Famiglie separate dalle sbarre

di Giulia Palumbo

I dati nazionali forniti dal Ministero della Giustizia mostrano che in Italia il 38% dei detenuti ha almeno un figlio, questo significa che quasi 170mila genitori e circa 20 mila bambini sono separati dalle sbarre di un carcere.

Ma cosa succede al rapporto genitori-figli quando interviene un evento di questa portata? Cosa prova il genitore, ma soprattutto cosa prova il bambino in una situazione del genere? Ed, infine, qual è l’atteggiamento giusto che gli operatori, il genitore detenuto e l’altro genitore devono avere nei confronti di questi bambini e/o ragazzi?

Considerando che la pena si caratterizza essenzialmente come “privazione” e che la carcerazione contiene in sé la sospensione dei rapporti e delle relazioni umane, il primo elemento con cui genitori e figli devono fare i conti è la distanza fisica. Si perde la possibilità di decidere come e quando coltivare i rapporti con i propri cari e si concretizza il problema oggettivo di avere incontri continui e regolari. Il genitore non sa come crescono i propri figli, non li può accompagnare se non con il pensiero, non può gestire le situazioni della loro vita quotidiana, non può partecipare ad eventi problematici della famiglia come malattie, difficoltà economiche, conflitti familiari, in altre parole sa di perdere dei “pezzetti” di vita del proprio figlio.

C’è inoltre da fare i conti con la rappresentazione negativa di sé che i genitori detenuti elaborano in relazione alla presa di coscienza delle proprie colpe, delle conseguenze a cui queste hanno portato, e sotto la spinta di uno sguardo sociale squalificante. Questo sentimento di squalifica del proprio sé e di inadeguatezza e vergogna può essere molto pericoloso dal momento che rischia di causare una rinuncia al proprio ruolo genitoriale: il genitore detenuto potrà pensare che è meglio tirarsi indietro, abdicare alle proprie funzioni piuttosto che essere un cattivo genitore. Tale atteggiamento può essere una vera minaccia in quanto rappresenta per il bambino la perdita della risorsa affettiva e psicologica più importante e può essere interpretata come un ulteriore abbandono compromettendo il suo sviluppo affettivo, cognitivo e sociale.

In questo aspetto conta molto la capacità di chi si occupa del bambino, che deve essere in grado di condannare i comportamenti negativi del genitore detenuto ma, allo stesso momento, mantenere la dignità della sua persona e della sua funzione genitoriale.

È erroneo, infine,  pensare che il figlio possa soffrire della verità o non capirla. Il bambino, anche se molto piccolo, ha il diritto di conoscere tutta la sua storia, di essere padrone del suo passato e del suo presente. Conoscere la verità sul genitore permette al figlio di incontrare il “vero” genitore non dietro ma oltre le sbarre, vivendo nella separazione con la consapevolezza di essere comunque vicini.

per maggiori info:

www.bambinisenzasbarre.it 




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