Dalla parte della vita

di Silvio Longobardi

Il 2009 inizia con una condanna a morte. Un annuncio triste che non lascia presagire nulla di buono per Eluana Englaro.

Fa parte dell’animo umano quella sottile e inconfessabile gioia che a volte si prova dinanzi alle disgrazie altrui. Mai s’era visto, però, tifare per la morte di qualcun altro. Ad eccezione delle situazioni belliche quando la morte dell’avversario è l’unica condizione per salvare la propria vita. A volte s’invoca la condanna a morte per chi si è macchiato di gravi delitti e vi sono gruppi sociali che si mobilitano per far applicare la giustizia. Una danza macabra, la loro, sempre più stigmatizzata dall’opinione pubblica. Ma qui siamo di fronte ad una persona innocente. Parliamo di Eluana Englaro. Tutti ormai conoscono questo nome, la sua vicenda ha suscitato un interesse crescente nell’opinione pubblica, sempre più divisa e disorientata.

È la volontà di Eluana che vogliamo/dobbiamo rispettare. È un gesto doloroso e al tempo stesso doveroso. Insomma, una scelta nobile. Così argomentano quelli che s’impegnano con accanimento per garantire una buona morte. Lasciamo stare le modalità con cui è stata accertata questa deliberata volontà di morte. Mi limito a porre una domanda: se una persona sana di mente sceglie lucidamente il suicidio, lasciando una lettera in cui risalta chiaramente la sua volontà, abbiamo il dovere di rispettare questa decisione e quindi di rifiutare le cure? O possiamo/dobbiamo fare di tutto per salvarla? Si dirà che sono situazioni diverse. Ma in gioco c’è lo stesso principio: rispettare la volontà è un dovere etico oppure la coscienza morale, in nome della vita, ha la facoltà di opporsi con decisione alla volontà di morte? In altre parole, la vita è un bene assoluto da tutelare sempre e comunque oppure un bene relativo affidato alla coscienza insindacabile dell’individuo? Inutile dire che stiamo scivolando sempre più sul versante relativistico.

Perché tanto accanimento attorno a questo caso? Non ci sono risposte certe ma ho un sospetto. Ho sempre apprezzato le parole misurate di Beppino Englaro, il suo volto esprime l’angoscia di un padre che ritiene di aver già “perso” la figlia. Attorno a lui, però, vi sono altre figure che hanno fatto di questa vicenda una bandiera e la usano come un piccone per aprire una crepa nella diga legislativa che ha impedito fino ad ora ogni forma di eutanasia. Di fatto, questo è il primo caso di “dolce morte” in Italia. E rischia di aprire una porta nella quale tanti altri potranno entrare. I fans dell’eutanasia non aspettavano altro, quello che per la Corte di Cassazione è solo una possibilità per loro diventa un dovere di coscienza. Il passaggio dalla legalità alla moralità è breve e soprattutto indolore. Nessuno vieta di accudire i propri cari, ci mancherebbe, ma d’oggi in poi questa straordinaria forma di carità finirà per apparire un inutile accanimento.

L’intervento della Suprema Corte cambia sostanzialmente il quadro legislativo ed obbliga la classe politica ad intervenire. Di fatto concede a qualcuno, sia pure per motivi circostanziati e ben definiti, la possibilità di togliere la vita ad un’altra persona. Facoltà di uccidere, scrive qualcuno. La frase può non piacere. Ma non saranno le parole a modificare la sostanza delle cose. La Chiesa italiana, che ha ben compreso il valore della recente decisione della Cassazione, fin dallo scorso settembre per bocca del suo Presidente, il cardinale Angelo Bagnasco, ha chiesto una legge sulla fine della vita al fine di porre nuovi argini legislativi ed evitare così un utilizzo indiscriminato della licenza concessa dalla Corte.

Il 2009 inizia con una condanna a morte. Un annuncio triste che non lascia presagire nulla di buono. Per contrastare questa deriva abbiamo bisogno di attuare una nuova e capillare campagna di sensibilizzazione al fine di mostrare l’inconsistenza e la pericolosità di una dottrina che in nome della compassione toglie la vita. Ma abbiamo anche bisogno di accompagnare con una più grande carità quanti ogni giorno lottano per la vita, prendendosi cura delle persone che vivono lo stesso dramma di Eluana. È necessario opporsi con tutte le forze a quella strisciante dittatura del relativismo che lega il valore e la dignità dell’esistenza alla qualità del suo vivere. Torniamo indietro di secoli. Con buona pace di chi parla di progresso.




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