Ragazzi soli, la tecnologia non basta!

di Silvio Longobardi

Ho imparato a scrivere ma non ho imparato a vivere”, diceva Cesare Pavese (1908-1950), lo scrittore morto suicida poco più che quarantenne. Educare non vuol dire semplicemente dare la possibilità di acquisire nozioni e competenze ma trasmettere in modo vivo le ragioni che danno senso alla vita. questo processo si può attuare solo nel contesto di una relazione intrisa di affetto e condita di valori, di certezze che, una volta acquisite, diventano come le colonne portanti dell’esistenza.

Una recente ricerca – realizzata dall’associazione Save the Children insieme al CREMIT (Centro di Ricerca per l’Educazione ai Media all’Informazione e alla Tecnologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore) – rivela quello che gli educatori più attenti già sanno e cioè che i pre-adolescenti usano sempre di più i nuovi mezzi della tecnologia informatica ma sono sempre più soli e indifesi dinanzi ai pericoli che possono derivare dall’uso di questi strumenti. Dalla ricerca emerge che l’86% dei ragazzi usa abitualmente la rete web, il 95% ha un telefonino. Emergono anche altri dati preoccupanti: il 25% ammette di aver dato notizie riservate ad estranei e di essersi perciò trovato in situazioni pericolose. La tecnologia informatica offre potenzialità straordinarie ed apre orizzonti che fino a pochi anni erano impensabili. A patto di non dimenticare che i mezzi che essa mette a nostra disposizione non sono tout court strumenti educativi e non sostituiscono quella relazione tra l’adulto e il minore che è il cuore del processo formativo.

Il protagonista di Montedidio, un bel romanzo di Erri De Luca, ambientato nella povertà di una Napoli appena uscita dalla guerra, è un adolescente costretto, come la maggior parte dei suoi coetanei, a rinunciare alla scuola per guadagnarsi da vivere. Vive in una famiglia povera ma ricca di valori. Sulla sua strada incontra Mast’Errico, un falegname, l’emblema della napoletanità, un uomo che respira i valori della tradizione, li vive e li trasmette con quella serena pacatezza di chi ha maturato certezze che nessuna tempesta della vita potrà più cancellare. Mast’ Errico ogni giorno compra “il Mattino”. “È una spesa, sono trenta lire, dice che un uomo deve sapere che succede nel mondo”. Rafaniello è un ebreo, giunto a Napoli dopo la guerra, viene dalla Polonia, è riuscito a mettersi in salvo, di mestiere fa il calzolaio ma è uno che “aggiusta i pensieri” e non solo le scarpe, parla di Dio, nelle sue parole possiamo sentire l’eco di una verità che affonda le sue radici nel mistero di Dio.

Il contesto sociale non favorisce affatto il processo educativo dei nostri figli, anzi distrugge l’idea stessa di educazione in quanto sponsorizza un relativismo che toglie respiro ai valori. Ma proprio per questo c’è bisogno di investire maggiori energie in questo ambito. Lo ricordava Benedetto XVI, giusto un anno fa, nella Lettera inviata alla diocesi di Roma. Le difficoltà del compito non devono scoraggiare, è in gioco la gioia dei ragazzi e il futuro stesso dell’umanità.




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