Senza comunità, non c’è solidarietà

di Giorgio Marcello

Scoprire e vivere la dimensione politica dell’agire comunitario.

L’accoglienza riguarda innanzitutto la comunità, la famiglia, prima ancora che i servizi e le istituzioni pubbliche. Ma anche le organizzazioni solidaristiche che scelgono di stare nel territorio muovendosi nella prospettiva del dono, impegnandosi cioè a lavorare non tanto per se stesse e per la propria autoriproduzione, ma allo scopo di tessere, ritessere, alimentare i legami sociali. Cosa vuol dire “costruire reti di vicinanza”? Costruire e alimentare reti di accoglienza reciproca, di attenzione, di prossimità fraterna. Inoltre, scoprire e valorizzare la dimensione politica (intesa in senso ampio, come costruzione della “polis”, cioè della città, della “casa comune” degli uomini) di questo lavoro. Si tratta di partire dalle solidarietà primarie, passando dal particolare all’universale. Attraversare il particolarismo, trasformando le solidarietà brevi in un modo di guardare il mondo. L’accoglienza riguarda la comunità, riguarda cioè i reticoli familiari, di vicinato, di reciproca appartenenza. Scoprire, valorizzare, testimoniare il valore di queste reti costituisce la dimensione politica della responsabilità comunitaria. Da questa angolazione appare che il mondo del volontariato e dell’associazionismo ha una grande difficoltà a giocare un ruolo politico (cioé, come già precisato, di rinnovamento della polis) quando sono impegnati nella gestione di servizi ed attività finanziate dalle istituzioni.

«Siamo in un tempo notturno!», affermava Dosseti nel 1994, in un testo scritto in memoria del prof. Lazzati. Un aspetto fondamentale di questo tempo notturno è costituito dalla crisi dell’essere – con, dell’esserci al mondo insieme, e dalla solitudine che ognuno regala a se stesso.
In questo tempo, che è il nostro, vanno in crisi i legami più significativi, quelli più densi, che più danno senso alla vita. Ancora Rossetti scriveva: «La comunità è fratturata sotto un martello che la sbriciola in componenti sempre più piccole (…), sino alla riduzione al singolo individuo».

In questo quadro l’accoglienza appare come compito “impossibile” in una dimensione di normalità. Da un lato, la complessificazione dei bisogni di accoglienza: aumenta la disuguaglianza, crescono le situazioni di disagio sociale; dall’altro, le manifestazioni della vulnerabilità, come fenomeno trasversale, e l’impatto che esse hanno sulla possibilità di accogliere. Le esperienze di accoglienza, quando sono effettivamente praticabili, si rivelano sempre più come percorsi di vulnerabilità condivisa.

Le conseguenze, di ampia portata, sono ben richiamate in un recente documento della Rete Bambini, ragazzi e famiglie al Sud: «Il mondo procede in una direzione in cui sembra non ci sia spazio per nessuna forma di accoglienza». Addirittura «c’è una difficoltà diffusa, per la generalità delle famiglie, a far rientrare la procreazione di un bambino nell’organizzazione più complessiva della loro vita: un segnale evidente di ciò lo si può riscontrare nel calo delle nascite». In questo contesto «non esiste una comunità accogliente, ma una serie di famiglie affannate; ci sono anche famiglie disponibili, ma in difficoltà, o poche eroiche che si lasciano interpellare e coinvolgere. Spesso le difficoltà oggettive, che sono comunque forti, diventano la ragione addotta  per resistere all’apertura all’accoglienza. Non si riesce a cogliere fino in fondo l’essenza dell’accoglienza: nel caos in cui si vive, se ne percepisce solo il peso e la responsabilità».

Il nodo problematico dell’accoglienza è dunque la crisi della comunità! Comunità che è insieme punto di partenza e punto di arrivo! Il fondamento su cui impostare/ proseguire/ rafforzare l’impegno è dunque quello della costruzione comunitaria o, per meglio intenderci, della costruzione di reti di vicinanza.

Occorre scoprire, vivere e testimoniare la gioia e la bellezza dei legami che generano una responsabilità, che oltre all’adempimento di un dovere morale, è scoperta e rivelazione di un dono. Bellezza e gioia, sentimenti profondi, che accompagnano la consapevolezza che la mia stessa realtà personale si realizza in una dimensione di legame, di intersoggettività. Questo ci dà la misura dell’impegno e delle difficoltà che aspettano ciascuno di noi: trasformare questo ragionamento in azione comune, a partire dalle organizzazioni solidaristiche in cui si opera e nei territori in cui si vive. Sapendo che tutto ciò significa andare controcorrente rispetto alle logiche dominanti, anche nel mondo della solidarietà organizzata.




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