Tre famiglie per quattro fratellini in affido

Un gruppo di famiglie affidatarie dell’Associazione Progetto Famiglia ha trovato una risposta singolare ed intelligente per andare incontro alle necessità di 4 fratelli, bisognosi di essere accolti temporaneamente.

E’ una bella mattina di febbraio, il sole con i suoi raggi delicati riscalda il paesaggio che costeggia l’autostrada imboccata per arrivare a casa Esposito. Mi accoglie la signora Vittoria con la quale mi ero sentita più volte al telefono per fissare un appuntamento. La immaginavo diversa, dalla voce con la quale mi ero più volte confrontata per riuscire ad individuare un giorno per incontrarci che andasse bene per me e per loro, mi aspettavo di incontrare una signora di una certa età, con i capelli scuri, invece viene ad aprirmi una donna ancora molto giovane, bionda e con degli occhioni celesti che mi fanno sentire immediatamente accolta, una di casa. È una donna intelligente, pratica: ha già preparato il pranzo pensando all’eventualità che io resti a pranzo con loro. Il primo segnale di cosa vuol dire essere una famiglia allargata; diventa un modo di essere, uno stile di vita che permea l’intera esistenza, anche le piccole scelte quotidiane.

Mentre Vittoria mi prepara un caffè, ci raggiunge suo marito Francesco, imprenditore, che quella mattina si è tenuto libero, per potermi raccontare il percorso che li ha portati ad aprirsi all’esperienza dell’affido familiare.

Conoscono l’affido grazie ad una campagna di sensibilizzazione del Progetto Famiglia.

È nel 1999 che hanno sentito parlare per la prima volta di affido familiare. Marco Giordano, attuale presidente dell’Associazione Progetto Famiglia-Affido, era andato nella loro parrocchia per una campagna di sensibilizzazione sull’affido; il corso durò 4 mesi e affrontò la tematica dell’affidamento familiare da diverse angolazioni: dall’aspetto psicologico a quello legislativo, da quello emotivo ai delicati ma importantissimi rapporti con la famiglia di origine.

In quel periodo Vittoria e Francesco vivevano un momento difficile, la loro unione stava subendo notevoli attacchi, vittima di reciproche incomprensioni. Vittoria lavorava in banca, era sempre impegnata, le rimaneva poco tempo da dedicare alla casa, al marito e ai due figli, che si avviavano a vivere la difficile stagione dell’adolescenza. Dopo una lunga riflessione e un confronto onesto e leale con Francesco, Vittoria ha preso una decisione coraggiosa e non scontata, ha lasciato il posto di lavoro, un’occupazione sicura e che, certamente, tante persone le invidiavano. E lo ha fatto per dedicare più attenzioni alla sua famiglia e soprattutto ai figli. Dopo questo primo passo, i coniugi Esposito, da persone pratiche e risolutive, non sono rimasti con le mani in mano in attesa che la loro crisi matrimoniale passasse da sola, si sono dati da fare e hanno iniziato un percorso con un gruppo di analisi “matrimoniale”. Un cammino che li ha aiutati a ritrovare le sorgenti dell’amore e della comunione coniugale.

In questo periodo è nata la decisione di prendere in affido un bambino.

«Ci sentivamo pronti – racconta Vittoria- in noi era maturato il desiderio di prenderci cura e di aiutare un bambino, tra l’altro avevamo già adottato dei bambini a distanza tramite il gruppo missionario della nostra parrocchia. Poi, fortunatamente, godiamo di una discreta posizione economica e questo ci ha permesso  di affrontare l’affido, senza doverci preoccupare dell’aspetto economico».

Una controproposta davvero singolare

Da quella campagna di sensibilizzazione era nato un “Gruppo di famiglie affidatarie” che continuava il suo percorso in seno all’Associazione Progetto Famiglia. Tre mesi dopo la fine del corso, arrivò una telefonata dal Toniolo di Napoli, un consultorio del comune: c’era la possibilità di prendere in affido 4 fratelli. Il giudice, che non voleva dividere i ragazzi, aveva stabilito che ogni famiglia dovesse prenderne due in affido. La proposta, eccellente sotto un profilo umano perché mirava a preservare il legame tra i ragazzi, non era semplice da realizzare, soprattutto per chi si apriva per la prima volta all’esperienza dell’affido.

E qui scatta una controproposta davvero singolare: questo piccolo gruppo di famiglie affidatarie chiede al giudice di affidare i bambini a 4 famiglie diverse, ma residenti nella stessa area geografica e legate tra loro da vincoli di amicizia e stima. La proposta è accettata. Inizia così un lungo percorso di conoscenza con questi bambini, durato 5 mesi, durante i quali le quattro famiglie frequentano, alternandosi, la struttura che ospita i ragazzi, stringendo vincoli di amicizia anche con gli operatori che la gestiscono.

La fatica dell’accoglienza

La prima volta che Angelo è arrivato a casa di Vittoria e Francesco è stato tutto rose e fiori, “quasi una luna di miele”, mi dice sorridendo Vittoria che aggiunge in fretta che questo idillio iniziale è durato poco.

