Famiglia e parrocchia uniti si vince

di Silvio Longobardi

“Quando tornavo a casa [da scuola] mia madre mi prendeva per mano e mi spiegava la religione. […] era mia madre la mia vera catechista”. È Jean Guitton, uno dei grandi pensatori cattolici del Novecento, a ricordare questo particolare della sua fanciullezza. Negli stessi anni a Fatima in un’altra famiglia, poverissima di tutto ma non della fede, avviene qualcosa di simile. È suor Lucia che racconta: “La prima cosa che imparai è stata l’Ave Maria, perché mia madre era solita tenermi in braccio mentre insegnava a mia sorella Carolina, che in età veniva prima di me, avendo 5 anni di più”. La veggente aggiunge: “Mia madre aveva l’abitudine d’insegnare la dottrina ai suoi figli nelle ore della siesta, in estate. D’inverno, la nostra lezione era di sera, dopo cena, vicino al focolare, mentre arrostivamo e mangiavamo le castagne e le ghiande dolci”. Altri tempi o altra fede?

Era così anche all’inizio. In uno scritto del II secolo troviamo questa precisa raccomandazione: “Non ti disinteresserai di tuo figlio e di tua figlia, ma insegnerai loro il timore di Dio fin dalla fanciullezza” (Lettera di Barnaba). Il cristianesimo, in piena continuità con l’esperienza ebraica, affida ai genitori il compito di trasmettere quella fede che essi stessi hanno ricevuto. Questa catena generazionale, che per secoli ha rappresentato il veicolo fondamentale della cultura e della fede, è entrata in crisi negli ultimi decenni. I genitori rimangono un riferimento essenziale sul piano affettivo ma non su quello culturale. Nasce qui la latitanza educativa della famiglia che si manifesta anche nella trasmissione della fede.

Essere cristiani, oggi lo comprendiamo meglio, è una scelta personale, un impegno che può essere mantenuto solo se nasce ed ha profonde radici nella coscienza dell’uomo. Questo cammino non s’improvvisa. La fede non è un patrimonio di idee che si possono acquisire nel contesto di un corso full time ma un’esperienza che cresce nel tempo, insieme con tutte le altre dimensioni esistenziali.

In questo processo educativo quale ruolo gioca la famiglia? In che modo la naturale trasmissione della fede, che il Vaticano II assegna ai genitori, può intrecciarsi con la più ampia e articolata esperienza di fede che solo la parrocchia può garantire? Questo dossier parte da una convinzione: se non ritroviamo una feconda alleanza tra famiglia e parrocchia, l’iniziazione cristiana rischia di rimanere una bella e fragile utopia. Alleanza vuol dire intrecciare percorsi e modalità all’interno di un’unica e armonica proposta educativa, valorizzando sia la specifica sensibilità della chiesa domestica – dove la fede s’impara attraverso il vissuto quotidiano – che l’orizzonte ecclesiale della comunità parrocchiale, dove la fede si nutre attraverso la catechesi, si celebra nella liturgia e s’incarna nel comandamento della carità fraterna. Un tema complesso che qui possiamo solo tratteggiare. Quanto basta per stimolare la riflessione e, perché no, qualche sperimentazione.




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