Una famiglia solidale

Bruno ed Enrica Volpi, una vita vissuta alla ricerca del significato pieno del termine famiglia. Raccontiamo la tenacia di due instancabili testimoni dell’Amore, un viaggio dal Ruanda all’Italia coniugando due verbi: accogliere e condividere.

E’ il 1963, Bruno ed Enrica si sposano, hanno rispettivamente 26 e 24 anni e un sogno: andare in missione per costruire un ospedale (Bruno è un geometra). Si recano in Francia per prepararsi e partono subito dopo per il Ruanda, volevano restare due anni ma sono ritornati in Italia dopo otto anni. Un’esperienza significativa, fondamentale per la loro famiglia. “Lì, in quella terra il nostro amore è cresciuto tantissimo, lì eravamo l’unico appoggio l’uno per l’altro” ricorda Enrica. In un primo momento hanno vissuto insieme ad alcuni missionari, hanno poi deciso di costruire la loro casa in un villaggio dove Enrico in modo particolare ha seguito i lavori per la costruzione di una scuola, dalle elementari all’università, gestita dalla suore dell’Assunzione con cui i Volpi hanno lavorato a stretto contatto.

Con la gente del luogo hanno avuto un rapporto straordinario: “Essendo anche noi famiglia eravamo più immediatamente introdotti nella vita quotidiana, cosa che per le suore era più difficile. Lì difficilmente si concepisce un altro modo di vivere, e il nostro era proprio quello di famiglia. La nostra casa era sulla strada e la nostra fortuna è stata quella di far parte di un villaggio”. Da questa esperienza Bruno fa un lungo elenco di cose che ha imparato: “L’ Africa mi ha guarito dalla voglia di fare il bene a tutti i costi. Gli africani mi hanno detto, in sostanza: tu stai tranquillo, non rompere troppo, ché quando abbiamo bisogno ti chiediamo noi. E mi chiedevano cose banali, per loro era importante soprattutto che ci fossimo e fossimo “visibili e disturbabili”. Inoltre lì ho anche imparato la libertà dal denaro, i soldi non erano importanti, erano pochi, tuttavia avevamo tutto il necessario”. In Africa Bruno ed Enrica hanno avuto i cinque figli, quattro naturali e una bambina che hanno adottato, la figlia di un operaio che lavorava con Bruno, la mamma è morta durante il parto  e “noi abbiamo accolto con gioia questo fagottino che si è presentato alla porta della nostra casa. Si chiama Piera, oggi vive a Milano e ha tre bambini, due figli suoi e uno accolto”.

Nel 1971 i coniugi Volpi ritornano in Italia, e qui inizia un periodo di prova molto difficile. L’impatto con la società italiana, i nuovi ritmi quotidiani, il valore del denaro mettono in crisi la serenità conquistata in territorio africano. Ricorda Bruno: “In Africa, io ed Enrica eravamo abituati a lavorare gomito a gomito, invece in Italia mi sono ritrovato a tornare a casa la sera tardi stanco, arrabbiato perché il lavoro non andava come pensavo, lei era a casa sola con cinque bambini. Il nostro rapporto di coppia è andato in crisi”. Bruno ed Enrica si guardano negli occhi mentre raccontano della loro decisione di lasciare tutto, di non lasciarsi piegare dai ritmi incalzanti della società, di dare un seguito alla loro esperienza africana. Bruno lascia il triste lavoro da contabile e insieme ad alcuni amici organizza una raccolta di stracci e oggetti usati per le vie di Milano, il loro luogo di raccolta diventa il centro sociale Linea 12 e lì inizia un’attività insieme ad alcuni ragazzi del posto. Ragazzi che volevano cambiare il mondo, che erano scappati da casa, che ce l’avevano un po’ con tutti, con la Chiesa, con la famiglia, con il lavoro. “Abbiamo iniziato a vivere insieme.

Poi un giorno è arrivata un’assistente sociale con una bambina in braccio e l’abbiamo accolta.

La vicinanza di una comunità di Gesuiti è stata fondamentale per crescere insieme nella corresponsabilità tra laici e consacrati, sottolinea Bruno: “Le due vocazioni si intrecciano in molte cose, perché la vocazione alla famiglia e la vocazione religiosa non è soltanto per chi la sceglie, ma ha una valenza sociale. I padri gesuiti ci hanno aiutato a capire cosa stavamo facendo e noi li abbiamo aiutati a non vivere soli al mondo, a tenere i piedi per terra, a concretizzare la loro vocazione”.

Ben presto si è affiancata un’altra famiglia: Danila e Massimo Nicolai. E’ nata un’idea più precisa di comunità che è stata chiamata “Condominio Solidale”. La caratteristica peculiare di questa realtà è innanzitutto quella di conservare ognuno un proprio appartamento, realtà che si concretizza nel concetto di sovranità della famiglia. Ma cosa significa? “Ogni famiglia ha il suo spazio, la sua intimità – ci racconta Enrica – io credo che proprio in questo consiste la nostra forza, in questa modalità di stare insieme, dove si rispetta la pluralità e la diversità, sentendo insieme profondamente l’aiuto e il sostegno dell’altro”.

