Chi fa affido ha diritto ad un contributo economico?

di Marco Giordano

Molti depliant ed opuscoli promozionali sull’affido familiare, stampati e diffusi da enti pubblici ed associazioni no-profit, indicano tra i “diritti delle famiglie affidatarie” quello dell’erogazione di un contributo a copertura delle spese sostenute per la cura dei minori accolti in affido.

Ma si tratta effettivamente di un diritto? E qual è l’importo di questa erogazione economica? Qual è l’ente tenuto a tale spesa? È necessario rispondere a questi e ad altri quesiti simili, se si desidera fare chiarezza su quest’aspetto dell’affidamento familiare. La legge 184/83, come modificata dalla legge 149/01, affronta la questione in modo abbastanza sfumato. Difatti l’articolo 5, comma 4, precisa che “Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci, intervengono con misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria”. Il concetto è poi ripreso, sempre in modo alquanto generico, dal successivo art. 80, comma 4, che sottolinea che “…le condizioni e modalità di sostegno alle famiglie, persone …che hanno minori in affidamento, (vengono stabilite) affinché tale affidamento si possa fondare sulla disponibilità e l’idoneità all’accoglienza indipendentemente dalle condizioni economiche”.

Dunque, la prima precisazione da fare è che la previsione normativa non impone alcun obbligo preciso agli enti pubblici né in termini di modalità né in termini di importo economico. La modalità più frequentemente adottata è quella dell’erogazione di un contributo mensile forfetario.

Molti sono i regolamenti regionali che fissano criteri maggiormente dettagliati. Si oscilla da importi di poche decine di euro fino a contributi di oltre un milione delle “vecchie lire”. C’è poi chi aggancia l’importo del contributo al reddito degli affidatari, chi prevede l’erogazione di rimborsi solo per alcune spese particolari (sostegno scolastico, apparecchi ortodontici, occhiali, …).

In numerosi casi, per lo più concentrati al sud Italia, non è previsto alcun contributo concreto. L’appiglio su cui si basa questa mancata “assunzione di responsabilità delle istituzioni” è contenuto nella previsione normativa, su riportata, secondo la quale il contributo viene erogato nei limiti delle disponibilità finanziarie dei bilanci … e non mancano gli esempi di bilanci di enti locali in cui non compare affatto il capitolo di spesa sull’affido familiare (a fronte, casomai, di corposi capitoli di spesa relativi all’organizzazione di sagre e feste o alla cura dell’arredamento urbano).

Per quel che riguarda il “chi sia deputato” ad erogare tali contributi la normativa è più chiara. Si tratta del comune presso cui il minore risiede (legge 328/00, ma già anche nel DPR 616/77). Quindi il comune di provenienza del minore e non quello di residenza degli affidatari! Per completezza è opportuno precisare che il minore risiede ordinariamente nel comune in cui risiedono i genitori o colui che ne esercita la potestà (art. 45, Codice Civile). Anche su questo punto tuttavia vi sono alcune questioni aperte. Concludiamo accennando ad un’altra forma di sostegno economico agli affidi familiari, meno nota ma per certi aspetti più concreta. È quella connessa alla possibilità di ricevere gli assegni familiari e le prestazioni previdenziali inerenti il minore per il periodo di permanenza dello stesso presso il nucleo affidatario. A disciplinarla è il primo comma dell’articolo 80 della legge sull’affidamento. Unica condizione è che a prevedere tale erogazione sia direttamente il giudice competente sul caso (“giudice minorile” nel caso di affidi giudiziari disposti dal tribunale per i minorenni, “giudice tutelare” nel caso di affidi amministrativi disposti dai servizi sociali locali).




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