Una legge da difendere

di Maria Luisa Di Pietro

Il Ministro della Salute, Livia Turco, ha presentato nel mese di luglio una relazione al Parlamento sulla legge 40/2004, basata sui dati forniti dal registro nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità.

La legge n. 40/2004, approvata dopo sette anni di intenso dibattito parlamentare e due legislature, è stata la riposta a una situazione di grande disordine ove vigeva la regola che “se nulla è proibito, tutto è permesso”. Si è trattato di una risposta  che si colloca sul terreno della tutela dei diritti umani e che ha come principio ispiratore – enunciato dall’art. 1 ove si dice che legge “assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti compreso il concepito” – la tutela della donna e del concepito. Non si tratta,  come è noto, di una legge “cattolica”  e i suoi contenti non hanno  nulla a che fare con l’insegnamento del Magistero della Chiesa per molteplici ragioni: dalla  possibilità di fecondare embrioni in vitro alla loro inevitabile perdita, dall’accesso alle tecniche anche delle coppie di fatto all’incertezza in cui viene lasciato il destino di migliaia di embrioni crioconservati.  Si è trattato,  però, di  una scelta coerente che ha portato a mettere in atto una regola per tutelare anche il concepito nello sforzo di attuare il  principio della sua “destinazione alla nascita”. Il divieto di ogni  diretta e premeditata uccisione dell’embrione umano  è la logica e minimale traduzione di questo principio. Ed è  per questo motivo che anche il mondo cattolico l’ha appoggiata e continua ad appoggiarla, cercando di arginare  ogni tentativo di modifica perché questo metterebbe a rischio la laicità e la democrazia dello Stato.

Questo perché la Legge n. 40/2004 è una legge, meramente, “laica” perché “laicità” non significa rinunciare a qualsiasi valore. Il pluralismo, che sta alla base della laicità e del sistema democratico, si fonda sul principio di uguale dignità  di ogni essere umano per cui,  se la dignità umana viene calpestata, ne soffrono anche la laicità e la democrazia.  La laicità implica che tutti i membri di una società possano vivere e lavorare insieme alla luce di un obiettivo razionale e  comune: il valore di ciascun essere umano. L’essere umano come “fine” e la ragione come “mezzo” sono gli elementi costitutivi della laicità.

Gli attacchi alla Legge n. 40/2004 sono, però, continui: a partire dalla proposta – pochi mesi dopo la sua approvazione – di un referendum che in caso di vittoria ne avrebbe modificato del tutto l’assetto e avrebbe riportato l’Italia nella situazione precedente, fino alle più recenti pressioni per modificare le linee-guida applicative. Precisato che oggetto delle linee-guida sono solo le procedure e le tecniche al fine di garantire il rispetto di regole igienico-sanitarie e non la modifica di un testo normativo approvato dal Parlamento, è da evidenziare come una  delle forme di pressione è stata l’interpretazione distorta dei dati presentati nell’annuale Relazione ministeriale.

Partendo da questi dati, chi non condivide i contenuti della legge ne sostiene, infatti,  il fallimento in termini di efficacia (riduzione della percentuale di gravidanze), addebitandolo  – tra l’altro – al divieto di crioconservazione di embrioni e, quindi, alla loro ridotta disponibilità per ripetuti tentativi di trasferimento. Si lamenta, inoltre, un aumento dell’incidenza di parti plurigemellari a causa della  necessità di trasferire tre embrioni e dell’impossibilità di accedere alla diagnosi pre-impianto per selezionare gli embrioni “sani”.

Premesso che sono state evidenziate alcune criticità metodologiche nella raccolta dei dati, contenute nella Relazione, è da evidenziare che la paventata riduzione della percentuale delle gravidanze non è da collegare  ai limiti della legge, ma al modificarsi delle caratteristiche (età, tipo di patologia responsabile della sterilità) delle coppie che chiedono di accedere alle tecniche di fecondazione artificiale. Per quanto riguarda i parti plurigemellari, sottolineata la cattiva interpretazione della legge che chiede solo che vengano trasferiti tutti gli embrioni prodotti per un massimo di tre, i dati della Relazione ministeriale sono del tutto sovrapponibili a quelli europei.

Quindi, non solo non vi è stato alcun fallimento della legge in termini di efficacia, ma  vi è stata anche la possibilità di evitare la perdita ulteriore di migliaia di embrioni umani. Anzi bisognerebbe rafforzare ulteriormente l’applicazione della Legge n. 40/2004 in particolare laddove prevede interventi di  prevenzione della sterilità: e  in tal senso  si fa, ancora, troppo poco.




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