«Mia figlia A. – continua Vittoria – aveva 11 anni,  subito si affezionò al bambino che ne aveva 8 anni. Lo portò nella sua camera, gli mostrò tutte le sue cose, i giocattoli e pretese che dormisse con lei. Poi, man mano che la convivenza  divenne più frequente, iniziarono a sorgere i primi problemi». Vittoria e Francesco, alla luce dell’esperienza che poi negli anni hanno maturato, sostengono che le difficoltà iniziali derivavano da una cattiva impostazione della relazione con il bambino; impietositi dal suo passato difficile si erano lasciati trasportare in modo eccessivo dalle emozioni, fino a diventare deboli. Vittoria racconta che hanno cercato di insegnare dei valori, delle regole ad Angelo, così come avevano fatto con i loro figli, ma Angelo non le capiva e non riusciva a farle sue: troppo diverso era il percorso che il bambino aveva vissuto, la famiglia da cui proveniva, il contesto sociale che aveva respirato fino a quel momento.

L’aiuto di un supporto psicologico

Nel frattempo Luca, uno dei fratelli di Angelo, inizia a manifestare dei problemi psicologici importanti, probabilmente il ragazzo ha subito violenza dal padre e già a Napoli era seguito da una psicologa. I membri del consultorio avevano consigliato alla famiglia affidataria di continuare con questo supporto. Ma questi, presi dal lavoro e da una serie di vicissitudini che in seguito li hanno portati ad interrompere l’affido, non hanno seguito il consiglio. Quando Luca è passato alla seconda famiglia affidataria, i suoi problemi erano evidenti, i nuovi genitori affidatari si sono confrontati con le altre tre famiglie e insieme, anche su consiglio della psicologa dell’associazione che seguiva il gruppo di famiglie, hanno deciso di ricorrere di nuovo all’aiuto di uno specialista.

La psicologa che prese in cura Luca chiese di poter vedere anche Angelo, per offrire un miglior supporto a Luca. Questa scelta si rivelò provvidenziale perché emerse che anche Angelo aveva dei problemi. Secondo la diagnosi della psicologa, Angelo è un bambino apatico, completamente privo di interessi.

La scoperta di questo disagio fu una fortuna perché in tal modo Francesco e Vittoria riuscirono a capire tanti aspetti del carattere del bambino che prima non conoscevano, compresero soprattutto come aiutarlo ad affrontare i suoi problemi.

A questo punto mi viene spontaneo chiedere ai coniugi Esposito se con un bambino in affido ci si comporta come con un figlio naturale o, se al contrario, è necessario adottare una strategia educativa diversa.

«Una regola precisa non esiste – mi spiega Francesco dipende dalla situazione specifica e dal bambino.  Nel nostro caso, Angelo era già abbastanza grande, aveva 8 anni, 5 dei quali trascorsi con la famiglia d’origine, 2 in comunità. Ci siamo trovati ad insegnare delle regole ad un bambino che non aveva le basi giuste, basi che si acquisiscono dai 2 anni in poi. Questo spiega come sia fondamentale educare e guidare un bambino fin dalla tenera età. Ci siamo trovati davanti a tante difficoltà che non sapevamo gestire perché sbagliavamo l’approccio, sbagliavamo a trattare Angelo come un bambino normale, senza tener conto del “suo” passato ma, nello stesso tempo, sbagliavamo ad impietosirci troppo per la sua condizione. Angelo è un bambino apatico, completamente privo di interessi. Insegnare delle cose ad un bambino con questo profilo psicologico è difficile; se ad esempio mia figlia non si rifà il letto posso usare dei toni anche duri e severi, mortificarla, dirle “ma come, alla tua età non sei capace a tenere in ordine la tua stanza” per farle capire l’importanza di alcune regole, con Angelo questo metodo è controproducente, come ci ha confermato anche la psicologa, perché peggiora solo la situazione”.

L’arrivo di Luca

Nonostante queste difficoltà, Francesco e Vittoria hanno avuto il coraggio di fare una scelta importante e coraggiosa: hanno preso in affido anche Luca quando la famiglia affidataria che lo seguiva non ha più potuto occuparsi di lui.

«Ci siamo fatti avanti – racconta Vittoria – ma non nascondo che non è stato per niente facile, le difficoltà si sono raddoppiate. Luca è un ragazzo chiuso e molto complessato, ci conosciamo da sei anni e sta con noi già da due, eppure è ancora così riservato, sempre sull’attenti, continuamente proteso verso una forma di autodifesa che non ha motivo di essere. Quando è arrivato da noi era estate, dormiva con i calzini nonostante il caldo pazzesco, ma farglieli togliere è stata un’impresa. Le cose più semplici, come il lavarsi, l’indossare abiti puliti, il mettere in ordine la stanza con lui diventano difficoltà insormontabili».

Angelo non ha accettato di buon grado l’arrivo di Luca. É sempre stato molto legato al fratello, capiva istintivamente che era più fragile e bisognoso di protezione, quando è arrivato a casa De Gregori si è sentito investito di una responsabilità troppo grande. Sperava in cuor suo che la permanenza di Luca fosse temporanea e che dopo qualche tempo potesse rientrare nella precedente famiglia affidataria.

Ormai sono due anni che Luca vive con i coniugi Esposito e Angelo si è  abituato alla presenza del fratello

Arriva l’ora del pranzo ed ecco che tutti rientrano a casa. Arrivano prima Angelo e Luca, un po’ sorpresi della mia presenza. Quando li vedo mi commuovo, sono due ragazzini educati, ben vestiti, con la faccia pulita. Durante il pranzo, Angelo si preoccupa di passarmi le pietanze, Luca ha qualche difficoltà in più ma si sforza comunque di essere cordiale e accogliente. Davvero Francesco e Vittoria hanno fatto un bel lavoro, nonostante le difficoltà affrontate e quelle che ancora sono dietro l’angolo.




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