La coscienza di essere cattolici

di Giuseppe Anzani

Ci chiediamo talvolta se l’essere cristiani definisca il senso del nostro essere uomini accanto agli altri uomini che ci sono fratelli. Uomini di fede accanto a uomini di diversa fede, o di nessuna fede, intenti a capire se la fede porti differenza nell’ambito della vita comune, delle condotte socialmente doverose, delle leggi scritte, del costume vissuto.  In fondo, è proprio questo che sta diventando il nocciolo  di quesiti attualissimi che affrontano, anche su scala planetaria, i paventati conflitti di civiltà e le loro potenziali esplosioni.

Io credo per prima cosa, d’istinto, che un primo approdo si possa cercare nel rispetto della dignità dell’uomo e della sua libertà. Apprendo che “la gloria di Dio è l’uomo vivente” (S. Ireneo); ammiro l’intelligenza, aperta a esplorare il cosmo e a intuirne l’ordine e il fine, ascolto i segnali che battono dentro il cuore umano con la sapienza di una regola etica che – non meno dell’armonia di un cielo stellato – riempie di quella medesima kantiana stupefazione.

Il senso religioso sta già dentro la vita. L’oltre ci resta mistero, ma quanto è visibile porta l’impronta di un “logos” che dice la bellezza dell’essere, stacca l’intuizione del bene dall’insidia del male (che è la distruttività del non essere), ci collega a una scelta e a un destino. I confini del sacro e del reale coincidono, e l’anima dell’uomo ne avverte l’unitario orizzonte, così come l’occhio reclama spontaneo la luce e l’orecchio il suono.  Possiamo chiamare “coscienza” questa luce interiore che tiene per stella polare la fedeltà all’essere, cioè al bene e alla verità (“ens et bonum convertuntur”).

La fede cristiana è altro ancora. E’ l’incontro con un Logos che si è fatto carne e ha posto la sua tenda fra noi. Nulla è più come prima; neppure il “sacro”, che vede sostituito all’antico “tremendum” l’intimità d’un amore che copia nella sua preghiera persino il lessico familiare (“abbà”); neppure il “giusto”, nello stentato slalom umano fra divieti e precetti contesi, insufficiente ad attingere la fiamma del comandamento nuovo, che ora divampa in gioia nella coscienza purificata.

Talvolta mi viene da pensare così, quando di fronte alle sfide culturali ed etiche del nostro tempo, sulla frontiera della vita, della famiglia, dell’amore, dell’educazione, della cura, e infine di quella grande palestra sociale che è l’impegno politico, mi chiedo se c’è differenza quando il vissuto è coerente con la fede. E mi sembra di sì, e sarebbe bellissimo che diventasse visibile.




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