Si custodiscono i momenti comuni come quelli della merenda al mattino e al pomeriggio dove una mamma prepara un dolce con the o caffè per tutti e l’incontro mensile in una famiglia su un tema specifico. Altro elemento di unità è costituito dalla cassa comune. Bruno ci spiega che: “le entrate confluiscono in un’unica  cassa e a fine mese ogni nucleo familiare riceve un assegno in bianco dove scrive la cifra che gli necessita”. Difficile? “Non più di tanto – risponde Volpi – molto più difficile è accettare l’altro per quello che è”. Questo modo di vivere il rapporto con il denaro ha permesso loro di essere molto più sereni, le famiglie non vivono con l’assillo di approdare a fine mese, il lavoro è dunque meno stressante e le donne possono rimanere in casa per accudire i figli e tutti le persone accolte. La condivisione oltre che all’interno del Condominio Solidale si rivolge anche all’esterno attraverso l’accoglienza. Ogni nucleo familiare accoglie diverse persone, spesso in situazioni veramente gravi, come adulti con pesanti handicap psichici o disagi psichiatrici. La peculiarità  di questa esperienza rispetto ai canali classici di assistenza sociale consiste nel considerare l’ambiente familiare come il luogo di vita più idoneo per curare le diverse forme di disagio e di emarginazione. La famiglia con tutto il suo forte carattere di comunità di amore è capace di generare speranza, abbracci, intimità e continuità. Un luogo sicuro dove sentirsi prima di tutto accolto e amato, dove c’è un padre e una madre che si prende cura di te nonostante la diversità, anzi proprio in nome di quella diversità che diventa ricchezza per tutti. Enrico ci tiene a sottolineare che  “ogni persona contribuisce secondo le proprie capacità e le proprie possibilità e le attività lavorative, oltre ad essere indispensabili al sostentamento della comunità, consentono alle persone disagiate di compiere un percorso di crescita personale e di acquisire sicurezza, fiducia in se stessi e capacità di responsabilizzarsi”.

Dall’esperienza di Villapizzone sono nate altre 13 strutture o Condomini solidali. Questo modo di vivere ha contagiato decine di coppie. E’ nata nel 1988 l’Associazione Comunità e Famiglia che si occupa di raccogliere e proporre questa esperienza e offrire alle famiglie che vogliono far parte di un Condominio Solidale una casa abbastanza grande per poter accogliere persone disagiate: “In modo che – continua Enrica – chi vuole fare accoglienza possa farlo. Senza nessun obbligo ma anche senza nessuna scusa per non farlo”.

La Provvidenza in questi anni non ha mai cessato di far sentire la sua presenza. Le case sono state date in comodato gratuito, o acquistate con grande sorpresa. Come quella a Berzano. Bruno con il suo modo di parlare ricco di particolari racconta con gusto di quando nel 1996 un giorno legge sul giornale della vendita di un immobile a Berzano, in provincia di Alessandria. Decide di telefonare al proprietario che gli chiede tre miliardi.

“Naturalmente io non li avevo e dopo una lunga discussione, il proprietario mi chiese quanti soldi avessi ed io risposi un miliardo. Ma non era vero. Non riuscii a finire la frase che dall’altra parte sento il bip della chiusura della conversazione”. Dopo alcuni mesi, il proprietario telefona di nuovo a Bruno e dopo aver visitato la cascina si accordano per un miliardo e mezzo, anche se i Volpi non avevano neanche una lira. In modo miracoloso, dopo alcuni giorni, si presenta a casa un conte di novanta anni, presidente di un istituto per i minori di Milano che decide di sostenere l’acquisto del nuovo immobile per creare un Condominio solidale.

Mentre Bruno ed Enrica raccontano della storia di questi lunghi anni, si guardano continuamente negli occhi, l’uno interviene quando l’altro finisce di parlare, in un discreto rincorrersi di cuori che hanno conosciuto bene cosa sia l’amore. Questo amore è stato forgiato, rafforzato, ha messo radici in una terra lontana per poi ritornare con tutto il suo carico di umanità raccolta nei villaggi dell’Africa ed essere trasferita nel tessuto di un’altra società. Oggi Bruno ed Enrica celebrano 44 anni di matrimonio, hanno i figli grandi, sono diventati nonni, ma non è ancora il tempo di andare in pensione. Bruno ed Enrica, non hanno smesso di lottare, non si sono rassegnati ancora a questi ritmi frenetici che impongono alla famiglia ritmi stressanti che impediscono la comunicazione, la solidarietà tra famiglie, la condivisione piena. Sono ancora lì a proporre un modello di società dove è possibile vivere in comunione.




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