Non c’è più religione!

di Giovanna Pauciulo

L’ora di religione non si tocca», ha detto Mariastella Gelmini alla conferenza stampa di apertura del nuovo anno scolastico. Mostrando le novità introdotte il ministro ha sottolineato che l’insegnamento della religione, così come è stato concepito, deve essere salvaguardato: «non è un’ora di catechismo ma è un’ora di approfondimento dei contenuti e dei valori della religione cattolica». Continua allora il dibattito che si è aperto a luglio con la sentenza del Tar del Lazio che di fatto discrimina sei milioni di studenti. Ecco perché.

Davvero fa sorridere ma di incomprensione  il dibattito circa “l’ora di religione” sollevato in piena calura estiva. Il Tar del Lazio con sentenza del 18 luglio ha accolto i ricorsi (delle diverse associazioni coordinate dalla Consulta romana per la Laicità delle istituzioni e dall’associazione «Per la Scuola della Repubblica) tesi ad annullare le ordinanze ministeriali circa gli esami di Stato del 2007 e 2008. In esse si prevedeva la valutazione della frequenza dell’insegnamento della religione cattolica (ma anche dell’insegnamento alternativo)  ai fini della determinazione del credito scolastico – concorrendo alla valutazione di un credito su 100 – e la partecipazione “a pieno titolo” da parte degli insegnanti di religione agli scrutini finali.

Non va trascurata la pista di riflessione indicata da monsignor Diego Coletti, presidente della Commissione Episcopale per l’Educazione Cattolica, circa le ragioni per cui la competenza su una questione così delicata è stata data a un Tribunale Amministrativo Regionale, ma soprattutto va accolto quanto egli ha dichiarato ai microfoni della Radio Vaticana: “non credo che tocchi alla chiesa come tale fare ricorso. Tocca ai cittadini italiani organizzati in partiti o in associazioni culturali esprimere il loro parere, il loro dissenso di fronte a una sentenza così povera di motivazioni”. Ecco perché abbiamo ne vogliamo parlare sulle pagine della nostra rivista. Questa sentenza di fatto discrimina sei milioni di studenti che hanno scelto l’insegnamento della religione come materia scolastica e tutti quei docenti che, dopo aver superato un concorso, si trovano ora a essere considerati professori di serie B.

Sana ipocrisia quella di coloro che gridano all’antidemocraticità della ordinanza ministeriale mentre  di fatto contrastano e non rispettano  la libera scelta di milioni di persone,  quella degli  studenti e delle loro famiglie che liberamente hanno scelto di frequentare l’ora di religione. Secondo le stime 9 su 10 studenti scelgono l’ora di religione. Dunque sono proprio questi 9 studenti su 10 ad essere i veri discriminati! Ma andiamo con ordine.

L’ora di religione (o l’ora alternativa) è scelta liberamente. Gli studenti che scelgono di frequentarla oggettivamente aumentano il loro bagaglio di conoscenza rispetto ai colleghi studenti che invece la disertano; per un anno intero i primi frequentato un corso mentre i secondi no. In nome di quale democraticità non deve essere riconosciuto un merito agli studenti che si sono impegnati? Si definisce credito formativo  ogni qualificata esperienza culturale, artistica e sportiva, di formazione professionale, di attività lavorativa e di volontariato debitamente documentata, svolta nel corso dell’anno scolastico, perché la frequenza dell’ora di religione non deve essere considerata tale? La discriminazione è subita da coloro che per un anno si sono impegnati a seguire un corso! Forse i ricorsi e i dibattiti ci sono solo perché in gioco c’è l’ ora di religione cattolica? Ma  i ricorsi sono pretestuosi o veri?

Ma se è vero che l’interpretazione data dal Ministero dell’Istruzione, come recita la sentenza “ha portato all’adozione di una disciplina annuale delle modalità organizzative degli scrutini d’esame, che appare aver generato una violazione dei diritti di libertà religiosa e della libera espressione del pensiero”, viene da chiedersi: “ma i diritti di coloro che hanno scelto l’ora di religione chi li rispetta?”. Perché i ricorsi non mirano a tutelare tutti gli studenti?

Non è più giusto ed equo chiedere che ogni istituto scolastico sia in grado di offrire valide scelte alternative piuttosto che “prendersela” con l’ora di religione, con i docenti e con gli studenti che si impegnano per un anno intero?

E che cosa dire quest’altro assunto della sentenza per  cui “l’attribuzione di un credito formativo a una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche – si legge ancora nel documento – da luogo a una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni, ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica” . L’ora di religione non è la catechesi il cui obiettivo è quello suscitare la fede,  di iniziare bambini, giovani e adulti alla pienezza della vita cristiana, come leggiamo nella  prefazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. “L’insegnamento della religione è parte integrante della conoscenza della cultura italiana, e in questo senso va inteso nel sistema scolastico italiano, non come percorso confessionale individuale” afferma Mons. Coletti, come non dargli ragione? La storia ci dice che la Chiesa Cattolica ha avuto una rilevanza enorme non solo nelle vicende politiche e sociali dell’ Italia, ma anche nella nostra cultura. Dove saremo noi oggi senza duemila anni di presenza della Chiesa Cattolica? Non riconoscere che i valori e le tradizioni della nostra cultura hanno anche nella religione cattolica solide radici, significa negare le nostre radici.




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