condizioni perché ci sia una potenziale possibilità per tutti di accedere alle risorse. In che modo? A mio avviso l’elemento discriminante dovrebbe essere la meritocrazia. In questo modo, noi potremmo avere una mobilità affidata ai reali meriti e non alle relazioni e alle lobby come avviene oggi.
 

Non pensa che accanto a politiche fiscali familiari manchi anche all’interno della famiglia una reale cultura creditizia che faccia monitorare lo stato di salute economica?
Dobbiamo far sempre riferimento ad un momento di consumi facili e di crediti facilitati. Per cui per incrementare il reddito disponibile per i consumi si anticipano i redditi futuri. Quindi il credito al consumo nasce sotto questa spinta. Ovviamente in una situazione inflattiva, dove i crediti potrebbero crescere in modo superiore all’aumento dei prezzi, questo può essere facilitato. Ma quando i prezzi crescono di più dei salari allora poi è chiaro che questo danneggia le famiglie. Bisognerebbe quindi capire la sostenibilità di certi impegni finanziari, capire se effettivamente l’acquisto del mobile, dell’appartamento e altri beni durevoli sono poi sostenibili con il rimborso da effettuare. Indubbiamente, c’è anche un passaggio comunicazionale che ha fatto considerare tutto semplice, tutto fattibile.

Si riferisce alle finanziarie?
Sì. Esse sono, praticamente, la mano armata o braccio destro delle banche, perché nel momento in cui emerge il bisogno e il desiderio di acquisire certi beni di lusso, ecco lo spot pubblicitario che ti ripete “te lo finanzio io” in modo tale da non avere il problema oggi e di rinviarlo al futuro. Molto spesso però, la famiglia non riesce a valutare le ripercussioni future della decisione presa. È un po’ quello che accade con il mutuo a tasso variabile che ha un tasso basso, incentivato anche dalla comunicazione pubblicitaria, senza poi verificare che la variabilità non tende a scendere il prezzo ma subisce impennate a volte da mettere in difficoltà le famiglie.

Consideriamo il sistema fiscale italiano. Sembra non riconoscere nel modo più assoluto che una famiglia con un discreto numero di figli deve essere aiutata e non vessata. In che modo cioè l’Italia può aspirare ad un sistema di contribuzione equo, ad un fisco amico della famiglia? 
Indubbiamente un paese che abbia a cuore lo sviluppo e il benessere dei suoi cittadini dovrebbe in qualche modo ripensare ad un sistema fiscale come una componente fondamentale ma bisogna considerare anche tutti gli aspetti di interventi sociali; la Svezia ha una tassazione per la famiglia e per le imprese la più alta nel mondo, però è compensata da una quantità e una qualità di servizi collaterali per la famiglia e per le imprese che non hanno pari nel mondo. Allora è la somma dei benefici che ricadono sulla famiglia che va valutata. In un paese come l’Italia dove l’intervento pubblico sui servizi alle famiglie è scadente, è chiaro che questo comporta ripercussioni economiche negative. Indubbiamente però dal punto di vista di un intervento qualitativo – temporale, l’intervento di tipo fiscale è quello più praticabile, ma ci vogliono le risorse.

Proviamo a dare dei consigli alla famiglia per uscire da questa crisi economica?
Se non si possono aumentare le entrate, bisogna purtroppo ridurre le uscite. Anche se la mia filosofia è sempre stata di non ridurre le uscite, essendo un uomo di marketing, ma aumentare le entrate. Quando ci sono delle difficoltà di mercato questo diventa un po’ più difficile per cui se le famiglie non hanno la possibilità di incrementare i redditi attraverso attività lavorative, non c’è altra strada che quella di selezionare le uscite di consumo, non dico così ridurle ma selezionarle quanto meno. Nel senso quindi di avere una funzione tale da poter ottenere qualitativamente risultati più o meno simili ma con spesa più contenuta, per esempio cercando di acquistare, dove è possibile, con condizioni di mercato più favorevoli, cercare di ridurre i consumi interni alla famiglia, di evitare il doppio telefonino, la ricarica settimanale. Insomma fare attenzione a quelle che sono le reali esigenze di benessere di una famiglia evitando i consumi superflui o eccessivamente voluttuari.




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