Amare a bassa voce

La testimonianza che presentiamo di seguito è stata scritta da un missionario che ha scelto di partire e offrire il suo servizio in Cina. Ha operato nel nascondimento e nell’anonimato a favore dei minori in una casa famiglia. Purtroppo non possiamo rivelare l’identità di questo coraggioso testimone del nostro tempo, possiamo solo presentare la sua storia che è come un germoglio di fede in una terra ancora piena di contraddizioni.

Dopo aver vissuto come missionario in Africa e in altri Paesi, sono partito nel 1999 per lavorare come volontario a titolo personale non potendomi presentare come appartenente ad una associazione religiosa, presso una scuola per disabili in una città della Cina, dove dopo un po’ di tempo ho potuto realizzare una piccola struttura di tipo famigliare in cui accogliere bambini orfani e disabili.

Non avendo l’autorizzazione a gestire una simile struttura autonomamente, dovevo rimanere sotto la tutela (ossia il controllo) della scuola, la quale era garante del mio operato.

Il problema era, da quanto capivo, che poteva creare problemi all’immagine del Paese il fatto che uno straniero si occupasse di bambini cinesi, e di questo fatto ho avuto conferma nel periodo precedente le Olimpiadi del 2008 a Beijing, quando già dal mese di aprile furono fatti alcuni passi per precludere l’accesso ad istituti governativi per bambini orfani e a centri per disabili, agli stranieri che vi prestavano opera di volontariato.

All’inizio è stato difficile inserirmi in una realtà dove ero l’unico straniero, e comprendevo pochissimo la lingua.

D’altro canto in questi dieci anni ho potuto riscontrare notevoli progressi da parte del governo e del servizio che si occupa dei disabili, per garantire loro una maggiore assistenza e un miglioramento nei servizi; un esempio evidente è stata l’eliminazione di barriere architettoniche e molte agevolazioni per i disabili, sia nelle strade che sui mezzi pubblici di trasporto, nonché in alcuni settori dell’edilizia. Su questo hanno influito molto i preparativi per le Olimpiadi.

Per quanto riguarda la mia condivisione con i bambini disabili, questo è stato possibile in una forma silenziosa e abbastanza riservata, senza far troppo conoscere quanto facevo, nel timore che potesse venire ostacolato o interpretato male dalle autorità, mentre per la gente semplice con cui venivo in contatto ogni giorno, i vicini, la gente dei negozietti o di strada, quando uscivamo con i nostri bambini, era una bella testimonianza di donazione ai più poveri, che loro consideravano con grande stima. Anche con la chiesa locale (la chiesa ufficiale) ho sempre avuto rapporti buoni, ricevendo approvazione e stima, sempre a livello di base, senza arrivare alle alte cariche (vescovi), che generalmente sono funzionari statali. Nei primi anni avevo chiesto alle autorità, che mi avevano invitato per l’attività di insegnante nella scuola per disabili, di poter vivere in un quartiere popolare alla periferia della città, in mezzo a gente più povera, in una casa di stile cinese classico, con cortile interno, ma non mi era stato permesso, dicendomi che in quella zona non potevano vivere stranieri. Molte volte ho sentito come un handicap il fatto di essere uno straniero, di non essere come loro, di non potermi mescolare realmente in mezzo a loro. Questo mi ha fatto perdere molte occasioni di conoscere meglio la loro cultura e di poter condividere maggiormente la vita con loro, nonostante che ormai conoscessi bene la lingua.

Un altro fatto che crea difficoltà in un rapporto “paritario” è la diffidenza radicata in molti di loro verso gli stranieri, che da un lato, nelle persone semplici, porta ad una forma di paura o soggezione, dall’altro un timore di “perdere la faccia” se uno straniero conosce troppo a fondo certi problemi che affliggono il Paese. Questo fa sì che ci sia spesso una barriera invalicabile, che ostacola la spontaneità di un rapporto sereno.

Nel complesso devo ammettere però che è un fatto positivo il poter portare avanti una piccola casa famiglia dove viviamo con persone in difficoltà, e che può essere un buon segno come testimonianza silenziosa e come evangelizzazione con la vita. Una prova evidente è che lentamente qualcosa si sta muovendo e da un anno una coppia cinese della città ha scelto di seguire questo cammino, avendo iniziato con noi una seconda casa-famiglia dove accogliere bambini e ragazzi emarginati, insieme al loro figlio naturale, con la speranza che, essendo persone locali, possano arrivare là dove io come straniero non sono riuscito ad arrivare in tutti questi anni. Nel frattempo si spera che maggiori aperture e fiducia in chi si dedica ai più poveri possano permettere in futuro anche a noi stranieri di vivere maggiormente la fraternità con il popolo cinese.

Questo che scrivo è esclusivamente la mia esperienza personale e non vuol essere generalizzata, quindi è da prendere come un piccolo campione di vita in Cina, probabilmente altre persone hanno vissuto esperienze diverse e mi possono anche smentire.




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