I figli o la carriera?
di Giovanna Pauciulo
Milano, 16 gennaio – Banca Popolare di Milano, Edison, il Gruppo Johnson & Johnson, la Canclini Tessile di Como, la Lubiam moda uomo di Mantova e la BeM Service di Abbiategrasso – sono le prime aziende lombarde a vincere il “Premio Famiglia-Lavoro”, il riconoscimento regionale nato per valorizzare quelle imprese capaci di garantire al proprio personale una reale conciliazione tra le esigenze familiari e quelle lavorative. Un passo in più che offre lo spunto per una riflessione sul rapporto maternità e lavoro.
Diventare mamma e continuare a lavorare è una conquista per le donne. Il lavoro è fonte di soddisfazione, oltreché di reddito, migliora la qualità di vita, influisce in modo positivo nel rapporto con i figli. L’equilibrio è delicato. Perché una donna possa conciliare la sua dimensione materna con il suo ruolo lavorativo sono determinanti l’aiuto che può avere nella gestione familiare e la possibilità di beneficiare di formule flessibili nell’organizzazione lavorativa. La premessa indispensabile perché tutto ciò si realizzi è una visione del lavoro fondata sulla consapevolezza che i lavoratori innanzitutto sono persone, soggetti sociali, padri e madri di famiglia, portatori quindi di bisogni e desideri di natura personale ed extra-lavorativa.
Sempre più mamme – ma anche papà – chiedono i congedi parentali per stare a casa con i figli piccoli. Il boom delle richieste di indennità di maternità è probabilmente da legarsi ad una “presa di coscienza” degli strumenti previsti dalla legge sui congedi parentali con un prolungamento dei tempi a disposizione per la cura dei figli.
Le donne oggi più istruite, sia rispetto alle donne della generazione precedente, che rispetto ai coetanei uomini hanno consapevolezza del proprio valore e della coscienza di sé. Purtroppo però quando si ritrovano ad aver completato il loro iter di formazione, si scontrano con un’inedita difficoltà di accesso al mondo del lavoro, condizionato anche dalle inesistenti politiche di pari opportunità, si pensi che solo il 18% delle donne in Italia ricopre un ruolo di responsabilità e un ruolo decisionale all’interno delle organizzazioni e delle imprese. Vita non facile per le donne lavoratrici.
Nel mare magnum della realizzazione professionale il desiderio di maternità, anche quando emerge senza condizionamenti e dopo una lunga incubazione, rischia di essere ulteriormente soffocato. Di fronte al “ricatto” sociale maternità/carriera sempre più donne purtroppo scelgono il lavoro. I dati sulla natalità italiana parlano da sé: 1,3 figli per coppia e concepiti a ridosso del limite biologico. E come biasimarle.
L’icona della madre lavoratrice oggi è quella di una donna sempre di corsa, in lotta continua tra una riunione con il capo e la babysitter che arriva in ritardo. Divisa tra scelte aziendali e pannolini da cambiare; insegnanti con cui parlare e sciroppi da acquistare. Una donna non deve essere costretta a scegliere tra la vita professionale e affettiva. Le madri sono disposte a fare salti mortali per non far pesare la propria assenza né in casa, né in ufficio. Un ruolo e una vita complessa che portano spesso a delle rinunce, di carriera il più delle volte, ma anche personali. Sono in aumento le donne che lavorano, ma ancora troppe rinunciano alla maternità per non perdere il posto, oppure lasciano il lavoro dopo la maternità.
Una seria politica di welfare deve consentire alle donne di non essere a metà tra famiglia e lavoro, deve passare necessariamente per una maggiore adeguatezza degli interventi alle singole situazioni famigliari, ciascuna ha necessità proprie e uniche a cui rispondere. Nasce da qui l’urgenza di progettare misure di conciliazione, attivando servizi e iniziative su misura nelle imprese e sul territorio. Tali obiettivi possono essere raggiunti solo ragionando in un’ottica di collaborazione tra una pluralità di attori: le istituzioni politiche, le imprese, il privato sociale e le famiglie.
Negli ultimi trent’anni sono stati fatti grandi passi avanti nella tutela dei diritti delle mamme che lavorano. Già nel 2000, la legge n. 53 introduceva la tutela della funzione sociale della maternità e paternità, riconoscendo, quindi, anche ai padri la possibilità di astenersi dal lavoro per l’assistenza dei figli. La legge 151 del 2001 ha subito un ulteriore perfezionamento diventando oggi il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”.
Come aiutare le donne a conciliare la gioia e l’impegno di essere madri con il lavoro? Se la normativa è chiara evidentemente le difficoltà riguardano la carenza dei servizi e laddove ci sono, il loro costo. Altri ostacoli sono: l’utilizzo sempre più ridotto del tempo pieno a scuola che impone alle famiglie la ricerca di altre soluzioni per la cura dei figli; la freddezza per il part-time, in crescita per le donne, ma con un trend che rallenta e mantiene l’Italia ancora all’ultimo posto in Europa per il suo utilizzo.
Famiglia e lavoro dunque due realtà le cui reciproche esigenze fanno a pugni?
É certamente fondamentale aiutare le donne a rimanere al lavoro dopo la nascita di un figlio. La maternità è un momento delicato per la permanenza delle donne al lavoro; la mancanza di aiuti adeguati incide in modo rilevante sul loro abbandono. Innanzitutto occorre chiedersi quante donne vivono con dramma il ritorno sul posto di lavoro che altrimenti lascerebbero se fosse loro garantito una sussistenza economica fino all’età scolare dei figli?
Laddove invece il lavoro non è mantenuto per esigenze economiche, i nidi aziendali possono essere la soluzione oltre che dare contenuto a quella formula a volte vaga e vuota che si chiama “pari opportunità”. La donna madre è così messa nella condizione di realizzarsi davvero e appieno. Senza essere costretta a scelte penalizzanti (stare a casa per il piccolo) o a vivere il lavoro condannata ai rimorsi. E gli aspetti positivi non riguarderebbero soltanto la lavoratrice ma anche l’azienda. E allora dirigenti cosa aspettate?
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