Qui l’amore ha messo radici

I nomadelfi raccontano Nomadelfia: l’impegno, l’ideale, don Zeno.

Quando entrate in Nomadelfia per scrutarne il mistero andate in punta di piedi perché quello che vedete è un semplice fiore strapazzato dal mondo, che nasce da una pianta avvolta nel silenzio, le cui radici sono piantate nelle più impensate miserie della vita umana, nelle tragedie dei cuori e nello sfacelo di un mondo che rovina e che rovinerà fino alla consumazione dei secoli”.

Questo l’invito scolpito su pietra che don Zeno nel 1959 rivolgeva a chi si accostava alla realtà di Nomadelfia. Questa cittadella, situata nel cuore della Maremma toscana, è composta per la maggior parte da semplici abitazioni prefabbricate, una campagna curata e lavorata con amore nonostante le asperità del terreno, querce da sughero donano ombra nei giorni assolati. C’è anche un piccolo bosco e un lago con una diga che i Nomadelfi hanno realizzato da soli con tanta fatica. In cima alla collina una grande croce troneggia e sembra ricordare a tutti la fatica di vivere la fraternità. Nomadelfia infatti significa: [b]la fraternità è legge, legge non consiglio, legge non indicazione[/b], legge accolta con consapevolezza e grande fiducia in Dio. Su questa legge don Zeno Saltini ha fondato un popolo nuovo, fondato sulla libertà, sulla comunione fraterna dei beni, sulla roccia della fede. Per lo Stato italiano Nomadelfia è un’associazione civile, organizzata sotto forma di cooperativa di lavoro. Per la Chiesa è una parrocchia comunitaria ed un’associazione privata tra fedeli. Per il mondo è una testimonianza viva e autentica che è possibile realizzare una civiltà fondata sul vangelo. Lo spirito infatti che anima questo popolo è quello delle prime comunità cristiane descritto negli Atti degli Apostoli: “La comunità dei credenti viveva unanime e concorde, e quelli che possedevano qualcosa non la consideravano come propria, ma tutto quello che avevano lo mettevano insieme”. Sembra un’utopia, un progetto lontano dal nostro modo di vivere, ma Nomadelfia c’è, esiste, è una realtà e pur tra le difficoltà e le persecuzioni della sua storia, resiste all’usura del tempo. E’ composta da circa 300 abitanti, ma i numeri non rendono giustizia a quanto Nomadelfia ha generato e continua a generare nel mondo: per i 5000 figli accolti, per i 10.000 visitatori che ogni anno sostano, per le migliaia di persone incontrate in giro per il mondo attraverso le serate di Nomadelfia. Chi potrà mai misurare tutto questo? Resterà nelle pieghe della storia, seme nascosto nei cuori, vita nuova che genera un nuovo modo di vivere e di pensare e come diceva don Zeno “chi viene qui, sente nell’anima il bisogno di vedere un lembo di terra sul quale l’uomo viva secondo il cuore di Dio“.

Un impegno per tutta la vita

Nomadelfi non si nasce ma si diventa per libera scelta. Coloro che lo desiderano devono presentare una domanda alla Presidenza con la quale chiedono di essere ammessi ad un periodo di postulandato che dura tre anni. Al termine, se accettati, firmano la Costituzione sull’altare come impegno davanti a Dio e a tutto il popolo di Nomadelfia. Antonella ha 44 anni e mi racconta con commozione questo momento della sua vita. Quando è arrivata a Nomadelfia aveva 18 mesi ed è stata affidata ad [b]Irene[/b], la prima mamma per vocazione. A diciotto anni ha chiesto e ottenuto di diventare nomadelfa: “Ho scelto di restare e di donare se era possibile il doppio di quanto io ho ricevuto” mi racconta. A 23 anni ha sposato Francesco, anche lui nomadelfo, hanno avuto e accolto12 figli. Essere Nomadelfi non è un impegno per un determinato tempo, è una scelta per la vita, “Non è un rifugio per vivere in pace ma la risposta ad una chiamata” aggiunge Antonella “ed è necessario rinunciare alla proprietà dei beni, essere disponibili ad accogliere i figli in affido, vivere in comune nei gruppi familiari, svolgere qualsiasi tipo di lavoro secondo le direttive della Presidenza”.

