La famiglia? Ancora in bianco e nero.

di Giovanna Abbagnara

Alessandro D’Alatri sarà il presidente della giuria della seconda edizione del Fiuggi Family Festival che si svolgerà dal 25 luglio a 2 agosto. ‘’Il cinema attraverso la rappresentazione della realtà deve aiutare gli spettatori a riflettere in modo critico su di essa” ha affermato il regista, intervistato per la nostra rivista, durante le riprese del suo ultimo film. Ricordando i pomeriggi passati all’oratorio della parrocchia guardando un film e commentandolo con gli educatori e i suoi amici, D’Alatri pone in luce un’inquietante problema: dove sono oggi le agenzie educative?

I suoi film nascono dall’osservazione di comportamenti umani. Secondo lei la famiglia come viene rappresentata nel cinema?

La storia della famiglia dove tutti si vogliono bene e dove vivono tutti felici e contenti non è una  storia considerata dal cinema. Si preferisce  raccontare sempre il disagio, il contrasto, le tragedie.  Questo secondo me è un dato inquietante perché viene raccontata solo la mostruosità che emerge dalla realtà quotidiana delle famiglie e in questo modo si trasmette un messaggio sbagliato. Ciò che manca è uno sguardo sulla famiglia che tenga conto delle sue relazioni con il mondo esterno e come essa si lascia trapassare dalla realtà, visto che comunque il mondo invade la famiglia.

Lei in passato ha cercato di trasmettere alcune problematiche e difficoltà soprattutto di chi vuole costruire una famiglia. Non teme di essere considerato un conservatore nostalgico?

Se conservatore significa essere uno che decide di sporcarsi le mani con la realtà, allora io dico che va bene, scelgo di essere conservatore. È un rischio che accetto volentieri perché se fatto con uno spirito intellettualmente onesto, se veramente cerco un approccio reale con queste problematiche, allora questo ha un senso. Oggi c’è bisogno di lavorare  sul futuro, cosa che da anni non si fa più. Oggi a parlare di  futuro la gente va in depressione, perché il futuro è incerto, per tanto tempo invece il futuro è stato il lavoro dell’uomo, la sua famiglia, le sue soddisfazioni ma anche i dolori. La storia dell’uomo è sempre stata caratterizzata da un futuro progettabile e oggi questa assenza di futuro è terribile.

Il film Casomai è una forte denuncia nei confronti della società che non aiuta i giovani a mettere su famiglia. Perché ha sentito il bisogno di fare un film del genere e come è stato accolto dalla critica?

Casomai è un film che rispecchia la tragica realtà sociale, e che riesce a coniugare la commedia con l’ approfondimento.  È un film che è stato accolto benissimo dal pubblico e anche dalla critica. L’idea parte dalla coscienza che oggi manca una reale educazione. Tutto è lasciato alla casualità, mancano allora le armi per difendersi e manca una  coscienza critica sviluppata.

Il cinema come tutti i mezzi di comunicazione di massa  condiziona e orienta la nostra vita e il primo pensiero va ai nostri figli. Lei da questo punto di  vista ha una grande responsabilità da comunicatore e da regista. Come la vive?

Io credo che il cinema non abbia questa responsabilità, c’è l’ha molto di più la televisione. Se il cinema ha una responsabilità è quella di avere un’ onestà intellettuale nell’approfondimento della realtà perché il cinema non è realtà, è finzione, è rappresentazione della realtà. Mentre invece è la televisione che rappresenta il reale. Credo di avere maggiore responsabilità quando faccio la pubblicità  più di quando faccio il film, perché la pubblicità viene vista da milioni di persone in modo continuo mentre il film parla ad una ristretta area del paese e c’è la scelta o meno di vederlo. Invece la televisione è sempre presente, è gratis e ormai fa troppo parte della vita di una famiglia.

Come reputa l’evento Fiuggi Family Festival rispetto ad altre manifestazioni che parlano di cinema e possiamo considerarlo veramente una novità nel panorama del festival italiano?

Sicuramente questa manifestazione ha un merito quello di ricordare che è compito del cinema indagare sugli aspetti della famiglia a 360°. Fare un film solo sulla famiglia non ha senso e infatti come dicevo in Casomai, la famiglia non è più caratterizzata da due persone che si mettono insieme ma bensì è lo scontro di due eserciti che stanno dietro a quelle due persone. Oggi i disastri e gli orrori matrimoniali sono sotto gli occhi di tutti e ci si chiede perché siano così frequenti. Io credo che l’approccio al matrimonio sia troppo superficiale, è diventato un evento mondano, consumistico. Nel film Casomai ricordo proprio che in Italia c’è un’industria fiorente che punta su questo: vestiti, regali, liste di nozze, ristoranti, banchetti, tutte cose che non servono ai fini reali del matrimonio. La vera cosa importante che gli sposi dovrebbero avvertire quando stanno per compiere questo passo è che non verranno lasciati soli, che intorno a loro c’è solidarietà, questo è il regalo più prezioso.

Questa seconda edizione del Fiuggi Family Festival sarà dedicata alla figura del padre. Secondo lei questa relazione si è persa?

Il padre è una figura straordinaria,  basti pensare al presepe, infatti la prima persona che pensi è San Giuseppe, che ha un amore paterno straordinario che va al di là dei DNA. È padre colui che alleva con amore il proprio figlio. La figura paterna è molto diversa dalla figura materna perché è un fatto più culturale. Credo sia un ruolo che richiede una vocazione.

La figura paterna visto che ha una valenza tutta culturale ed è difficile da rappresentare. nel cinema attuale perché significherebbe riproporre e riflettere valori che non appartengono al cinema di oggi, dove ci sono figure paterne fluide.

Tutto questo rappresenta la realtà perché esiste questa fluidità.

Che cosa manca alla famiglia secondo lei?

Oggi sono decadute figure e  istituzioni importanti come la scuola e l’oratorio della parrocchia che aiutino a sviluppare un senso critico anche nei confronti del cinema e della televisione. A me l’oratorio ha insegnato molto, mi ricordo che dopo la messa vedevamo sempre un film, che diventava oggetto di discussione. E poi la scuola dov’è?  Io sono indignato di come oggi si fa la scuola in questo paese. Queste non sono tematiche che riguardano solo i cattolici o i  laici ma riguardano tutti e quindi di conseguenza sono molto di più i punti in comune dove si può discutere e confrontarsi.

Ho paura che quello che lei si augura oggi sia veramente difficile.

È difficile attualmente ma non è difficile progettarle per il futuro. È arrivato il tempo di rimboccarsi le maniche e mettersi a lavorare per progettare e costruire un avvenire migliore.




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