Il futuro è nelle mani dell’amore

di Francesco Grasselli

Riflessione sull’enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate”

Uno slogan di Raoul Follereau – il noto “apostolo dei lebbrosi” – recitava: la sola verità è amarsi. Il Papa inverte i termini dicendo, nel titolo dell’enciclica, che occorre amarsi nella verità. La preoccupazione dottrinale è sempre presente in Benedetto XVI. Ma di quale verità si tratta? L’unica che la Chiesa ha in mano: la verità del Vangelo. “La dottrina sociale della Chiesa illumina con una luce che non muta i problemi sempre nuovi che emergono” (n. 12). La luce che non muta è proprio quella della parola di Dio. Ma il mondo cambia e nuovi problemi si affacciano man mano nella storia degli uomini, spesso resi più drammatici proprio dal fatto che non si ha un orientamento e si naviga a vista. Mi sembra che l’enciclica affronti i cinque più grandi problemi attuali: la globalizzazione, la crisi economica, l’emergenza ambientale-climatica-sanitaria, le migrazioni dei poveri, le scoperte della scienze biologiche e delle biotecnologie. Di fronte a questi problemi giganteschi l’amore è il principio che tutto muove verso il regno di Dio: “La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera”. (n. 1). Cercherò, allora, di gettare un rapido sguardo su questi problemi per vedere come il principio-amore (o l’Amore che è fin dal principio) può operare dentro ciascuno di essi.

Globalizzazione e amore
Questa parola nuova (che Internet ancora neppure riconosce) indica un fenomeno antico e sempre operante: l’allargamento dei confini. Non si è forse sempre passati, in contesti diversi, dalla famiglia al clan, alla tribù, alla nazione…; o dalla città-stato, al feudo, al regno, all’impero? Ma due novità sono oggi intervenute: l’accelerazione velocissima del processo dovuta alle tecnologie e il fatto che non ci sono più nuovi confini, perché al là dell’umanità non si può andare. Il mondo è
uno. Affermazione molto bella per noi cristiani, che abbiamo sempre affermato l’unità del genere umano, la fraternità universale. Ma storicamente questo traguardo è stato raggiunto in modo ambiguo, perché il “mondo uno” è sostanzialmente dominato dal mercato, il più anonimo e crudele dei tiranni. È vero che esso è stato il principale motore per l’uscita di immense regione dal sottosviluppo (si pensi alla Cina e all’India); ma è anche vero che “… senza la guida della carità nella verità, questa spinta planetaria può concorrere a creare rischi di danni finora sconosciuti e di nuove divisioni della famiglia umana” (n. 33). Dovremmo poter dire: il mondo è uno, la casa di tutti. Ma per questo occorre che diventi operante la giustizia, la solidarietà e il rispetto dei diritti di ogni persona umana.
 

Crisi economica e amore
All’attuale crisi economica, che tante sofferenze sta provocando nella nostra società (pensiamo ai disoccupati e alle loro famiglie), ma ancor più ne provoca nei paesi poveri, sono state trovate molte
madri. Ma una mi sembra la più attendibile: la smodata volontà di arricchimento da parte dei
già ricchi e di consumismo da parte delle masse. Se ne può uscire solo con “nuovi stili di vita”, che
vuol dire moderazione nei consumi, sobrietà, destinazione sociale dei beni, ricerca del bene comune rispetto al bene egoistico… Ma soprattutto, come dice il papa, primato delle relazioni tra le persone rispetto alle cose; primato dell’essere sull’avere, dell’amare sul possedere. “La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio… Ciò vale anche per i popoli” (n. 53). Sentirsi chiamati insieme, tutti con un proprio ruolo, a interagire per creare un mondo giusto e pacifico è la condizione necessaria non solo per superare questa crisi, ma anche per evitare che se ne creino sempre di nuove e più gravi. (cfr. n. 34).
 

