Nel segno della croce

di Piero Gheddo

La persecuzione più comune, più quotidiana nella storia della Chiesa. Noi in Europa viviamo in pace e siamo liberi di praticare la fede, senza dimenticare che fino alla caduta del Muro di Berlino solo vent’anni fa (1989) in metà Europa i cristiani erano perseguitati.

Ma allarghiamo lo sguardo ad Asia e Africa. I cristiani non sono  liberi e a volte veramente perseguitati in quasi tutti i paesi islamici (e sono una trentina) e in tutti i paesi comunisti (in Asia cinque). Con due eccezioni, Libano e Bangladesh. L’Agenzia Fides ha contato 163 martiri cristiani per la fede o la carità dal 2000 al 2005, ma solo tra i preti e le suore. Ma sono molti di più, è impossibile contare i martiri fra i semplici cristiani. Siamo informati sulla persecuzione in Cina e in alcuni stati dell’India, ma altre situazioni non le conosciamo nemmeno.

Un prete vietnamita, incontrato nel 2002 a Bangkok, mi diceva che fra i “montagnards” del suo paese, i martiri della fede si contavano a centinaia, in seguito alla campagna lanciata dal governo per “convertire” questi orgogliosi tribali cristiani all’ideologia del partito comunista, rinunziando alla propria fede religiosa. In Italia, di questa persecuzione non si sa nulla. Nel novembre 1995 ho visitato Ruanda e Burundi. In quell’anno sono stati uccisi quattro vescovi su nove, 112 sacerdoti su poco più di 200, 92 suore. Il vescovo di Cyangugu, sul Lago Tanganika, mi diceva: “Sono ancora vivo perchè ho qui con me quattro suore polacche che mi assistono e mi difendono. La mia casa è circondata da militari che mi farebbero fuori volentieri. Se queste care sorelle dovessero per qualsiasi motivo andare via, la mia vita non varrebbe nulla”. Era l’anno in cui gli hutu avevano organizzato il genocidio dei tutsi e i vescovi condannavano questa criminale operazione. Situazione opposta in Burundi, dove un missionario saveriano italiano mi diceva a Kamenge: “Non immagini quanti martiri della carità abbiamo nelle nostre comunità, Persone che, pur sapendo di rischiare la vita, hanno ospitato membri dell’altra tribù, sono stati puniti con la morte”.

In Ruanda e Burundi il 60-70% della popolazione sono battezzati e hanno una fede giovane ed entusiasta. “Ma quando scoppiano queste faide inter-tribali, mi diceva il missionario citato, non si ragiona più. Solo la fede può ispirargli di rischiare la vita per un gesto di autentico eroismo evangelico”.

Ricordiamo i martiri non solo per onorare questi cristiani e pregarli, ma per renderci conto che il martirio è un fatto attuale nella Chiesa che può riguardare anche noi. La vita cristiana vissuta in modo eroico è un lento martirio: lotta contro le nostre passioni e andare contro corrente rispetto al mondo in cui viviamo! Probabilmente noi non avremo il martirio di sangue, ma il martirio del cuore per restare fedeli a Gesù e alla Chiesa è una nostra libera scelta, una grazia da chiedere al Signore.




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