La vendetta dell’amore

Don Zeno riteneva che “chi semina nell’individualismo raccoglie nella desolazione”. Per questo ha fondato nel 1969 i gruppi familiari: 4 o 5 famiglie di sposi e mamme per vocazione e in qualche gruppo anche sacerdoti che vivono insieme. Oggi ci sono 11 gruppi familiari a Nomadelfia e uno a Roma che verrà inaugurato ad ottobre. Hanno una abitazione comune dove c’è la sala da pranzo e la cucina, mentre tutte intorno ci sono piccole casette separate con le camere da letto per ciascuna famiglia. Ogni tre anni la presidenza scioglie i gruppi familiari e li ricompone con altre famiglie, naturalmente ogni famiglia resta unita portando con se solo gli effetti personali. Nel tempo trascorso a Nomadelfia siamo stati ospitati dal gruppo Betlem Bassodove vivevano tre coppie di sposi con i figli e una mamma per vocazione. A sera prima di cena ci siamo ritrovati tutti nel cortile e lì il capogruppo ha guidato un semplice momento di preghiera ricco di Parola: abbiamo letto[b] [/b]il brano della Beatitudini, il comandamento nuovo dell’amore, la preghiera di Gesù all’ultima cena e la preghiera di Nomadelfia. In nome di quella Parola i Nomadelfi ogni giorno spendono la vita con una dedizione e un sacrificio straordinari. Perché? Unicamente perché si sono fidati come don Zeno dell’Amore. Ernesto Balducci sulGiornale del mattino del 14 gennaio 1962, all’indomani della reintegrazione di don Zeno al sacerdozio da cui aveva chiesto la laicizzazzione [i]pro gratia[/i] per salvare il salvabile scrisse: “Ebbene, quel che la natura non provvede, può provvederlo l’invenzione dell’amore: una vera e propria società di famiglie le cui leggi siano fondate non sui fatti che precedono la libertà, ma sulla libertà che precede i fatti e li crea”. E poi aggiunge: “..Ora che la sua paternità sacerdotale è reintegrata in tutti i suoi esercizi egli non ha dinanzi a sé che una battaglia. Io non sono sicuro che egli la vinca, ma sono sicuro ch’egli ha ragione anche se perde, perché ha creduto nell’amore”. Diceva don Zeno: “questi miei figli sono stati trattati male dalla società, sbattuti nei correzionali, alla malavita, all’abbandono, alla fame. Io insegnerò loro a vendicarsi, e la vendetta sarà questa: portare l’amore nel mondo”.

L’intuizione dell’affido familiare

Don Zeno è stato un uomo straordinario, un rivoluzionario. Sapeva guardare oltre, aveva delle intuizioni straordinarie. Tra queste, spicca sicuramente l’idea chiara e precisa che ogni bambino ha bisogno per crescere di vivere in una famiglia, di avere dei punti di riferimento precisi. È stato il precursore dell’affido familiare. La sua stessa opera è iniziata nel giorno in cui è stato ordinato sacerdote prendendo con se un giovane di 17 anni che usciva dal carcere, Danilo. “Sposando la Chiesa – aveva detto – mi darà un figlio subito, perché non ha bisogno di nove mesi di gestazione”. Da quel primo gesto di accoglienza, nasce in don Zeno il desiderio di farsi padre degli ultimi della società, degli scartini come furono definiti a quel tempo. Non per buonismo, né per assistenzialismo ma per sanare nel profondo le radici della società. In un inno scritto e musicato da don Zeno, si canta “Ridiam la famiglia/ a chi l’ha perduta/ ai bimbi la mamma/non muore mai più./ È vita cristiana/ è legge di Cristo/ amarci l’un l’altro/ com’Egli ci ha amato”. Il suo accorato appello è raccolto prima dalle mamme di vocazione e poi anche dalle famiglie. È così che da oltre cinquant’anni i figli in affido vengono consegnati alle famiglie sull’altare con le parole di Gesù dalla croce: “Donna ecco tuo figlio, figlio ecco tua madre”. Queste parole sono state ripetute per oltre 5000 volte alle mamme e ai babbi di Nomadelfia. “Un adulto che diventa nomadelfo” chiarisce Tommaso, responsabile dell’Affido “deve essere sempre disponibile a prendere un minore in affido. La decisione spetta alla Presidenza in accordo con i servizi sociali e su indicazione della Magistratura minorile”. Tommaso si occupa da 32 anni di affido, insieme alla moglie ha avuto 6 figli naturali e 7 in affido, ci tiene a sottolineare che senza l’aiuto delle altre famiglie non sarebbero riusciti a superare tutte le difficoltà. Anche in questo Nomadelfia presenta tutto il suo carattere di unicità, l’affido è garantito da una rete di relazioni in cui gli adulti esercitano sui minori una paternità e maternità in solido, con un solo progetto educativo, con indirizzi pedagogici comuni validi per tutti, figli naturali o affidati. “La legge della regione Toscana del 2005 –specifica Tommaso– ha accolto la atipicità di Nomadelfia, stabilendo che possono essere dati in affido minori non solo a famiglie e comunità di tipo familiare ma anche ad associazioni di famiglie”.




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