Verginità e sponsalità dell’amore

di don Francesco Pillonidi

«Chi ci separerà dall’amore di Cristo?

Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la spada? …

Né morte né vita,

né angeli né principati,

né presente né avvenire,

né potenze, né altezza né profondità,

né alcun’altra creatura

potrà mai separarci dall’amore di Dio,

in Cristo Gesù, nostro Signore».

(Rom 8, 35-39)

Verginità e matrimonio sono due vie dell’unico ordine dell’amore nel quale l’uomo è creato. La persona umana è stata infatti creata come «sponsale» da Dio. Creata cioè nella chiamata all’amore («sponsa»), con un legame imprescindibile con la realtà e la verità dell’amore. Nasciamo infatti uomini e donne. Nasciamo nel grido dell’incompletezza che portiamo inscritto nel nostro corpo e in tutta la nostra persona. Nasciamo destinati a compiere noi stessi mediante il dono di amore di noi stessi e l’accoglienza del dono di amore che l’altra persona è. Nasciamo orientati all’amore fin nelle più intime fibre del nostro essere.

E’ l’immagine di Dio che sigilla in noi questo dono e questa verità. Nel suo inaccessibile mistero «Dio è amore» (1Gv 4, 8) e si è rivelato in tutta la sua forza di amore, coinvolgendoci in essa. Fin dalla creazione noi siamo orientati a partecipare compiutamente, per grazia e divino dono, alla vita di Dio. E la vita di Dio è scambio di Amore tra Persone Divine (cfr CCC 259). La vita di Dio è l’abisso dell’amore nel quale siamo creati e che chiama l’abisso dell’amore che abita le nostre persone con la potente testimonianza del suo dirompente amore. “Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate” (Sal 42,8).

Proprio perché nasce destinato alla gloria di Dio, ogni amore nasce vergine, nasce nell’orizzonte di quella verginità che non è privazione dell’amore, ma canto della sua pienezza. L’amore nasce vergine perché nasce interpersonale e perché fin dall’aurora orientato a compiersi come risposta all’amore divino. E’ così che l’amore sponsale dell’uomo e della donna è fin dall’inizio destinato alla verginità, a compiersi non in se stesso (e come potrebbe senza esaurirsi?), ma a compiersi in riferimento allo scambio di amore che Dio dona agli uomini di realizzare.

Il peccato originale toglie forse all’uomo ed alla donna la possibilità della verginità, la capacità di vivere integralmente il dono d’amore della propria persona come definitivamente ed infinitamente destinato in Dio e per Dio. Quell’amore era puro, senza vergogna, abitava un corpo di luce. Dopo il peccato quell’amore è divenuto una promessa incompiuta e perduta, è insidiato dal possesso, dal riferimento esaustivo a se stessi, dal desiderio di dominio dell’altro, dalla concupiscenza. Il corpo di luce è divenuto un corpo di carne e la gioia si confonde col piacere. L’unità del mistero è stata originariamente scissa. Ora ciò che prima stava raccolto nell’unità del mistero si trova frantumato: maternità e verginità sembrano ora inconciliabili, nozze e verginità sembrano opporsi. Contratto nel proprio universo “di carne” il mistero dell’amore interpersonale non si conosce più che come un sogno perduto.

Cristo nel mistero del suo amore, che come Sposo della Chiesa dona a tutta l’umanità, apre di nuovo per noi, nella carne della sua persona divino-umana, l’integrità dell’amore. In lui il corpo risorge e più ancora che un corpo creato di luce, diviene corpo divinizzato. In lui l’amore di uno e l’amore di tutti coincidono, e l’amore stesso crea unità interpersonale secondo la modalità infinitamente molteplice in cui solo Dio lo può porre. In lui è possibile ora amare sponsalmente nell’orizzonte di quella verginità nella quale le nozze sono state create. E’ possibile ricollocare l’amore dell’uomo e della donna dentro l’orizzonte dell’amore divino, nell’orizzonte dell’amore di Cristo e della Chiesa, nella promessa della verginità che segue ed accompagna questo amore.

E d’altronde ora è possibile la verginità nel fiorire della sua pienezza. Poiché ora Cristo è lo Sposo, lo Sposo universale di ogni creatura umana, l’amore offerto all’accoglienza ed alla risposta di ogni persona. E’ possibile avere uno Sposo che attragga l’anima interamente, poiché è sposo divino ed umano. E’ possibile che lo Spirito dell’Amore ci renda partecipi dell’amore che la divina Persona di Gesù Risorto irradia. In quanto umano egli risplende all’attesa concreta dell’amore della persona umana e in quanto divino egli ne è il suo definitivo compimento.

La verginità è nella nuova creazione quello le nozze erano nella prima creazione. Poiché la nuova creazione conosce una nuova generazione da un nuovo Adamo, da unico sposo: Cristo.

Ora la verginità è sponsale, poiché è la risposta dell’intera persona a Dio. E’ accoglienza dell’unica relazione di amore con il Verbo Sposo. Rimane il confine della storia e del tempo, ma esso è collocato ora nello sviluppo della nuova creazione. Dall’albero della Croce lo Sposo Vergine attrae tutti: “attirerò tutti a me” (Gv 12,32; cfr 3,14-15). Già nella visione i vergini, vestiti di bianco, seguono l’Agnello dovunque vada, come la sposa segue lo Sposo.

Creazione e redenzione si saldano in un unico respiro. Nozze e verginità preparano nella storia la festa eterna: le nozze dell’Agnello. Vergine l’Agnello, Vergine la Madre da cui è nato e che la tradizione patristica chiama giustamente la “Vergine Agnella”. Vergine la tomba in cui fu deposto e dalla quale uscì Vergine. Eppure Sposo perché ha donato interamente se stesso per noi e si è donato per essere con noi un solo corpo, in un amore infinitamente presente a ciascuno, tanto da fare di tutti un’unica Sposa: la Chiesa.

Resta il tempo a contare la distanza che separa ancora la nuova creazione dalla prima. Rimane la storia a dire le incerte vicende dell’amore degli uomini, cieco alla luce della rivelazione dell’amore di Dio e muto nella risposta. Rimangono le povertà dell’amore umano avvilito impoverito ed avvilito, della concupiscenza e del possesso. Esiste anche l’incerto orientamento di vergini che si pensano più secondo la vecchia creazione che la nuova, quasi privati che ridonati a se stessi dell’amore dello Sposo divino. Esiste questo cammino faticoso e doloroso di una storia che fatica a rispondere alla chiamata, già compiuta dell’amore eterno. In essa lo Spirito e la Sposa gridano “Vieni” (Ap 22,17). Ed egli risponde: “Si, verrò presto” (Ap 22,20). “Tutto è compiuto” (Gv 19,30). “Ecco io faccio nuove tutte le cose” (Ap  21,5).




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