Ambiente e amore
Oggi tocchiamo con mano una verità che abbiamo fatto fatica a recepire: la natura è indispensabile per la vita ed è un bene limitato, spesso non rinnovabile. Aria, suolo e sottosuolo, fonti energetiche, acqua (sorgenti, fiumi, mari e oceani), foreste e perfino deserti e spazi oltre l’atmosfera… sono beni comuni; beni universali che l’umanità ha in deposito, che deve consumare moderatamente e in ogni caso custodire e salvaguardare per le future generazioni. Siamo arrivati a un consumo così smodato che inquiniamo l’aria, avveleniamo il suolo e l’acqua, mangiamo cibi variamente avvelenati, creiamo nuove malattie… Portiamo le scorie radioattive o comunque nocive nei paesi meno sviluppati o le affondiamo nei mari, affidandole alle mafie e alle camorre… Per tutto questo c’è una condanna di Dio, ma è l’umanità stessa a condannarsi. L’amore per la natura non è fine a se stesso e non è solo un obiettivo estetico. È un atto di amore per gli altri, specialmente per i più deboli e l’impegno a dare speranza alle nuove generazioni, consegnando loro quel dono che Dio ha fatto all’umanità di tutti i tempi . (Cfr. nn. 48-51).

Migrazioni e amore
Nell’ambito della globalizzazione uno dei fenomeni più impressionati è quello delle migrazioni. La sua enorme portata denuncia sia la disuguaglianza fra i popoli che la crudeltà di tante guerre: non vengono in gita di piacere! Ma le migrazioni sono sempre state la principale causa di nuove civiltà, di nuove culture, dello scambio di scoperte e di tecniche. Purtroppo innescano anche forme di razzismo, di fondamentalismo, di emarginazione dell’altro in quanto altro. Il papa commenta: “Tutti siamo testimoni del carico di sofferenza, di disagio e di aspirazioni che accompagna i flussi migratori… Ovviamente [i lavoratori stranieri] non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro” (n. 62). Si tratta, per noi cristiani soprattutto, ma per ogni persona di buona volontà, di vedere in essi delle persone e di accoglierli proprio grazie alle loro “diversità”: come un futuro arricchimento culturale, spirituale e religioso. Sono un fastidio? Sì, possono esserlo. Sono un pericolo? Sì, possono esserlo. Ma sono prima di tutto – diciamolo con forza! – fratelli che Dio ci manda vicini e che dobbiamo amare più di quando… non davano fastidio.

Biotecnologie e amore
“Campo primario e cruciale della lotta culturale tra l’assolutismo della tecnica e la responsabilità morale dell’uomo è oggi quello della bioetica, in cui si gioca radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale” (n. 74). Sappiamo bene quante complesse
problematiche ci sono in questo campo e quanti “princìpi” rischiano di saltare in aria. Ma dobbiamo anche qui farci guidare dall’amore: l’amore alla vita, l’amore alla persona, senza esagerati fondamentalismi, con umiltà e mitezza evangelica, ma anche con il discernimento di chi ha come guida il vangelo e sa che si tratta di passaggi delicati dell’umanità, in cui è in questione il futuro stesso dell’uomo, della sua vera natura e vocazione. Consideriamo le parole finali del Papa: “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia” (n. 78). Di fronte alla vita e alla morte che, nonostante tutte le scoperte, rimangono misteri, l’uomo ha bisogno della Parola e i popoli hanno bisogno dell’annuncio evangelico. Dobbiamo allora considerare l’umanità di oggi come una grande famiglia che non ha trovato ancora una casa comune e rischia di distruggere quella che ha. Le culture, le religioni, gli ambiti vitali, ma soprattutto le persone devono affrontare un tempo di ricerca, di pazienza, di moderazione e di fiducia reciproca che le porti verso la giustizia, la libertà e la pace. “Come la comunità familiare non annulla in sé le persone che la compongono e come la Chiesa stessa valorizza pienamente la «nuova creatura» che con il battesimo si inserisce nel suo corpo vivo, così anche l’unità della famiglia umana non annulla in sé le persone, i popoli e le culture, ma li rende più trasparenti l’uno verso l’altro, maggiormente uniti nelle loro legittime diversità” (n. 53).




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